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Steve Turre
Teatro Paisiello, Lecce, 31 Marzo 2005
di Marco Leopizzi
foto di Maurizio Bizzochetti

Steve Turre si è presentato in quartetto al piccolo ma accogliente teatro Paisiello di Lecce; un quartetto formato da Nico Menci al piano, Marco Marzola al contrabbasso e Dion Parson alla batteria, oltre al leader al trombone, alle percussioni, e alle spettacolari conchiglie marine.

Il concerto è durato più di due ore, durante le quali la band ha proposto brani di J.J.Johnson, che prima di Turre aveva innovato il linguaggio trombonistico e perciò, credo, tanto caro al nostro messicano. Si! perché Steve Turre foto in vendita presso JazzRefexè messicano d'origine, ma cresciuto negli Stati Uniti ne ha assorbito la musica, mantenendo però un sentire musicale fisico e un po' "primitivo", che tanto spesso manca nei jazzisti contemporanei, e che lo riporta alle personalità del cosiddetto jazz hot, o del periodo classico.
Non sarà un caso la grande attenzione di Turre per il suono e le sue modulazioni ottenute con le sordine che usa proprio a mo' di stile "jungle"
di Duke Ellington.

Da questo particolare "sentire", credo, scaturisca anche l'amore e l'interesse del trombonista per quello strumento così poco strumento che è la conchiglia marina. Anticamente rituale e di richiamo la conchiglia marina nelle mani di Turre assume dignità musicale e jazzistica, grazie alla tecnica "a mano" del corno.
Con questo strumento e col suo fido trombone Turre ha eseguito, come dicevamo, brani di J.J.Johnson, alternati a proprie composizioni dal sapore impressionistico e dal particolare mood, e addirittura una bella e accattivante firmata da Marco Marzola. Ma anche la bellissima ballad di Errol Garner: Misty. E' in questo brano che Nico Menci, a parere di chi scrive, ha dato il meglio di se, dando risalto al suo tocco lieve e raffinato.

Turre
utilizzava cinque conchiglie marine di diversa taglia, che teneva adagiate su un tavolino al suo fianco, e che puntualmente ricopriva con un panno nero appena finito di suonarle, così come si nasconde un prezioso dopo averlo sfoggiato.
Da queste traeva delle vere e proprie frasi jazz, certo di poche note ma intense e precisamente intonate, oltre a suoni più selvaggi e atonali.
Spesso utilizzava poi le due conchiglie più grandi contemporaneamente, insufflando l'aria in entrambe, e ottenendo così degli estatici bicordi.

Ma il messicano dalla lunga treccia aveva in serbo un'altra sorpresa per noi: una gigantesca e bellissima conchiglia (con tutta probabilità artificialmente ornata di vivaci tinte), che fin quasi alla fine del concerto era rimasta nascosta sotto il foro in vendita presso JazzReflextavolino e che in un finale trascendentale e particolarmente free Turre ha tirato fuori, insufflandoci dentro tanta anima da far propagare le sue vibrazioni attraverso tutte le pareti del teatro e fin alle nostre poltrone.

Un concerto di Turre può probabilmente trasformarsi in una sorta di rito estatico e catartico, se solo però trovasse i compagni giusti.

Lungi dal criticare la tecnica dei due italiani, era palese però un opposto approccio alla musica, fra questi e Turre. Troppo freddi e precisi i nostri, troppo eccitante e hot il leader. Dion Parson, invece, da quando s'è "svegliato" ha seguito dignitosamente la strada del trombonista-conchiglista (???) facendoci sobbalzare ad ogni percussione.

Infine altra caratteristica della musica di Turre è senz'altro la contaminazione, in particolare con i ritmi afrocubani; il quartetto s'è tuffato infatti anche in un fremente calypso in cui la batteria di Parson ha probabilmente sofferto molto sotto i colpi infertigli dal padrone.

Nonostante i soliti sbadigli degli spettatori "per caso" o "forzati", il concerto di Steve Turre è senz'altro un'esperienza oltre che musicale anche fisica.







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Data pubblicazione: 12/06/2005

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