Come una grande nave da crociera che tocca solo i più importanti porti,
così si muove "Cuban Meltdown" che dipinge un
quadro rappresentativo della musica cubana. Un effetto complessivamente utile, quello
reso dal disco prodotto dall'etichetta inglese "Slam Productions", che guida
l'ascoltatore alla scoperta dei più famosi linguaggi e ritmi tipici della musica
tradizionale cubana, pur tenendo puntato lo sguardo verso il futuro. Dalla rumba
al latin Jazz, passando per gli sperimentalismi caratteristici del free jazz contemporaneo.
Un disco non solo per appassionati e cultori e che regala certamente emozioni positive.
Il lavoro si divide in due anime: la prima rappresentata dalle cinque
tracce iniziali, registrate durante il tour inglese di Bobby Carcasses nel
2005. La seconda composta da pezzi registrati
a l'Havana. Ed è proprio nella prima metà che si 'esplora' di più. Nel primo pezzo
si va alla scoperta di una tipica orchestra latin jazz, che mette in mostra anche
la capacità musicale dei singoli componenti oltre che compositiva, soprattutto nella
piacere con cui si incastrano le congas nei vari soli e gli altri strumenti. La
seconda traccia "Son de la Loma", è invece un
saggio di "scat" solo voce con una tecnica precisa, per un effetto davvero trasportante
e gradevole. Con ritmo, melodia e accompagnamento montati dal solo canto.
Si passa poi a "A perfect love", una
composizione free e sperimentale dalla costruzione molto complessa e per questo
un po' ostica. Fino ad arrivare a un gradevolissimo pezzo di rumba tipico, suonato
molto bene. Uno wawango habanero arricchito dal canto tipico e davvero di grandissimo
gusto. Una costruzione bella e, soprattutto, per niente semplice da trovare negli
scaffali della grande distribuzione. Notevole anche l'improvvisazione del conguero
Robin Jones, se solo si pensa la struttura ritmica entro cui spaziare nella
rumba è angusta e per certi versi proibitiva, per la complessità del fatto che ogni
spazio è occupato. Come prevede la tradizione di un suono che, seppure arricchito
e modificato nei secoli secondo il gusto creolo cubano, arriva direttamente del
centroafrica con gli schiavi conservandone le caratteristiche.
La parte 'inglese' dell'album si chiude con un Son puntellato di swing che presenta
il tipico colore cubano, il più noto e compreso a vari livelli. Nel brano si captano
omaggi alle più famose melodie, con la tromba in primissimo piano e giri di improvvisazione
avvincenti per tutta la sezione di fiati. E con il piano che viaggia su marcate
concettualizzazioni. L'accompagnamento delle percussioni è sempre solido e mai fuori
dal coro, a differenza della molte incisioni con i 'master' delle congas, spesso
troppo in evidenza rispetto al resto degli strumenti. Negli assoli però il conguero
mostra anche grande capacità e gusto nell'attenersi alla tradizione, mettendosi
in luce con scomposizioni piacevoli. Le tracce registrate a l'Havana sono unite
invece da un filo rosso più rilassato. Dal morbido "De
mi tierra son", con un suono tradizionale più vicino a quello ben noto
dei Buena Vista Social Club spinto da un linguaggio caraibico molto incalzante
e allegro, a una versione più jazzata, con una grande improvvisazione del pianoforte
tutto modale e molto variopinto come in "Here comes the
king". Pezzo in cui la batteria è molto al limite, e con lunghe frasi
in levare irrigate da una spinta funk, soprattutto negli accesi dialoghi con il
sax. In tutto il disco, anche nei pezzi più free e sperimentali come "Sin tema",
in cui compare anche il flauto dolce, sempre al limite della dissonanza, come conformazione
dello strumento in se, si registrano gli assalti della voce, con tecnica e grinta
davvero piacevoli.
In chiusura poi un son molto sentimentale "fragranze de cuba e su sabor"
caldo con il solo appoggio del piano per la voce. Una spruzzata di swing per una
voce molto profonda ed emozionante, a introdurre in chiusura un finale salsa. Ultimo
approdo di un viaggio davvero piacevole.
Luigi Spera per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 03/02/2008
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