Intervista ad Andrea Rossi Andrea
febbraio 2020
di Gianni Montano
Intervistare Andrea Rossi Andrea è un'esperienza unica
e ineffabile. Non è facile, infatti, star dietro alle circonvoluzioni concettuali
del musicista (e non solo) veneto, impegnato in molti campi artistici, per precisa
scelta di vita. La sua adesione, il suo servizio all'idea estetica è completa e
totale, senza concessioni di sorta, cosiccome è integralista la sua posizione verso
l'atto creativo.
Recentemente ARA (le iniziali del suo nome) ha pubblicato per la Splasc(h) il quinto
dvd che fa parte di una serie intitolata "Lo-Fi DVD 27 MHZ Internet". Ne
abbiamo parlato con lui, dopo aver affrontato diverse tematiche, venute allo scoperto
prepotentemente sotto lo stimolo di domande quasi sempre aperte che hanno prodotto,
spesso, risposte altrettanto spalancate su molti mondi possibili in un flusso coerente
e lucido per l'intervistato, da sdipanare con molta cura e meticolosa attenzione
ai dettagli, da parte di chi pone le domande, per non rischiare eventuali fraintendimenti.
Ecco com'è andata.
Hai pubblicato prima 5 cd, dal 1995 al 2008, riuniti in
una successione chiamata Pentalogia e poi 5 dvd unificati dal titolo "" Lo-Fi DVD
27 MHZ Internet". Quali differenze ci sono fra le due realizzazioni?
Io non colgo alcun distacco, alcun salto in avanti, fra i cd e i dvd. Fanno tutti
parte di una storia, la mia, personale e artistica. Bisogna conoscere e analizzare
la mia produzione nella sua interezza. Ogni capitolo in sé e per sé non ha un significato
fondante. Lo ha in rapporto con gli altri e tutti insieme formano un quadro che
dà un'informazione di dove ero prima, di dove sono ora e di dove mi sto dirigendo.
Vedendo i tuoi dvd e ascoltando
le tue dichiarazioni, sembra che l'ambiente in cui ti esibisci, sia un luogo chiuso
come una corsia di un ospedale o aperto come una piazza o il chiostro di un'abbazia,
influenzino fortemente il tipo di musica che esegui. C'è vicinanza, in questo senso,
all'ambient di Brian Eno e soci?
Premetto che amo molto Brian Eno e in specie il disco "Before and after Science"
con uno dei miei bassisti preferiti, Percy Jones. Allo stesso tempo la mia
concezione è lontanissima dalla sua. Non occorre creare a tavolino un ambiente musicale,
un clima, un'atmosfera particolare. Quando si suona si opera in un determinato contesto
e, come il musicista incide sul contesto con il suo lavoro, così la situazione condiziona
il gesto artistico, alla stessa maniera. Sono due forze, centrifughe e centripete,
che agiscono in contemporanea. A questo punto devo precisare il mio punto di vista
sull'arte e su chi la fa. Non occorre arrogarsi la patente di superuomini, di geni
assoluti. Chi elabora qualcosa di artistico, lo realizza in rapporto all'ambiente
in cui lo esprime e la reciprocità si può definire con un termine che rende bene
il concetto, la permeabilità. Chi sta sul palcoscenico, cioè, e chi osserva la performance
dalla platea sono in comunicazione. Il messaggio, di qualsiasi genere, passa per
un certo tipo di osmosi. Non c'è una relazione di superiorità di chi crea rispetto
a chi fruisce, insomma.
Non sei apparentabile con l'ambient, ma anche incasellarti
nella categoria del jazzista mi sembra una forzatura. A che punto ritieni sia arrivata
la tua ricerca? Non ti chiedo ovviamente di definirla?
Ho compiuto studi seri, rigorosi sul contrabbasso e sul basso elettrico. Sono stato
anche in America. Ho studiato con Cameron Brown per fare un nome. Qualcuno
mi ritiene un virtuoso sul mio strumente. Ho frequentato, inoltre, anche il conservatorio.
In un lontano passato mi sono guadagnato da vivere suonando standards e non me la
passavo male. Ad un certo punto della mia vita ho cambiato decisamente strada. Non
ho niente contro chi si dedica agli standards, al mainstream jazz o a qualcosa di
rassicurante e codificato. Io mi muovo in un'altra ottica. Cerco qualcosa di personale
e di originale. Non mi va di rifugiarmi nei clichè, in un filone dominato da ripetitori
stanchi, da copie sbiadite dei grandi della musica afroamericana. Io vado in un'altra
direzione, la mia. Poi sono curioso e ascolto tutto. Mi piace Albert Ayler,
come amo il progressive rock. Ho buone conoscenze di musica classica. Non credo
negli steccati. Casomai li abbatto…
Sei anche un artista visivo, multimediale, fai parte della
fondazione Morra, organizzazione nata per promuovere la comunicazione visiva, in
cui sono presenti molti scultori, pittori e performer, fra cui Marina Abramovic.
Scusa la domanda un po' provocatoria, ti senti più vicino a
Jaco Pastorius
o a Marina Abramovic?
Ammiro la Abramovic nella sua consacrazione assoluta, senza riserve,
all'arte e ricordo sempre quando aveva permesso al pubblico, in una performance
di qualche anno fa, di utilizzare a piacimento il suo corpo, con tutti i tremendi
rischi corsi in quella circostanza, poiché aveva firmato una liberatoria a favore
di potenziali danneggiamenti personali subiti in quel caso. Dopo aver ascoltato
dal vivo Jaco Pastorius,
poi, sono rimasto letteralmente scioccato, tanto da restare una settimana senza
riuscire a proferir parola. Il problema non è questo. Io sono io con il mio bagaglio
di esperienze e i miei obiettivi. Non intendo essere equiparato, avvicinato ad altri
personaggi. Non è orgoglio il mio, ma è l'affermazione di un'individualità precisa.
Io procedo diritto seguendo la mia ground plane antenna (il suo totem). Non ho bisogno
di scimmiottare nessuno.
Parliamo del tuo ultimo dvd "Montelabate" uscito per la
Splasc(h). Dura meno di mezz'ora. Perché è così breve?
Una delle mie scelte, un mio pallino, se vuoi, è quello di operare per sottrazione.
Tendo a essenzializzare, a concentrare in pochi minuti un'esibizione che magari
è durata 40/50 minuti. Estraggo il succo, il significato di quella performance e
la metto sul dvd. Come ti ho comunicato la mia opera è da considerarsi in tutta
la sua completezza. I 27 minuti vanno ad aggiungersi alle altre ore che compongono
i cd e i dvd registrati precedentemente. Sono pochi presi da soli, ma sono tanti
se visti in questo tipo di ottica onnicomprensiva. In più il dvd ha per tema la
morte, la mancanza e si riferisce alla perdita della persona amata da parte del
mio amico Aldo Grazzi, un artista a cui sono molto legato. La sottrazione in questo
caso può riguardare anche l'assenza, la privazione, la fine. Ogni lavoro ha una
sua specificità, un suo mondo, ma è un capitolo di una storia ormai lunga.
Nel dvd ci sono molti momenti in cui ci si ferma sulla
conclusione di un pezzo o del concerto stesso, con la reazione del pubblico e tu
che chiudi gli amplificatori e appoggi il basso al muro. Perché?
Non è certamente una autocelebrazione, per far vedere che il concerto è stato gradito
dagli spettatori. E' per far capire che se finisce la musica, non si conclude la
performance. Continua magari con uno scambio di opinioni con qualcuno del pubblico
magari più sensibile di altri, con il silenzio di alcuni. Sono tutti finali finti,
se vuoi. La musica continua anche quando apparentemente tutto tace...
Qual è il tuo rapporto con il pubblico?
Il pubblico è una grande opportunità e un grande enigma. Il rapporto con il pubblico
fa parte esso stesso della performance. Poi ognuno prende quello che vuole da quello
che rappresento, secondo le sue esigenze e le sue possibilità. Il lavoro, però,
non finisce lì, prosegue anche dopo, anche adesso che ne stiamo discorrendo io e
te….
"Montelabate" E' un lavoro sulla morte, senza speranza,
senza consolazione?
Il contrario: è un inno alla vita, partendo da situazioni molto dure, come lo spazio
di una corsia d'ospedale del reparto di oncologia o la condivisione con un amico
che ha perso la compagna. Io raccolgo testimonianze di dolore e di speranza e propendo
per questa seconda alternativa….
Che rapporto c'è nella tua musica fra composizione e improvvisazione?
Studio e lavoro molto artigianalmente sulla mia musica, ma non scrivo, se non dopo
aver portato i miei pezzi davanti al pubblico. A quel punto ci possono essere stravolgimenti.
Si può dire che mi impegno tanto per capire come costruire un edificio e poi magari
realizzo una bicicletta. La vera improvvisazione, a mio avviso, è comunque a tutti
gli effetti, composizione.
Vedi la tua ricerca possibile ospite di una rassegna jazz?
Sì se ci sono le condizioni per potermi esprimere come voglio. Io sono aperto a
tutto, ma ho una mia etica personale molto intransigente. Non posso adeguarmi, adattarmi
a situazioni che travisino il mio modo di suonare e di fare ricerca. Io faccio musica
creativa, filosofica ed esistenziale: come posso entrare in determinati contesti,
dove la maggior parte degli ospiti rimasticano assoli dei grandi, come Parker o
Davis. Lì io sono fuori posto. Io non farò mai una cover band di
Jaco Pastorius,
ad esempio, pur stimandolo moltissimo. Ho partecipato molto volentieri in passato
alla rassegna "Jazz fuori tema" con direttore artistico Alberto Bazzurro. In quel
caso ho avuto un trattamento pari alle mie aspettative.
Che rapporti hai con la scena musicale della tua regione?
Conosco e considero molto bravi tanti musicisti, Riccardo Brazzale, fra gli
altri, ma io sono su una strada diversa. Lo studio, non solo di musica, ma di tante
discipline, mi occupa quasi per intero la giornata. Non ho proprio occasioni di
incontro e di collaborazione se non saltuarie con qualche strumentista e mi va bene
così.
Con quali musicisti, comunque, ti piacerebbe collaborare?
Anni fa ho suonato con un armonicista cosentino, Enrico Granafei, che vive
nel New Jersey. Con lui si è creato un clima talmente favorevole che mi ha contagiato.
Sono occasioni sporadiche in cui io sto bene con qualcun altro che recepisce quello
che voglio significare e mi consente di farlo in perfetta armonia. Al momento non
ho questo tipo di progettualità in divenire e neppure la desidero pienamente. Io,
mi ripeto, vivo dello studio e della ricerca. Sono su un altro pianeta rispetto
ai musicisti tradizionali o anche nei confronti di quelli anti-tradizionali. Se
non passano dal camino e mi entrano in casa, non ci saranno in tempi brevi collaborazioni
con strumentisti di ogni ambito…
Non posso non chiederti: quali sono i tuoi progetti futuri?
Mi hanno invitato alla biennale di architettura di Venezia. Sto preparando il materiale
per partecipare per la seconda volta nella mia carriera artistica a questo evento
e me ne compiaccio.
L'intervista a questo punto si conclude, ma con un tipo come Andrea Rossi Andrea,
probabilmente è solo un finale apparente. Attraverso le onde radio emanate dalla
sua Ground plane antenna, il dialogo continua, forse, in un'altra dimensione…..
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Data pubblicazione: 12/04/2020
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