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Evoluzione sociologica della Musica Jazz:
Jazz e Media

di Lavinia Caterina Bianca Testi

Jazz tra Mass Media, Popular Culture e Culture Giovanili
Abbiamo visto come il Jazz sia nato da una commistione tra cultura nera e bianca in America, grazie a determinate condizioni socio-culturali ed alla geografia della schiavitù.



Il jazz ha origine da una condizione tragica, data dall'intrinseco rapporto tra le due categorie antitetiche di dominati e dominanti, laddove, l'arte della comunità dominata viene annullata e " tiranneggiata" dall'arte dominante. Tuttavia questo nuovo genere non può che essere definito come estetica inclusiva dell'incontro, che ha permesso ai neri di appropriarsi degli elementi tipici della cultura bianca e rileggerli alla luce della propria tradizione.
Ma è proprio dalla sua forza liberatrice che deriva il successo del Jazz: si trattava di una musica appena nata, senza passato, che si svincolava dalla frenante forza della storia e si dispiegava ad un orizzonte di totale rinnovamento culturale.

Proprio per le sue origini e quella che è stata poi la sua evoluzione, il Jazz non può che essere intimamente collegato a fenomeni razziali, ad un non celato odio reciproco tra bianchi e neri, ma nel contempo, paradossalmente, ad una loro innegabile complementarietà. Una tensione estrema tra primitivo e moderno, tra retrogrado e innovativo, tra omologazione e rivoluzione, destra e sinistra, bello e brutto, buono e cattivo.

Jazz e Media
La popular music, secondo il sociologo James Lull, è una forma di comunicazione estremamente influente. La sua influenza deriva sicuramente dal suo strettissimo rapporto coi mass media, col consumo culturale e l'universo giovanile. Tra le sue mille contraddizioni e paradossi il Jazz ha sicuramente infatti un ruolo da protagonista nel passaggio alla cultura (e all'arte) di massa (Savonardo,2010, p.102).

Inizialmente la maggior parte degli intellettuali europei che hanno tentato di dare una chiave di lettura a questo genere musicale ha inizialmente accolto la nascita del Jazz negativamente, definendolo come "... un prodotto triviale della comunicazione di massa, degenerata musica americana, scarto subculturale di una civiltà primitiva e rozza" (Bergoglio,2010).

La stessa critica americana, nel teatro di gestazione di questa nuova espressione artistica, reagisce con un comune atteggiamento negativo, appannaggio di una middle class conservatrice e bigotta: quando giunse nelle grandi città del nord, il Jazz venne infatti accolto come una musica che stimolava atteggiamenti disinibiti, preludio della perdizione, ciò che avrebbe potuto rappresentare la drammatica perdita di valori, principi, senso della misura.

L'intensa industrializzazione americana, è terreno fertile per la diffusione del jazz, proprio grazie alle nuove innovazioni tecnologiche. I primi anni del novecento infatti, determinanti per l'introduzione della moderna musica industriale di massa, furono anche quelli di espansione del Jazz come forma privilegiata di intrattenimento. Non si può difatti disconoscere il profondo legame della musica nera col mondo degli affari americano e il suo consumismo; inevitabile dopotutto, trattandosi di una società totalmente pervasa dalle logiche di mercato.

Di significativa importanza è stata la trasformazione dei supporti di comunicazione musicale: un vinile a 78 e 45 giri lasciava spazio ad esecuzioni di pochi minuti e solo il passaggio al 33 giri permise l'elaborazione di opere ad ampio respiro e quindi più godibili.

Il Jazz muove i suoi primi passi contemporaneamente alla nascita della radio ( 1920-1921), del cinema sonoro (1929) e dei periodici illustrati, favoriti chiaramente dalle nuove tecniche industriali di stampa: un fervore comunicativo di massa forse quantitativamente limitato, ma diffuso globalmente in maniera capillare.

La crisi economica aveva messo in ginocchio il mercato musicale prospero negli anni Venti: i locali che facevano affidamento su una piccola clientela chiusero i battenti dall'oggi al domani, le vendite dei dischi crollarono a picco e le piccole case discografiche scomparirono o furono assorbite dalla major. Queste crescenti difficoltà relegarono molte star degli anni Venti ai margini del mercato. La Depressione incoraggiò un processo di aggregazione di singoli agenti o piccole società in poche, grandi agenzie.

Fu la radio, nuovo mass media emergente, che nel pieno del crollo dell'industria dell'intrattenimento, permise a milioni di americani di ascoltare la musica a costi minimi. Il Jazz e la musica da ballo venivano trasmessi via radio già dai primi anni Venti (si contavano 16 milioni di ascoltatori), ma solo alla fine del decennio le innovazioni tecnologiche avevano fatto scendere i prezzi degli apparecchi radio permettendone la diffusione in tutta l'America (l'apice registra il numero massimo di 60 milioni di ascoltatori), ad eccezione dell'arretrato Sud rurale.

Per i ragazzi ascoltare musica a casa era diventato fantasticamente economico e si poteva ballare e amoreggiare al suono delle orchestre senza doversi recare in sale da ballo o alberghi di lusso: la radio favoriva inoltre un rapporto di esclusività tra l'ascoltatore e la musica; basti pensare alla intima colloquialità del canto radiofonico di Bing Crosby, "esponente di spicco" della nuova figura del crooner [1].

Anche per i musicisti afroamericani, che erano ben lungi dall'essere liberi di produrre e distribuire la musica che volevano, la rivoluzione dell'industria musicale fu un passo avanti decisivo per loro carriere. I neri promuovevano la loro musica prevalentemente tramite le esibizioni nella vasta rete di teatri di vaudeville [2], sparsi su tutto il territorio americano, mentre una piccola parte di autori afroamericani stava cominciando a fare fortuna anche attraverso la vendita degli spartiti. La musica popolare dei neri era registrata sui dischi da cantanti e artisti bianchi e le case discografiche si tenevano generalmente lontane dai musicisti neri per un misto di incompetenza e pregiudizio razziale. Tra il 1919 e il 1929 le cose iniziarono a cambiare.

Fino a quel momento non si era ancora giunti ad uno standard elevato di riproduzione discografica: le grandi case discografiche Columbia e Victor detenevano il brevetto per l'incisione laterale[3] dei solchi, mentre altre case più piccole adottavano il metodo dell'incisione verticale. Lo strapotere della Columbia e Victor fu messo in crisi, in particolar modo, da una piccola etichetta, la Okeh, fondata e presieduta da Otto Heinemann, che sfidò il monopolio producendo dischi a incisione laterale che erano compatibili con i grammofoni in circolazione, vendendoli a 75 centesimi: un prezzo davvero molto basso. Per conquistare il mercato si rivolse soprattutto al grande bacino della cultura popolare americana, nera soprattutto. Questa strategia gli fu consigliata dal compositore Bradford, in contatto con la cantante di colore Mamie Smith di cui produsse alcune registrazioni. Questo fu un evento straordinariamente innovativo: fino a quel momento non si era mai sentita una voce femminile nera su disco, tutti gli artisti neri registrati fino ad allora erano stati uomini. Questa era la novità che la Okeh cercava. Pianificato per il proletariato bianco del sud,il disco della Smith riscosse invece un inatteso successo tra il proletariato nero urbano. Questo trionfo servì da detonatore per l'intera industria dell'intrattenimento nero, mentre il monopolio delle major discografiche cominciava ad incrinarsi. Da questo momento in poi ci fu un profluvio di cantanti donne quasi tutte di altissimo livello.

L' espansione del mercato diretto al pubblico nero ebbe diverse e durature conseguenze. La prima fu il lancio di collane discografiche distribuite esclusivamente presso i rivenditori dei ghetti neri. Chiamate Race Records , erano simili ad altre collane etniche ma poiché i produttori erano principalmente bianchi, i rapporti tra diritti d'incisione e copyright emersero come il nodo economico dell'industria discografica.

Nonostante gli innumerevoli ostacoli che la società americana frapponeva fra i musicisti neri e il mondo degli affari, molti di questi riuscirono così ad inserirsi con successo nel sistema, seppure con profitti inizialmente miseri: accettavano spesso dei forfait per ogni seduta di registrazione e, se compositori, vendevano per un altro forfait i diritti musicali a un editore. Provenienti dalla provincia, abituati a cantare sui palchi di vaudeville ed estranei a questo nuovo mondo discografico erano spesso in balia di impresari privi di scrupoli.

Il meccanismo messo in moto dai Race Records è poi rimasto invariato per decenni, e sotto molti aspetti condiziona tutt'ora i rapporti tra i jazzisti e le piccole case discografiche.

La predominanza razziale bianca nella società americana plasmò anche il settore dell'industria dell'intrattenimento. Poiché, come già detto in precedenza, le case discografiche erano tutte in mano ai bianchi, quando i produttori si accorsero che il pubblico si stava appassionando al blues (o almeno così era etichettato sui dischi), questi imposero ai musicisti neri (gruppi strumentali e cantanti soprattutto), di limitarsi a registrare appunto blues o affini. L'improvvisazione, segno distintivo della musica nera, perde la sua autenticità e spontaneità: diventa nella maggior parte dei casi un'imposizione del produttore stesso.

La diffusione della radio intanto, attraeva sempre più sponsor che finanziavano trasmissioni musicali in cambio di pubblicità di prodotti dedicati soprattutto ai giovani (maggiori fruitori di musica jazz) come sigarette, prodotti di bellezza, e anche beni alimentari.
Il sociologo Theodor Adorno sarà uno dei primi a stigmatizzare l' innegabile rapporto tra l'industria del divertimento e il jazz, condannando il fenomeno col titolo Gebrauchmusik, ossia musica di consumo, soggetta alla necessità della moda e del mercato, alla quale viene negata qualsivoglia autonomia artistica (Savonardo, 2010).

La pubblicità di massa fu un grande veicolo di diffusione del jazz. I cereali per la colazione Wheaties, prodotto emblema della americanità di quegli anni, venivano proposti agli americani sulle note di jazz jingles. Da qui i jingles [4] iniziarono a diffondersi e ad essere usati come strategia di marketing per attirare l'attenzione del consumatore e l'industria delle edizioni musicali iniziò a vendere centinaia di migliaia di spartiti e le canzoni che incontravano il successo potevano anche raggiungere tirature milionarie. La pubblicità intuì subito le implicazioni commerciali della diffusione capillare nel ceto medio e, nei primi anni del nuovo secolo, prese a sponsorizzare queste pubblicazioni arrivando a regalarle come gadget promozionali. Ovviamente i brani semplici, orecchiabili, melodici e tendenzialmente ballabili che mischiavano influenze dell'opera italiana, con ballate irlandesi e aspetti del folklore pseudo "negro" erano privilegiati.

La musica nera inizia così ad introdursi tra gli arredi del lounge di casa e ad essere presente nel " quotidiano" degli americani.

Il Jazz per diversi decenni non suscitò nell'establishment americano quel senso di appartenenza che pure ci si sarebbe aspettato di fronte ad una "produzione artistica" rivendicabile come propria in via esclusiva. Il primo genere musicale che creò questo "sentire comune", fu invece lo Swing degli anni trenta. Il New Deal si identificò con lo swing delle grandi orchestre a tal punto che potremmo parlare del periodo di Franklin D. Roosevelt come di un decennio swing-shaped, nel quale le idee progressiste del presidente democratico andarono a coincidere con l'ethos dello swing, entrambi portatori di una visione integrazionista, collaborativa ed ottimista.

La musica ha sempre avuto la capacità di far vendere di tutto, perfino la guerra. Non è un caso che questa musica sia nata nella piazza del mercato per i neri di Congo Square a New Orleans, abbia mosso i primi passi nei bordelli del quartiere e ancora acerba sia emigrata a Chicago per vivervi una impetuosa adolescenza in locali dove si smerciava l'alcool durante il proibizionismo.
Era necessario motivare una popolazione sostanzialmente isolazionista alle ragioni del conflitto e tra il 1914 e il 1919 furono coperte da copyright quasi trentasei mila canzoni di tema patriottico e molte di queste vennero pubblicate sotto forma di spartito. Ma le parlor songs [5], sentimentali canzoni ora "da salotto", ora "di guerra", sarebbero presto state sostituite dal jazz, coi suoi rumorosi strumenti a fiato, la sua esuberanza ritmica e la sua commerciabilità.

Determinanti, anche se spesso trascurate, sono le storie del Jazz relative al management, che a partire dalla fine degli anni Venti occuparono un ruolo decisivo nelle vicende artistiche e professionali. Negli anni Venti i musicisti si affidavano a manager individuali o a piccole agenzie, spesso con contatti nella malavita organizzata, peraltro fondamentali per lavorare in un ambiente quasi totalmente controllato dalla mafia.

Dopo la guerra, il jazz cominciò a circolare sempre più in teatri e sale da concerto e la malavita allentò il controllo sul mondo dei locali jazz, ormai poco profittevole. A partire dalla fine degli anni quaranta la figura del manager, che agisce in un equilibrio spesso sconfinante nell'illegalità, inizia a venire meno. Rimaneva comunque fondamentale fino a quel momento, che il manager di un musicista nero fosse bianco in modo da poter avere una maggior penetrazione e una maggiore quantità di relazioni nel mondo degli affari. Tra questi hanno una rilevante evidenza i manager ebrei, la cui massiccia presenza viene spiegata dal fatto che essi, come ci ricorda l'economista Thomas Sowell, riescono ad agire da intermediari, in senso sociale ed economico, tra chi produce e chi consuma. Così facendo gli agenti e i manager ebrei, riuscirono a mettere in comunicazione gruppi disparati di persone, facilitati dalla loro intermediazione.

L'industriale americano Henry Ford, ossessionato dall'influenza degli ebrei nella cultura, nel cinema, nella politica, attribuisce addirittura a loro l'invenzione del jazz, musica diabolica e fuorviante, degenerata e prodotto di una cultura della inferiore razza nera.

Il Jazz si è quindi, come abbiamo visto, ampliamente diffuso nella società americana, procedendo lungo un percorso centrato sulla comunicazione di massa e, sfuggente come un trasformista, assumendo di volta in volta, i clichè di un linguaggio a volte popolare, a volte assolutamente elitario.

[1] Cantante di musica leggera che predilige toni lenti e sentimentali, rivisitando spesso canzoni del passato.
[2] Parola francese che da nome di canzone popolare, generalmente satirica, passò ad indicare le canzoni inserite in un particolare spettacolo teatrale, lo spettacolo stesso e il teatro in cui la rappresentazione aveva luogo.
[3] Il principio di funzionamento del disco fonografico consiste nel far ruotare a velocità costante il disco sul piatto di un fonoincisore, e contemporaneamente incidere un solco. I dischi a 78 giri e i primi dischi microsolco erano registrati col segnale di un solo canale. Negli anni Trenta venne ideata una tecnica che permise di registrare contemporaneamente due segnali su un'unica traccia sfruttando il movimento verticale e quello orizzontale dello stilo.
[4] Letteralmente "tintinnio", il jingle è un breve motivo musicale che annuncia o accompagna uno spot pubblicitario trasmesso dai mezzi di comunicazione di massa radio-televisivi. Solitamente allegro e orecchiabili, il jingle ha la funzione di attirare l'attenzione dello spettatore verso il messaggio pubblicitario veicolato o di richiamare alla memoria il prodotto reclamizzato.
[5] Tipo di popular music che nasce (come lo stesso nome suggerisce), per essere suonata nei salotti delle case borghesi da cantanti e pianisti (spesso dilettanti). Solitamente trattano temi amorosi o meditazioni poetiche.
 






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Data ultima modifica: 21/01/2018

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