| "La storia è l'esperienza dello storico. Essa non è fatta da altri se non 
dallo storico, e scrivere storia è l'unica maniera di farla". M. Oakeshott
(**). Ho intenzione di iniziare questa lezione con il pormi alcune domande. In primo luogo, ad esempio, mi chiedo se quello che abbiamo riscontrato 
durante il Newport Jazz Festival del '58 sia 
un caso di disodia legato ad un momento particolare della vita artistica di
Anita O'Day oppure se tale condizione di fonastenia affonda le 
sue radici più indietro nel tempo. Mi 
chiedo, inoltre, quali ripercussioni una tale disodia possa avere avuto, negli 
anni successivi, sulla produzione artistica di Anita 
O'Day.            
            Proviamo a fare una piccola indagine… Prima, però, di procedere a ritroso nella vita artistica di
Anita O'Day per rintracciare, se possibile, le origini di questa 
fonastenia, vorrei fare una precisazione. Concordo in pieno con Franco Fussi quando sottolinea la differenza tra 
"ascolto funzionale" e "ascolto estetico" (1). Le due cose non si escludono a vicenda ma si completano. Essere in grado di affinare la propria abilità ad entrambe queste modalità 
di ascolto è un obbiettivo che, a mio avviso, dovrebbe porsi chiunque si appresti 
a lavorare con "le voci". E non mi riferisco soltanto alle figure del foniatra, del logopedista 
o dell'insegnate di canto ma anche a quella del musicologo o di uno "storico della 
voce". 
 
 La presenza di un limite fisico, ad esempio, o la semplice convinzione 
di averne uno che, come vedremo in seguito, è appunto quanto è accaduto ad
Anita O'Day, dovrebbe essere considerato un fattore da non trascurare 
ai fini di una migliore comprensione sia del percorso "stilistico" intrapreso da 
un/una cantante quanto anche della genesi di "nuove forme di sonorità" che potrebbero, 
in qualche modo, aver contribuito al nascere di nuovi "stili vocali" o di "nuove 
correnti" all'interno di un genere già consolidato.La stessa
Anita O'Day, ad esempio, sottolinea che l'assenza di vibrato che 
aveva costituito un fattore determinante nel procurarle l'appellativo di "vo-cool" 
era stata la conseguenza di un suo limite fisico e non il frutto di una "meditata 
ricerca stilistica" come, invece, diversi critici ritengono. Ma di questo ne parleremo in modo più dettagliato fra breve.
 
 Per un insegnante di canto jazz o di un qualunque altro stile vocale che 
faccia uso di "suoni sporchi" l'affinare entrambe queste modalità di ascolto costituisce 
addirittura una necessità. Riconoscere quando determinate sonorità sono dovute ad alterazioni di 
natura organica o quando, invece, sono la conseguenza di un semplice "malfunzionamento" 
del "vocal tract" è, infatti, di fondamentale importanza al fine di stabilire quali 
tra queste sonorità possono essere "riprodotte" e quali, invece, no. È un errore molto diffuso, infatti, quello di imitare "acriticamente" 
le sonorità usate dai propri idoli con conseguenze spesso "disastrose" sia da un 
punto di vista "funzionale" che "estetico". Impariamo, dunque, ad "Ascoltare" le voci che amiamo, a cercare di comprendere 
l'eziologia dei suoni che le caratterizzano invece di limitarci ad imitarle "acriticamente". Impariamo ad "usare" quanto la "scienza" ha messo a nostra disposizione 
senza il timore di intaccare le nostre "inclinazioni artistiche". Non è vero che la scienza uccide l'arte, anzi… la scienza può sostenere 
l'arte e, addirittura, arricchirla.Inoltre il fatto che io sappia che dietro un tramonto esistano delle leggi 
rigorosissime che ne consentono il verificarsi, non mi impedisce di emozionarmi 
ogni qualvolta ne veda uno anzi, per quanto mi riguarda, all'emozione che nasce 
dalla mera contemplazione estetica si aggiunge anche quella che nasce dalla consapevolezza 
non solo della "complessità di questo fenomeno" quanto anche della capacità della 
mente umana di "misurarne le leggi". La stessa cosa può accadere quando "contempliamo" un'opera d'arte o quando, 
addirittura, ne "produciamo" una.
 
 Ma ritorniamo all'ascolto funzionale e all'ascolto estetico e vediamo la 
definizione che ne dà lo stesso Franco Fussi.
 
 Per ascolto funzionale Fussi intende "l'abilità nel confrontare 
le modalità esecutive con le modalità fisiologiche di emissione". L'ascolto 
funzionale, minimizzando gusto e preferenze personali, si limita a cercare le "corrispondenze 
tra ciò che si ascolta e gli eventi fisiologici che ne sono alla base". "Un ascolto estetico ha invece a che fare quasi esclusivamente col gusto personale, 
che comprende variabili come la musicalità e la predisposizione psicologica a prediligere 
certi tipi di qualità vocale piuttosto che altri" 
(2). Ritorniamo, adesso, ad
Anita O'Day e ascoltiamo la seguente versione di "Tea 
for Two".Siamo sempre nel 1958… ma questa volta siamo 
in aprile… il brano è stato registrato al Mc Kelly Restaurant di Chicago. 
Tea for Two
 (Vincent Youmans/Irving Caesar)
 27 aprile 1958
 ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999
 
 La voce della O'Day "suona" in alcuni punti un po' velata ma, paragonandola 
alla versione di "Tea for Two" che 
abbiamo ascoltato nella lezione precedente, risulta essere indubbiamente più timbrata. Purtroppo non sono in 
possesso di altri brani registrati in questa data. Continuiamo, dunque, 
procedendo a ritroso… Siamo ancora nel '58 e 
sempre in aprile, precisamente il 3, soltanto 24 giorni prima dell'incisione che 
abbiamo ascoltato precedentemente… questa volta, però, non abbiamo una 
situazione di trio ma la O'Day canta accompagnata da un'orchestra, precisamente 
quella di Marty Paich. Ma a proposito di 
orchestre. All'interno delle grandi 
orchestre, "il ruolo delle cantanti era quello più 
chiaramente definito". La cantante doveva 
semplicemente eseguire la sua parte all'interno di un tutto già pianificato. "La cantante doveva soprattutto 
essere sexy, dolce". L'aspetto, o per essere più precisi ‘la bella presenza' 
aveva "la stessa importanza della sua abilità nel 
canto" in quanto "assicurava il legame visivo ed 
emotivo fra il pubblico e l'orchestra". Venivano definite i "canarini della banda", e venivano considerate sempre 
"come quell'elemento diverso e nuovo in grado di 
risaltare su uno sfondo di uniformi tutte maschili". "Le vocaliste prendevano uno 
stipendio inferiore agli altri membri dell'orchestra e mancavano di una 
qualsiasi protezione sindacale. La prima associazione di cantanti di grande 
orchestra apparve solo nel 1948, ma più per la pressione della American Guild of Variety 
Artists che per la volontà di lotta delle 
interessate" (3). Così quando Anita 
O'Day, durante la sua prima tournée, si presentò ad un concerto "con la stessa uniforme dei suoi compagni" l'evento non 
passò di certo inosservato. Per di più "Anita parlava 
con un gergo duro, aveva una voce acida e un senso dello humor tagliente". 
Tuttavia "il suo viso strano, i suoi grandi occhi, una 
certa trascuratezza, fecero davvero un grande effetto". "La sua voce e la sua presenza 
erano modeste" ma ella seppe introdurre un nuovo modo di cantare definito 
dai più "insolente". Tale insolenza non era altro, tuttavia, che una nuova forma 
di "sensualità" fino a quel momento "sconosciuta ai 
‘canarini'". Nonostante "tutti questi elementi contrari alle aspettative 
generali", nonostante Anita 
O'Day dimostrasse apertamente di rifiutare "il ruolo di canarino dell'orchestra", nonostante questa 
sua personalità così "insolentemente" trasgressiva, nonostante fosse priva di 
una "grande tecnica vocale" ella riuscirà, comunque, 
ad imporsi al grande pubblico "con la sola forza del suo 
fraseggio e del suo humor ironico ed elegante". Ella, tuttavia, riuscirà ad 
affermarsi grazie anche alla sua capacità di improvvisare come poche sue 
"compagne bianche" sapevano fare. "Il suo scat, infatti, 
aveva connotazioni ritmiche peculiari che la differenziavano dalle sue compagne 
bianche dell'epoca". A tale proposito va sottolineato che "Anita 
O'Day fu 'scoperta' da Gene Krupa, 
batterista di Benny Goodman, che l'aveva ascoltata 
cantare dodici chorus di seguito, tutti diversi, su ‘Lady Be Good'" 
(4).Ma ritorniamo al nostro brano. Il brano è "Take The 'A' Train" ed è eseguito in un tempo 
medium-fast. Take The 
'A' Train  (Billy Strayhorn)
 3 aprile 1958
 ALBUM: Anita O'Day 
Sings The Winners, VERVE: 1990
 …la voce, nel primo chorus, sembra piuttosto buona… con 
qualche suono velato disseminato qua e là. Sentiamo, tuttavia, la tendenza a 
cantare con una modalità di voce piuttosto "pressata" cosa che non avevamo 
accusato nel brano ascoltato precedentemente.
 Forse la presenza 
dell'orchestra?
 
 L'esigenza di marcare gli accenti?
 
 Carenze a livello della tecnica vocale?
 
 O 
forse un tale comportamento vocale potrebbe essere considerato, semplicemente, 
come il risultato di una personale ricerca stilistica non affidata al caso ma, 
"intuitivamente quanto caparbiamente coltivata"? 
(5)… ma vediamo cosa succede dopo… ascoltiamola con attenzione 
soprattutto nello SCAT e nel finale!
 Take The 
'A' Train  In questo caso la disodia è più 
accentuata ed è evidente soprattutto nelle note più acute e nei passaggi dai 
suoni più intensi a quelli emessi a volumi medio-bassi. 
 Prima di passare al brano 
successivo vorrei, tuttavia, riportare quanto scrive Marco Podda in un suo articolo sulla patologia vocale 
nel canto moderno dove tra le "cause di surmenage e 
malmenage vocale" elenca "frequenti episodi di utilizzo prolungato e abusi vocali; 
prassie con modelli fonatori estrememente ipercinetici; uso prolungato di 
attacchi estremamente aspri (per es. come nella tecnica scat del jazz)" 
(6).A questo punto mi chiedo 
se questo atteggiamento da parte della O'Day a cantare con "voce pressata", 
indipendentemente dalle cause che lo hanno determinato, non potrebbe essere 
considerato all'origine di quella leggera disodia che avevamo riscontrato nella 
voce della O'Day durante l'interpretazione del brano ascoltato 
precedentemente. Forse! Tuttavia è ancora presto per 
darci una risposta! Andiamo, dunque, avanti nella nostra indagine.
 
 Anche 
nel brano che segue, sempre medium-fast, la O'Day fa uso di una modalità di voce 
piuttosto pressata. 
Interlude (A Night In Tunisia)
  (J. "Dizzy" 
Gillespie/F.Paparelli/R. Leveen)
 3 aprile 1958
 ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990
 Lo stesso dicasi per il brano 
successivo. Four  (Miles 
Davis/B.Loughborough)
 3 aprile 1958
 ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990
 Ascoltiamola, adesso, in questa 
ballad… Early 
Autumn  (Woody Herman/J.Mercer/R.Burns)
 3 aprile 1958
 ALBUM: Anita O'Day 
Sings The Winners, VERVE: 1990
 Ascoltiamo l'inciso. 
 Early 
Autumn  La voce sembra essere 
piuttosto stanca… ma è interessante osservare come, pur con questo suo timbro 
talvolta rauco, talvolta velato, con "quel sound ‘sottile, di cartapecora' 
(secondo la definizione di Witney Balliett)" 
(7), la O'Day riesca a fare del brano che abbiamo appena 
ascoltato ma, oserei dire di qualunque altra "ballad", un'interpretazione così 
delicata e, allo stesso tempo, così carica di intensità… Come la O'Day riesca "ad affermarsi a dispetto e in virtù d'una voce eterodossa, 
fisicamente modesta, priva di qualità esplicite" (8). Questo, del resto, è quello 
che intendo quando dico che nel jazz la "bella voce", almeno secondo i cliché 
classici di valutazione, è veramente l'ultima cosa da prendere in 
considerazione… ma ci sono svariati modi di cantare il jazz… e questo è 
semplicemente uno dei tanti! Ma vediamo cosa dice la 
stessa Anita 
O'Day, a proposito della sua voce, nell'autobiografia ‘High Times Hard Times' (9). "Ho sempre avuto una voce da 
niente. Il collo più piccolo del mondo" (10). Volendo, inoltre, spiegare 
il perché del suo fraseggio secco e staccato e della sua incapacità di tenere a 
lungo nota e vibrato la O'Day, sempre nell'autobiografia ‘High Times Hard 
Times', "chiarisce che un medico distratto, 
asportandole, da bambina, le tonsille, le tagliò via anche l'ugola: ‘E così là 
in fondo non riesco a produrre alcun suono, perché non c'è niente che lo faccia 
vibrare. È questo il motivo per cui ho preso a cantare in crome e semicrome 
piuttosto che in semiminime. Invece di cantare «laaaaaa», canto 
«la-la-la-la-la-la-la-», per tenere la nota in movimento. La necessità spiega il mio 
stile" (11). Per cui, a quanto dice la 
stessa O'Day, l'assenza dell'uso del vibrato che caratterizza il suo modo di 
cantare non è stata tanto la conseguenza di una propria scelta stilistica quanto 
una necessità dettata dal proprio corpo (12). Will Friedwald, però, non 
concorda con questa tesi."Anita 
O'Day sostiene che un intervento sbagliato fatto da un medico 
distratto" l'abbia costretta a cantare usando frasi brevi, staccate e prive 
di vibrato che le hanno fatto guadagnare l'appellativo di ‘vo-cool'. "Ma il suo racconto, nel migliore dei casi, mi suona 
apocrifo" (13). 
 Ed infatti l'assenza di 
vibrato rappresenta uno degli aspetti più distintivi dei coolsters (così come venivano chiamati gli esponenti 
del cool jazz) (14), di cui la O'Day viene 
considerata membro a tutti gli effetti (15). Ma andiamo adesso "oltre la 
voce" e osserviamo come, attraverso queste sue sonorità, la O'Day riesca a 
raccontarsi in un modo così semplice e accattivante aprendoci le porte della sua 
interiorità e consentendoci di accedervi senza interporre ostacoli di nessun 
genere. E non sono l'unica persona a 
pensarla in questo modo. Vediamo, ad esempio, cosa 
dice, a tale proposito, Will Friedwald nel suo 
libro Jazz Singing: America's Great Voices From Bessie 
Smith To Bebop and Beyond. "Nel 1946 'The Holliwood Note' 
dedicò un breve spazio alla vita di Anita 
O'Day. In esso si diceva: 'Anita è completamente vera. Dice tutto 
ciò che pensa, indossa tutto quello che le piace, si comporta nel modo che più 
le aggrada'. Un simile commento su Anita 
O'Day è stato fatto dozzine di volte, da chiunque l'abbia 
intervistata, da chiunque abbia mai avuto modo di parlare con lei. La stessa 
cosa accadeva quando cantava. Come Jules Feiffer una 
volta disse, tutti noi vorremmo lasciarci andare di più alla nostra creatività, 
ma nelle nostre teste ci sono editori e critici che si intromettono 
continuamente. In Anita 
O'Day non esistevano tali barriere ad ostacolare la sua 
espressività" (16). Analizziamo adesso alcuni 
brani incisi il 2 aprile sempre del '58, cioè soltanto il giorno prima.Siamo ancora in una situazione di orchestra, questa 
volta quella di Russ Garcia: ascoltiamola in 
quest'altra ballad. My Funny Valentine  (R. Rodgers/L. Hart)
 2 aprile 1958
 ALBUM: Anita O'Day 
Sings The Winners, VERVE: 1990
 La voce sta indubbiamente 
meglio… ascoltiamo, soprattutto, i suoni da lei emessi nel finale del secondo 
chorus…  My Funny Valentine  è molto raro, almeno analizzando le registrazioni che ho 
avuto modo di ascoltare fino ad ora, che la O'Day emetta dei suoni così a piena 
voce! Riascoltando il brano con un po' più di senso critico è possibile, 
tuttavia, individuare alcuni difetti a livello dell'emissione vocale che, pur 
non intaccando, in alcun modo, la bellezza della sua interpretazione, anzi 
arricchendola, sia da un punto di vista estetico che comunicativo, potrebbero 
essere considerati come una possibile causa della maggiore presenza di "sintomi 
fonastenici" che abbiamo avuto modo di riscontrare nella voce della O'Day 
durante le incisioni del giorno successivo. Nel caso di "My Funny 
Valentine", tuttavia, sempre a mio avviso, tali "deficit" tecnici 
vengono accettati, se non addirittura ricercati, in favore di un'esigenza 
stilistica che predilige un suono fermo, non vibrato, sommesso, preferibilmente 
"velato", a sonorità piene e ben timbrate (17). Le stesse note emesse nella parte finale del brano, cui 
accennavo precedentemente, come avremo modo di vedere, rappresentano, nella 
"storia delle sonorità" utilizzate da Anita 
O'Day, una rarità... le ritroveremo, infatti, soltanto in pochissime 
occasioni. Ma su quali basi faccio un 
tale tipo di affermazioni?Prima di cercare di 
dare una risposta a quest'ultimo interrogativo è, però, necessario riascoltare 
alcuni passaggi dell'interpretazione di "Fly Me To The 
Moon" registrata al Newport Jazz Festival del '58 che abbiamo già 
avuto modo di sentire nella lezione precedente. Fly Me To The Moon(Bart 
Howard)
 7 luglio 1958
 ALBUM: Tea for Two, MOON RECORDS: 1990;
 
 Fly 
Me To The Moon 1
  Fly 
Me To The Moon 2
  Fly 
Me To The Moon 3
  Ascoltando con attenzione 
possiamo rilevare che nella versione di "Fly Me To The 
Moon" registrata nel '58, "il grado globale 
di alterazione della voce cantata o di disodia", rispetto alla versione di 
"My Funny 
Valentine" registrata nell'aprile dello stesso anno, è indubbiamente 
maggiore. Così come è maggiore "il grado di astenia 
vocale (voce astenica)" percepibile. La voce, infatti, è palesemente più 
stanca… i suoni velati più accentuati e frequenti. In altre parole maggiore e, 
soprattutto, più costante è "il grado di fuga d'aria 
glottica udibile (voce soffiata o breathiness)" (18). 
 Quella che dai foniatri viene definita voce ‘soffiata' 
"suggerisce una riduzione della continenza glottica con 
tipi e gradi diversi di insufficienza adduttoria (mancata realizzazione di 
contatto glottico completo)" (19).
 
 Da qui la fuga d'aria 
glottica che è possibile percepire in quantità differente a seconda, appunto, 
del "tipo e grado di insufficienza adduttoria" 
(20). Le cause che determinano la 
presenza di suoni soffiati possono essere di natura disfunzionale od organica. 
La voce soffiata può, tuttavia, anche essere prodotta volontariamente 
(21). È importante, infatti, saper "differenziare ciò che può dipendere da una vera patologia 
vocale da ciò che deriva invece dal tipo di emissione adottata che è spesso 
legata allo stile e alla didattica appresa" (22). Quindi, mentre nella 
versione di "Fly Me To The Moon" la voce così marcatamente 
velata può, a mio avviso, essere considerata come la conseguenza di uno stato 
generale di fonastenia (23), in "My Funny Valentine" il 
"sapore" dei suoni soffiati è leggermente diverso.
In questo caso, a 
mio avviso, la "voce soffiata" è la conseguenza di una scorretta gestione della 
tensione delle corde vocali anziché di un affaticamento vocale generale come nel 
caso di "Fly Me 
To The Moon". Ma 
per il momento dobbiamo rimandare ogni tentativo di spiegazione ad una lezione 
successiva in quanto la comprensione della differenza tra una voce "astenica" e 
un suono soffiato emesso volontariamente o, comunque, sporadicamente è possibile 
soltanto se si conosce, almeno per sommi capi, l'anatomia e la fisiologia della 
laringe. Argomento, quest'ultimo, che mi propongo di affrontare nella prossima 
lezione.
 
 Ritorniamo, quindi, ad Anita 
O'Day. Nella versione del luglio 
'58 
sono evidenti, anche, problemi sia di rifornimento che di gestione respiratoria. 
In conseguenza di tale deficit si accusa la necessità da parte di Anita 
O'Day di dover forzare la voce ovvero di dover "impegnare la muscolatura laringea estrinseca (‘stringere la 
gola')" "per poter ottenere la pressione sufficiente 
a guidare l'espirazione e a potenziare l'intensità" (24) della voce soprattutto in alcuni passaggi particolarmente 
critici. Ancora una volta, però, mi 
viene da pensare che questa "incoordinazione pneumofonica" potrebbe essere, in 
"Fly Me To The 
Moon" determinata più da uno stato di stanchezza fisica generale che, 
semplicemente, da una errata gestione delle "prassie fono-articolatorie" o della 
"coordinazione pneumo-fonatoria" cosa che, invece, mi sembra di rilevare in 
"My Funny 
Valentine" dove la tipologia di emissione adottata sembra più in 
linea con i canoni estetici della O'Day e dove, inoltre, la presenza di sonorità 
decisamente più "timbrate" ci induce a pensare che quelle "clinicamente 
scorrette" siano, come dicevo all'inizio, se non ricercate quanto meno 
accettate.A questo punto mi chiedo, questa 
"accettazione" da parte della O'Day, di un certo tipo di sonorità, è stata 
motivata da esigenze stilistiche (25) oppure è stata una 
semplice conseguenza del fatto che la O'Day attribuisse tali "deficit vocali" ad 
un errato intervento alle tonsille da lei subito quando ancora bambina? È possibile che questa sua 
convinzione le abbia impedito di riconoscere ed eventualmente superare tali 
"deficit tecnici"?
 In altre 
parole, se Anita 
O'Day, non avesse avuto la convinzione che un certo tipo di sonorità 
le derivassero da un limite fisico anziché da una scorretta gestione della 
tecnica vocale, il "corso degli eventi" avrebbe potuto prendere una piega 
diversa?
 Non possiamo 
saperlo!
 Ad ogni modo è 
andata così!
 Bisogna, 
tuttavia, riconoscere che, per quanto, in un certo qual modo, una simile 
convinzione possa aver svolto un ruolo non indifferente "nell'alterare" la salute vocale di Anita 
O'Day, non possiamo certo dire che essa abbia in qualche modo 
ostacolato la sua "arte"… anzi!
 
 Tuttavia per 
quanto sia vero che la storia non si fa con i "se" dobbiamo riconoscere come il 
suo percorso possa, talvolta, essere influenzato da fatti accidentali che 
inducono a prendere delle decisioni che spesso modificano, anche in modo 
decisivo, il "normale procedere degli eventi".
 Oppure dobbiamo dare ragione a chi sostiene che 
"nulla accade per caso"?
 E che, quindi, quegli "eventi accidentali" sono 
molto meno soggetti alle leggi del caso di quello che pensiamo?
 
 Personalmente considero l'argomento di particolare 
interesse in quanto concordo con coloro che ritengono che la scrittura della 
storia non debba essere intesa soltanto come lo scrivere "sugli eventi del 
passato" ma, soprattutto, come una "rilettura del passato" allo scopo di 
ricavarne insegnamenti per il presente. "Il 
presente" dice Adriano Zamperini "respira attraverso la sua storia".
 
 Comprendere la giustezza o meno di una "scelta" e 
fino a che punto si possa sostenere che il "libero arbitrio" sia semplicemente 
un'illusione potrebbe essere di fondamentale importanza per il consolidarsi di 
un' "etica sociale della responsabilità".
 
 Essendo, però, 
l'argomento di non semplice trattazione ritengo che, per il momento, dobbiamo 
abbandonarlo con la speranza di poterlo riprendere in seguito (26).
 
 Ritorniamo, quindi, ad Anita 
O'Day.
 
 Nel brano che segue sentiamo che, in diversi punti, è 
presente un po' di raucedine mentre in altri la voce risulta essere un tantino 
affaticata anche se, nel complesso, non riscontriamo alterazioni particolarmente 
evidenti.
 
 La raucedine o voce rauca (roughness) rientra in quella 
categoria di suoni che la foniatria ha etichettato come "voce sporca" e che risultano caratterizzati da comparsa 
di "rumore tra le armoniche" (27).
 Se la 
presenza di rumore è costante ed è riscontrabile alle alte frequenze (oltre i 
2500 Hz) allora parliamo di "voce soffiata".
 Quando la presenza del rumore 
costante è alle basse frequenze (sotto i 2500 Hz) allora parliamo di "raucedine" (28).
 Anche per quanto riguarda 
questo argomento rimando ad una lezione successiva per una spiegazione più 
approfondita.
 What's Your Story, Morning Glory  (M.L.Williams/J.Lawrence/P.Webster)
 2 aprile 1958
 ALBUM: Anita O'Day 
Sings The Winners, VERVE: 1990
 
 Ascoltiamo adesso 
quest'altro brano. La data e la situazione sono le stesse dei due brani 
ascoltati precedentemente ma l'effetto è indubbiamente diverso.A questo punto bisogna tener presente che quando si 
analizzano più brani eseguiti in uno stesso concerto o incisi in una stessa 
seduta di registrazione è importante valutare l'ordine di esecuzione dei 
brani. 
 È chiaro che nei brani 
eseguiti/registrati per ultimo, la voce risulterà più stanca soprattutto se chi 
canta non possiede una buona tecnica o se si canta in "cattività" (29).Ascoltiamo, dunque, il 
brano. Sing, 
Sing, Sing (With A Swing)  (Louis Prima)
 2 aprile 1958
 ALBUM: Anita O'Day Sings The Winners, VERVE: 1990
 La voce, in questo brano, a 
differenza dei due precedenti, è quasi perfetta…Anche se è sempre percepibile l'atteggiamento da parte 
della O'Day ad usare una modalità di voce piuttosto pressata.
 
 Ancora una volta mi chiedo 
se i sintomi fonastenici così "palesi" che abbiamo riscontrato nella voce della 
O'Day durante il Newport Jazz Festival del luglio '58 non siano la 
conseguenza di una tecnica poco curata ed in particolare di questo suo 
atteggiamento a cantare con una modalità di voce piuttosto pressata. Ma continuiamo il nostro 
viaggio a ritroso… e lasciamo che sia stesso la voce della O'Day a confutare o a 
confermare questa mia ipotesi!Ascoltiamo adesso 
parte di questo "Old Devil Moon" e parte del brano successivo. 
Siamo nel '57 e precisamente il 31 gennaio, negli 
Universal Studios di Chicago, con piano, chitarra, basso e batteria. Old Devil 
Moon  (Arthur Lane/Yip Harburg)
 31 gennaio 1957
 ALBUM: Ultimate 
Anita O'Day, VERVE: 1999
 
 Love Me 
or Leave Me
  (Walter Donaldson/Gus 
Kahn)
 31 gennaio 1957
 ALBUM: Ultimate Anita O'Day, VERVE: 1999
 Anche in questa occasione 
possiamo individuare nella voce di Anita 
O'Day la presenza di sintomi fonastenici piuttosto marcati.Quindi lo stato di disodia così 
accentuato che abbiamo riscontrato nel concerto del '58 non costituisce un 
episodio isolato all'interno del percorso artistico della O'Day!
 
 Andiamo adesso ancora un po' più in dietro nel 
tempo…Retrocediamo di circa un mese.
 Sweet 
Georgia Brown  (Kenneth Casey/Maceo 
Pinkard)
 20 dicembre 1956
 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 Questa volta siamo negli 
studi della Capitol, a Hollywood, con l'orchestra di Buddy Bregman… a parte quella voce leggermente velata e 
quel po' di raucedine che, come abbiamo visto, eccetto che in rarissimi momenti, 
caratterizzano il modo di cantare di Anita 
O'Day, possiamo dire che, in questa particolare occasione, la voce 
della O'Day non presenti alterazioni di particolare rilievo… anche se, 
ascoltando con un po' più di attenzione, possiamo prendere atto di come la O'Day 
sopperisca ad evidenti carenze di natura tecnica con uno sforzo vocale non 
indifferente. Secondo quanto sostiene il 
Le Huche: "la prima cosa che 
si fa inconsciamente quando la voce non ‘suona bene' per qualsiasi ragione è di 
forzarla affinché ‘esca' ugualmente. Tale sforzo vocale si traduce forse 
all'inizio con un accrescimento momentaneo di efficacia, ma al prezzo di uno 
sforzo ‘smisurato' che sfocia in una progressiva diminuzione di rendimento (cioè 
del rapporto efficacia/dispendio d'energia)" (30). In altre parole "questo stato conduce ben presto ad una riduzione della 
produzione vocale. Sotto l'effetto di fattori favorenti il soggetto può essere 
condotto a continuare ad accrescere il proprio sforzo, proporzionalmente 
all'abbassamento del rendimento vocale. Meno facilmente si produce la propria 
voce, più egli si sforza… e più si sforza, meno diventa facile produrre la voce. 
È il classico circolo vizioso di sforzo vocale" (31). Tale comportamento di sforzo 
vocale "finisce per divenire un'abitudine e conduce a 
distorsioni durature del meccanismo della produzione vocale che alterano in 
particolare la meccanica della voce ‘proiettata'" (32), determinando "un cambiamento 
delle qualità timbriche (voce aspra, tesa, pressata)" nonché "alterazioni delle dinamiche di frequenza (voce calante o 
crescente) e nelle 
caratteristiche del vibrato (stretto, ‘caprino', 
per rigidità del collo-mandibola, o ampio, ‘ballante' per tecniche di eccessivo 
affondo)" (33). A questo punto rimando 
l'attenzione del lettore ad un'altra interpretazione di ‘Sweet Georgia Brown' di 
cui su internet è disponibile un breve filmato tratto dal lungometraggio Jazz On A Summer's Day (Newport Jazz Festival 
del '58) (34). Tale filmato ci dà la 
possibilità di osservare quanto riportiamo qui di seguito. Un tale comportamento di 
sforzo vocale si traduce, inoltre, a livello posturale, in una "perdita della verticalizzazione (flessione della porzione 
toracica della colonna vertebrale)". "Per compensazione, il soggetto 
tende a verticalizzare la testa flettendo il collo e spostando quindi il mento 
in avanti" (35). Ne consegue una "iperlordosi cervicale" che "altera lo stato delle curvature fisiologiche a livello 
cervicale" favorendo "la presenza di contratture ai 
muscoli del collo" (36). "Un tale tipo di tensione non 
tarda a diffondersi alla muscolatura del viso" (37) determinando la "presenza di 
discinesie al viso ed un eccesso della mimica facciale" (38). L'infossamento toracico e la 
protrusione del mento provocano uno stiramento della muscolatura che collega il 
mascellare inferiore al laringe (muscoli sovraioidei) e il laringe al manubrio 
sternale (muscoli sottoioidei)" (39). Le tensioni possono, 
inoltre, diffondersi anche agli arti superiori causando generalmente "un innalzamento o una antero- e postero- rotazione delle 
spalle" (40)… "e quindi alla globalità del corpo" (41). "Esiste una interazione profonda 
tra modalità/necessità performative e postura: prima di tutto le cavità di 
risonanza ricevono un forte condizionamento da alterazioni posturali che 
limitino la realizzazione di una corretta proiezione vocale (richiedendo 
compensazioni non ergonomiche per recuperare il "focus" vocale). In secondo luogo, gli squilibri 
posturali possono limitare la gestione della laringe (ad esempio la sua 
posizione nel collo, così come l'equilibrio di utilizzo dei muscoli laringei 
intrinseci) favorendo un ipertono fonatorio di compenso, con alterazioni del 
vibrato e difficoltà nelle transizioni tra i 
registri vocali. I disordini posturali 
influiscono poi negativamente anche sulla respirazione costo-diaframmatica, 
specie per l'equilibrio dinamico tra appoggio e sostegno del fiato, ma anche in 
termini di controllo della durata fonatoria" (42). "L'alterazione vocale è 
estremamente variabile a seconda dei casi, dei momenti, dei tipi d'atto vocale 
in corso" (43). "Essa può esistere senza alcuna 
problematica della mucosa delle pliche vocali" (44). Sia i suoni velati che la 
raucedine che caratterizzano la voce della O'Day non necessariamente, quindi, 
implicano la presenza di alterazioni di natura organica. A proposito di raucedine, 
"nel 1887, Frankel stabilì la nozione 
di ‘mogifonia' che egli descrisse come una ‘raucedine senza lesione visibile'. 
Si tratta di un'alterazione del timbro della voce in soggetti in cui, 
stranamente, l'esame laringoscopico non rileva alcuna lesione. In quest'epoca 
era difficile comprendere come la voce potesse essere alterata malgrado 
l'integrità dell'organo vocale. Flateau e Gitzman, nel 1906", tuttavia, 
spiegarono come la voce potesse andare incontro a delle alterazioni anche 
semplicemente in conseguenza di "'un‘affaticabilità 
anormale dell'organo vocale', da cui il nome di fonastenia che diedero 
all'affezione. Nel 1935 Tarneaud dimostrò che la disorganizzazione del gesto fonatorio è 
suscettibile di provocare un'alterazione vocale. Questa disorganizzazione 
risulta soprattutto, per Tarneaud, da ciò che egli chiama una ‘disorganizzazione 
pneumofonica' cioè un difetto di coordinazione fra il comportamento del soffio 
da una parte, e quello del vibratore (laringe) dall'altra. Egli mostra inoltre che tale 
‘disfunzione' può sfociare, tramite il meccanismo dello sforzo vocale, ad una 
lesione organica del laringe" (45). Un tale "comportamento da sforzo" comporterà infatti "un incremento delle forze di contatto del bordo libero 
delle corde vocali" con "fenomeni di attrito 
intercordale" (46). "In tal modo una turba puramente 
funzionale all'inizio può provocare un'alterazione della mucosa laringea, quale 
un nodulo, un polipo, ecc." (47). Tuttavia Le Huche aggiunge che "nei 
cantanti di musica leggera l'esigenza di qualità è in questo caso meno 
rilevante. La voce qualche volta non ha una grande importanza; ciò che conta 
sono la ricchezza e la forza del contatto con il pubblico. La tecnica vocale 
spesso è molto deficitaria, gli errori di tecnica sono spesso enormi. Il 
comportamento di sforzo è spesso notevole. Alcune lesioni o anomalie scatenano a 
volte delle particolarità timbriche che rappresentano, addirittura, un vantaggio 
per il cantante (48).Ascoltiamo qualche 
altro brano registrato nella medesima situazione… Stompin' at the 
Savoy(Benny Goodman/Edgar Sampson/Chick Webb/Andy 
Razaf)
 20 dicembre 1956
 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 
 Stompin' at the Savoy 1
  Stompin' at the Savoy 1
  La voce della O'Day risulta 
essere sempre piuttosto affaticata. Ascoltiamola 
ancora in un altro brano… lascio a voi ogni commento che sono sicura siete 
oramai in grado di fare da soli… I 
Never Had a Canche  (Irving Berlin)
 20 dicembre 1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 Ascoltiamo ancora un altro 
brano. Stessa situazione ma il giorno precedente… Stars Fell on Alabama  (Frank Perkins/Mitchell 
Parish)
 19 dicembre 1956
 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 "Alternate take" (49): Stars Fell on Alabama  (Frank Perkins/Mitchell 
Parish)
 19 dicembre 1956
 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 Ancora il giorno prima, 18 
dicembre '56… la voce sembra buona… eccetto che in 
qualche passaggio…ma, anche in questo caso, le 
"irregolarità" sembrano più dovute ad una cattiva tecnica (errata gestione delle 
risonanze, delle tensioni muscolari e della meccanica respiratoria) che alla 
presenza di una qualche forma di patologia.
 Don't Be 
That Way  (Benny Goodman/Edgar 
Sampson/Mitchell Parish)
 18 dicembre 1956
 ALBUM: Pick Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 Ascoltiamo qualche altro 
brano… Let's Face the Music and Dance  (Irving Berlin)
 18 dicembre 1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 
 I 
Used to Be Color Blind
  (Irving Berlin)
 18 dicembre 1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 Siamo sempre nel '56… 
questa volta il 23 febbraio…La vediamo ancora una volta a Los Angeles con 
l'orchestra di Buddy Bregman….  The Getaway and the Chase  (Biff Jones/Charles Meyer)
 23 febbraio 1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 La voce è buona… ma molto 
"pressata" come tutte le volte in cui abbiamo trovato la O'Day in "gran forma"! Sentiamo, ad esempio, quanta "energia in eccesso" la O'Day mette nelle note 
conclusive del brano. Ascoltiamo adesso quest'altro 
brano… We Laughed at Love(composer unknown)
 23 febbraio 
1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 
 We 
Laughed at Love 1
  We 
Laughed at Love 2
   È possibile osservare l'assenza 
di particolari virtuosismi vocali… il tutto è calmo, rilassato, cool appunto!
 A tale proposito mi viene in 
mente quanto puntualizzato da Gian Carlo Roncaglia a 
proposito del cool jazz. "Si è equivocato per anni sul 
termine, cool, trasformandolo in ‘freddo', con la traduzione dell'inglese 
‘cold'; nel gergo americano, fra l'altro, ‘to keep cool' significa, 
letteralmente, ‘rimanere calmi'" (50). "Essere cool" non significa, 
quindi, tendere al cerebrale o al totale distacco emotivo dal brano che si sta 
suonando o cantando, come molti, invece, sostengono (51). Ma a proposito di 
emozioni… "Ognuno sa che, se la voce può 
esprimere l'emozione, l'emozione può a volte turbare la voce". Tuttavia per quanto sia "vero che l'anamnesi rivela sovente l'esistenza di fattori 
psicologici all'origine della disfonia, la tendenza (frequente) di cercare 
l'unica spiegazione di ogni disfonia in un problema di ordine psicologico, 
rischia di portare a dispersioni. A volte è la turba vocale che 
provoca delle problematiche psicologiche" (52). Ma l'emozione non è solo un 
ostacolo… l'emozione può diventare anche un veicolo attraverso il quale si può 
trasmettere, comunicare… Nel brano che abbiamo appena 
ascoltato, ad esempio, la O'Day, attraverso le sue timbriche calde e rilassate, 
mi comunica, facendomi rivivere in prima persona, quel piacere che si prova 
negli attimi magici in cui si canta. Quando si dimenticano tutti i problemi e si 
prova un senso di dolcezza e di "temporanea" serenità. Quei momenti fantastici in 
cui, attraverso la propria voce, si entra in contatto con la propria intimità e 
quella di coloro che ci "Ascoltano". La voce così come gli occhi 
è una delle così dette porte di accesso a quello che di più vero esiste in noi… 
con la voce, con gli occhi… ma con il corpo nel suo complesso non si può 
mentire! La grandezza di un artista, 
dunque, non sta, a mio avviso, nel possedere una bella voce così come, 
purtroppo, molti pensano ma nella capacità di usare la propria voce, come un 
tramite che permetta a chi ascolta di entrare "in contatto" con quello che 
l'artista è nel momento in cui produce l'opera… con la sua verità di quel 
momento! In linea con quanto dice E. Fromm, la vera arte non sta nell'avere, nel 
possedere… ma nel lasciare che il proprio essere si manifesti così come è in 
quel momento specifico (53).Questo è quello che 
io "sento" quando ascolto questa versione di "We Laughed at 
Love"… 
 … oltre, 
chiaramente, alla ‘raucedine' e ai ‘suoni velati'… ma andiamo avanti! 
(54).
 I'm Not Lonely(composer unknown)
 23 febbraio 
1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 
 I'm Not 
Lonely 1
  I'm Not 
Lonely 2
  Anche in questo caso è evidente 
l'assenza di tecnica. La stessa cosa la riscontriamo nel brano 
seguente. Your Picture's Hanging Crooked on the Wall  (composer unknown)
 23 febbraio 1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 La registrazione che segue è 
stata fatta, invece, il 12 febbraio sempre del '56. In questo caso la 
O'Day canta con l'orchestra di Gene Krupa al Fine 
Sound di New York City.Il brano è "Let Me Off Uptown" dove vediamo la O'Day 
cimentarsi in "divertenti e briosi dialoghi con l'altra 
vedette dell'orchestra, il trombettista di colore Roy 
Edlridge", testimonianza "d'un già felice 
connubio tra jazz e umorismo" che costituisce, da sempre, una caratteristica 
stilistica della cantante (55).
 Let Me Off Uptown(Earl Bostic/Redd Evans)
 12 
febbraio 1956
 ALBUM: Ultimate 
Anita O'Day, VERVE: 1999
 
 Let Me 
Off Uptown 1
  Let Me 
Off Uptown 2
  La voce, tuttavia, non sembra 
essere per niente a posto... si accusa una fatica fisica generale. Stessa cosa 
si può dire per Roy Eldridge (tromba e voce).
 Ma a 
proposito di swing… sentite come sia Roy Eldridge 
che la O'Day "swingano" anche quando parlano… è il caso di dire che cantano come 
parlano.
 
 Io credo che uno dei motivi per cui il jazz sia nato in 
America è proprio perché la lingua americana si presta a questo genere musicale. 
Si potrebbe dire che è di per sé "swingante"!
 
 A questo punto sarebbe 
interessante capire che tipo di relazione passa tra un particolare genere 
musicale e l'idioma della popolazione al cui interno tale genere musicale si è 
originato.
 In particolare in rapporto alle inflessioni 
tipiche di questo idioma o all'intonazione intesa come "modulazione della voce nella pronuncia di una parola" 
(56).
 In 
altre parole la relazione che intercorre tra "l'idioma" di una determinata 
popolazione e il suo modo di pensare gli "accenti" della musica.
 Cercare di capire, inoltre, se 
un particolare genere musicale possa andare incontro a delle variazioni anche in 
relazione al mutare della cadenza (intesa qui come inflessione della voce 
parlata) dei diversi musicisti che lo "suonano/cantano"... "pensano"!
 
 Ascoltiamola adesso in questa versione di "The Rock'n Roll Waltz". Il brano è stato 
registrato il 4 gennaio del '56 sempre con l'orchestra di Benny Bregman.
 The Rock'n' Roll Waltz(Shorty Allen/Dick Ware)
 4 gennaio 
1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 
 The 
Rock'n' Roll Waltz 1
  The 
Rock'n' Roll Waltz 1
  La voce sembra essere più che 
buona… oserei dire quasi irriconoscibile!
 Eppure dietro questa apparente 
"potenza vocale" si cela uno di quelli che ritengo essere tra i più pericolosi 
difetti della voce cantata.
 I foniatri la definiscono "ipercinesia fonatoria o senso di qualità pressata della 
voce".
 
 Il termine "voce pressata", tuttavia, non ci è nuovo, 
lo abbiamo già usato in diverse occasioni… ogni qual volta abbiamo incontrato 
un'Anita 
O'Day un po' più in energia!
 
 L'ipercinesia fonatoria, così 
come la voce soffiata e la raucedine, "rientra nelle 
alterazioni della qualità vocale a carico prevalentemente della 
sorgente laringea".
 Nel'ipercinesia fonatoria, 
infatti, si riscontra un aumento delle resistenze glottiche per incremento del 
tono muscolare sia a livello dei muscoli intrinseci che di quelli estrinseci 
della laringe (oltre che di quelli del collo e delle spalle), con "decisivo aumento del tempo di contatto glottico e 
interessamento delle false corde" (57).
 
 Personalmente, ritengo che questo comportamento di 
"ipercinesia fonatoria" sia da ritenersi una delle cause principali che hanno 
determinato il manifestarsi dei sintomi fonastenici che, in modo più o meno 
accentuato, abbiamo riscontrato, in più di un'occasione, nelle voce di Anita 
O'Day ed in particolar modo durante il Newport Jazz Festival del 
1958.
 
 È inutile puntualizzare che 
anche altri fattori vi hanno contribuito: la vita sregolata, l'alcool, la droga, 
lo stress che comporta il "mestiere del cantante", ad esempio, non avranno di 
certo attraversato la vita della O'Day senza lasciare tracce sul suo corpo e, 
quindi, sulle sue "corde vocali". Di questo, tuttavia, ne parleremo in modo più 
dettagliato nella III parte della lezione dedicata ad Anita 
O'Day.
 
 Prima di procedere ritengo, però, necessario citare 
ancora Franco Fussi in particolare quando scrive che 
"L'atteggiamento fonatorio ipercinetico, di ‘spinta' tra 
le corde che genera fonastenia, è comune" a quei cantanti "che, salendo la gamma tonale, non adeguano opportunamente 
le cavità di risonanza per realizzare quello che i Maestri chiamano il ‘giro' 
della voce, o che rinforzano il suono per incremento dell'attività muscolare 
alla sorgente, in altre parole ‘spingono' o forzano la voce. Il suono viene così 
descritto come pressato, teso, duro schiacciato. Questo atteggiamento è comune 
soprattutto" in quei cantanti "che equivocano il 
concetto di portata vocale con l'aumento delle forze muscolari in gioco e che 
non hanno ancora individuato gli atteggiamenti adeguati dei risuonatori per 
ottenere suoni del registro pieno con consonanza di testa: sono quei cantanti 
che hanno imparato a cantar sempre forte, si lusingano anche del bel colore, ma 
poi nel passare ai pianissimi e alle mezze voci ‘stringono' il suono o lo 
‘sbiancano' perché non riescono a mantenere le ‘posizioni' in maschera" 
(58).
 
 Ma, come nel caso della voce soffiata o della 
raucedine, per poter comprendere a fondo l'eziologia di questa tipologia di 
suono è necessario prima di tutto studiare l'anatomia e la fisiologia della 
laringe per cui, per il momento, ci limitiamo a riconoscere acusticamente il 
fenomeno rimandandone lo studio più approfondito ad uno stadio successivo.
 
 Torniamo, adesso, al nostro brano.
 Oltre all'ipercinesia fonatoria 
notiamo anche delle difficoltà da parte della O'Day nella gestione delle 
modalità di rifornimento d'aria in particolare in relazione alle pause 
inspiratorie.
 Ma anche per quanto riguarda questo 
argomento ne rimando una trattazione più approfondita ad un momento 
successivo.
 
 Continuiamo, dunque, il nostro lavoro di "ear training" 
della voce... ascoltiamo il seguente brano.
 I'm With 
You  (composer unknown)
 4 gennaio 1956
 ALBUM: Pick 
Yourself Up with Anita O'Day, VERVE: 1992
 Passiamo adesso al 1955, i due brani che seguono sono stati 
registrati in data 8 dicembre '55 negli studi della 
Capitol a Holliwood…con la Buddy Bregman 
orchestra… Honeysuckle Rose(Fats Waller/Andy Razaf)
 8 
dicembre 1955
 ALBUM: Anita O'Day: finest hour, VERVE: 
2000
 
 Honeysuckle Rose 1
  Honeysuckle Rose 2
  Anche qui la voce non 
risulta essere particolarmente a posto. You're The 
Top  (Cole Porter)
 8 dicembre 1955
 ALBUM: Anita O'Day 
Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991
 Stessa cosa del brano 
precedente.
 Quella che segue è, invece, una registrazione 
radiofonica.
 Anita's 
Blues(Anita O'Day)
 28 
giugno 1954
 ALBUM: Anita O'Day: finest hour, VERVE: 
2000
 
 Anita's 
Blues 1
  Nel "I Didn't Know What Time It Was" che stiamo per 
ascoltare la voce risulta essere abbastanza buona. I Didn't Know What 
Time It Was(Richard Rodgers/Lorenz Hart)
 28 giugno 1954
 ALBUM: "We'll Have 
Manhattan", The Rodgers & Hart Songbook, VERVE: 1993;
 
 I Didn't 
Know What Time It Was 1
  I Didn't 
Know What Time It Was 2
  Anche qui la voce risulta 
essere abbastanza buona. Just One Of Those Things  (Cole Porter)
 aprile 1954
 ALBUM: Anita O'Day 
Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991
 Lo stesso dicasi per il 
brano che segue. Love For 
Sale  (Cole Porter)
 22 gennaio 1952
 ALBUM: Anita O'Day 
Sings Cole Porter with Billy May, VERVE: 1991
 Anche in questa 
interpretazione di "Love For Sale", come abbiamo già 
riscontrato in diverse occasioni ed in particolare nella versione di "The Rock'n' Roll Waltz" che abbiamo ascoltato 
precedentemente notiamo delle difficoltà, da parte di Anita 
O'Day, nella gestione delle modalità di rifornimento d'aria. Anche 
qui soprattutto in relazione alle pause inspiratorie.
 Nei 
due brani successivi non si accusano alterazioni particolarmente evidenti.
 Malaguena  (Lecuona)
 1947
 ALBUM: I Told Ya I Love Ya, 
Now Get Out, ZILLION: 1991 (1984);
 How high the moon  (Hamilton/Lewis)
 1947
 ALBUM: I Told Ya I Love Ya, 
Now Get Out, ZILLION: 1991 (1984);
 E il materiale a mia 
disposizione si esaurisce qui (59)… nella terza parte della 
lezione dedicata ad Anita 
O'Day, invece, come ho già accennato nell'introduzione, mi propongo 
di fornirvi degli esempi relativi a registrazioni fatte dalla O'Day dal '58 in 
avanti al fine di osservare se la pronunciata fonastenia che abbiamo riscontrato 
nella voce di Anita 
O'Day durante il Newport Jazz Festival del '58 abbia influenzato, 
in qualche modo, la produzione artistica della cantante degli anni 
successivi. 
 Quindi ricapitolando…
 
 Diciamo che, pur conservando 
una voce tendenzialmente velata e priva di qualunque forma di vibrato, 
caratteristica quest'ultima che, come abbiamo più volte detto, la O'Day fa 
risalire ad una operazione alle tonsille subita da bambina in cui per errore le 
asportarono anche "l'ugola" (60), è nel '57 che la 
O'Day comincia a manifestare dei fastidi un po' più consistenti, a livello 
vocale, che culmineranno nella disodia del '58. Fastidi che è evidente sono 
la conseguenza di un uso più istintivo che tecnico della voce e che, va 
puntualizzato, sono anche da attribuire ad uno stato psico-fisico tutt'altro che 
'favorevole' dovuto non solo allo stress che "il mestiere del cantante" 
(61) comporta ma anche, se non prevalentemente, all'uso di 
superalcolici e di stupefacenti di cui la O'Day faceva già uso abbondante negli 
anni fino ad ora presi in esame. La droga, infatti, prima 
leggera e poi pesante, metterà a repentaglio non solo la "tranquillità" della 
cantante in conseguenza dei "frequenti infortuni con la 
polizia" (62) che la costringeranno 
"ai margini della legge per circa un ventennio" 
(63) quanto anche la sua stessa vita. Verso la fine degli anni 
'60 
la O'Day verrà, infatti, sfiorata dalla morte per overdose. Alla fine, tuttavia, la 
O'Day riuscirà a disintossicarsi (64).Quali ripercussioni una tale esperienza possa aver 
avuto sulla voce di Anita O'Day è il tema che mi propongo di sviluppare nella 
terza parte del mio breve excursus dedicato alla 
"voce" di questa grande artista. 
 Adesso, però, ritengo sia 
arrivato il momento di staccarci un attimo da Anita 
O'Day per avventurarci nell'esplorazione di uno degli organi, a mio 
avviso, più affascinanti di tutto l'apparato fonatorio: mi riferisco alla 
laringe, l'organo "generatore del suono"!
 
 A presto Sandra 
Evangelisti.
 
 NOTE:
 (*) Le espressioni "ascolto funzionale" e 
"ascolto estetico" sono state prese da Franco Fussi, "La valutazione del 
cantante", in Franco Fussi (a cura di), La voce del 
cantante: Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, volume III, 2005, p. 
34; mentre, invece, l'espressione "la necessità spiega lo stile" è della stessa 
Anita O'Day, vedi Luciano Federighi, Cantare il jazz: 
L'universo vocale afroamericano, Bari: La Terza & Figli, 1986, p. 
94;
 (**) M. Oakeshott, Experience and its Modes, 1933, 
p. 99, citato in: Edward H. Carr, Sei lezioni sulla 
storia. La Rivoluzione Russa, Torino: Giulio Einaudi Editore, 1980, p. 
27;
 
 (1) Franco Fussi, "La 
valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 34;
 (2) ibid., p. 34;
 (3) "Le grandi 
voci", in I Maestri del Jazz: La musica, la storia, i 
protagonisti, Novara: Istituto Geografico De Agostini, 1990 (1988), 
volume II, pp. 114-115;
 (4) ibid., p. 115;
 (5) Luciano Federighi, op.cit., p. 93;
 (6) Marco 
Podda, "La patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante: Saggi di foniatria artistica, 
Omega Edizioni, volume II, 2003, p. 159;
 (7) 
Luciano Federighi, op.cit., p. 94;
 (8) ibid., p. 94;
 (9) www.anitaoday.com/homepage.html
 (10) Bruce Crowther, Mike Pinfold, Singing Jazz: The Singers and Their Styles, San 
Francisco: Miller Freeman Books, 1997, p.124;
 (11) Luciano Federighi, op.cit., p. 94;
 (12) Bruce 
Crowther, Mike Pinfold, op.cit., p.124;
 (13) Will 
Friedwald, Jazz Singing: America's Great Voices From 
Bessie Smith To Bebop and Beyond, New York: Da Capo Press, 1996 
(1990), p. 281;
 (14) 
Arrigo Polillo, Jazz: La vicenda e i protagonisti della 
musica afro-americana, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1997 
(1975), p. 216;
 (15) Will 
Friedwald, op.cit., p. 281;
 (16) ibid., pp. 283-284;
 (17) "Che in omaggio alla nuova estetica non facevano uso 
del vibrato", " al servizio di un fraseggio lieve e rilassato ispirato a quello 
di Lester Young", "un suono altrettanto terso e delicato, cool, appunto", Arrigo 
Polillo, op.cit., pp. 217-218; "con la loro 
predilezione per le linee melodiche tenui ed eleganti, per i colori scuri e le 
sonorità spente, senza vibrato", ibid. p. 225;
 (18) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco 
Fussi (a cura di), op.cit., pp. 41-42;
 (19) ibid., p. 47;
 (20) ibid., p. 47;
 (21) ibid., p. 53;
 (22) ibid., pp. 57-58;
 (23) vedi quanto è stato detto in proposito nella lezione 
precedente;
 (24) Franco Fussi, "La valutazione del 
cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 
41;
 (25) Non dimentichiamo che Anita O'Day, 
indipendentemente dal fatto che lei si riconosca o meno un'esponente del "cool 
jazz", ha lavorato con le orchestre di Gene Krupa e di Stan Kenton, solo per 
citarne alcuni, i quali avranno di certo contribuito, non poco, alla formazione 
del "gusto estetico" della cantante, Luciano Federighi, op.cit., pp. 94-95, vedi anche: Livio Cerri, Il mondo del jazz, Pisa: Nistri-Lischi Editori, 1958, p. 
450;
 (26) Anche per quanto riguarda le informazioni 
bibliografiche ritengo più opportuno rimandare il tutto a quando tratteremo 
l'argomento più nei dettagli. Mi limito, per il momento, a segnalare il testo di 
Adriano Zamperini, Psicologia sociale della responsabilità, Torino: UTET 
Libreria, 1998, pp. 305 e quello di Hans Jonas, Il 
principio responsabilità: Un'etica per la civiltà tecnologica, Torino: Giulio 
Einaudi editore, 1990 (1979), pp. 291. Inoltre 
per quanto riguarda, in modo più specifico, il principio del "libero artbitrio" 
rimando alla lettura dell'articolo di Gerhard Roth, "Sincronia nella rete dei 
neuroni", Mente & Cervello, Milano: Le Scienze, I (gennaio/febbraio) 2003, pp. 
10-19.
 (27) Franco Fussi, "La valutazione del 
cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 
48;
 (28) ibid., p. 53;
 (29) Pensiamo ad esempio al fumo nei locali o al cantare 
all'aperto, oppure ancora alle grandi orchestre che "tendono a sommergere con la loro prestanza sonora", 
Luciano Federighi, op.cit., p. 96; Marco Podda, "La 
patologia vocale nel canto moderno", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., volume II, 2003, pp. 159-160;
 (30) François Le Huche, André Allali, La voce, vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, Milano: 
Masson, 1994 (1990), p. 53;
 (31) ibid., p. 53;
 (32) ibid., p. 53;
 (33) Franco Fussi, "Fonastenia: La fatica del 
mestiere"Franco Fussi (a cura di), La voce del cantante: 
Saggi di foniatria artistica, Omega Edizioni, 2000, p. 240;
 (34) http://www.anitaoday.com/Performance.html
 (35) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55;
 (36) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco 
Fussi (a cura di), op.cit., p. 37;
 (37) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55;
 (38) Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco 
Fussi (a cura di), op.cit., p. 36;
 (39) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, p. 55; vedi 
anche François Le Huche, André Allali, La voce, vol. 
1: Anatomia e fisiologia degli organi della voce e della parola, Milano: Masson, 
1993 
(1991), p. 100;
 (40) 
Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 37;
 (41) François 
Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia 
vocale, Tomo 1, p. 55;
 (42) Franco Fussi, "La 
valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., pp. 37-38;
 (43) 
François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: 
Patologia vocale, Tomo 1, p. 57;
 (44) ibid., p. 57;
 (45) ibid., p. 50;
 (46) Franco 
Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 240;
 (47) François 
Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia 
vocale, Tomo 1, p. 50;
 (48) ibid., p. 137; vedi anche quanto detto, a tale 
proposito, dal Podda e da me citato nella lezione precedente;
 (49) Con il termine "Take" ci si riferisce ad un'unica 
esecuzione registrata senza interruzioni sia che si tratti di una registrazione 
completa che di una registrazione parziale. Ognuno di questi brani prende il 
nome di "first take", "second take" etc. Per "alternative take" o "alternate 
take" s'intende una registrazione usata in alternativa ad un particolare "take", 
Barry Kernfeld (a cura di), The New Grove Dictionary of Jazz, London: Macmillan 
Press Limited, 1988, vol. II, pp. 516-517;
 (50) Gian Carlo Roncaglia, Il jazz 
e il suo mondo, Torino: Giulio Einaudi editore, 1998, p. 234;
 (51) Mark G. Gridley, "Cool Jazz", Barry Kernfeld (a cura 
di), The New Grove Dictionary of Jazz, London: Macmillan Press Limited, 1988, vol. 
I, pp. 244-245; "History of Jazz, part 5: Cool Jazz", Jazzitude, http://www.jazzitude.com/histcool.htm; Luciano 
Federighi, op.cit., p. 226;
 (52) François Le Huche, André Allali, op.cit., vol. 2: Patologia vocale, Tomo 1, pp. 
52-53;
 (53) Erich Fromm, Avere o 
essere?, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1979 (1976), pp. 
299;
 (54) Si tratta di empatia o di semplice proiezione? 
A tale proposito vedi: David M. Berger, L'empatia 
clinica, Roma: Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, 1989 
(1987), pp. 253 e Alain Besançon, Storia e psicoanalisi, Napoli: Guida Editori, 1975, pp. 
211;
 (55) Secondo quanto sostiene Luciano Federighi è da 
Martha Raye "la brava cantante e clown 
hollywoodiana", indicata, tra l'altro, come modello dalla stessa Anita O'Day, che la O'Day 
erediterà quello humor che "risulterà determinante per 
l'equilibrio della sua immagine stilistica", Luciano Federighi, op.cit., pp. 93-95;
 (56) Nicola 
Zingarelli, Il nuovo Zingarelli: vocabolario della lingua italiana, Bologna: 
Nicola Zanichelli, 1983, XI edizione;
 (57) 
Franco Fussi, "La valutazione del cantante", in Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 47;
 (58) Franco 
Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 240;
 (59) In realtà 
il materiale da me analizzato per preparare questa lezione è di gran lunga 
maggiore ma ho dovuto "fare alcuni tagli" per non rendere la lezione troppo 
pesante! Rimando, tuttavia, alla discografia e alla bibliografia generale per un 
ulteriore approfondimento.
 Rimando, inoltre, alla pagina 
http://www.anitaoday.com/homepage.html per la consultazione di altro materiale 
discografico;
 (60) Luciano Federighi, op.cit., p. 94;
 (61) Franco 
Fussi, "Fonastenia: La fatica del mestiere"Franco Fussi (a cura di), op.cit., p. 237;
 (62) Luciano 
Federighi, op.cit., p. 95;
 (63) ibid., p. 93;
 (64) ibid., p. 
96;
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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