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Fandango Jazz Festival
La Palma Club - Roma 8/9 Luglio 2004
di Franco Giustino

Per la prima volta quest'anno, nell'ambito dell'Estate Romana, si affaccia una nuova rassegna Jazz. Si tratta del "Fandango Jazz Festival" presso il "La Palma Club". La manifestazione è stata realizzata con la collaborazione del Comune di Roma, e la casa di produzioni cinematografiche Fandango.

Nonostante sia al suo esordio, la manifestazione vanta già all'attivo presenze importanti nei due mesi di programmazione, dal 1 giugno al 31 luglio. Le serate seguite sono state quelle del 8 e 9 luglio, per i concerti rispettivamente di: Diane Schuur e Tuck & Patti.

Partiamo cronologicamente con le impressioni del concerto dell'
8 luglio.

Diane Schuur
al piano e voce, Scott Steed al contrabbasso e Reggie Jackson alla batteria. Poche parole di presentazione su Diane Schuur: cieca dalla nascita, scoperta nel 1979 dal sassofonista Stan Getz. Ha vinto numerosi premi, tra cui due Grammies ed il prestigioso "Ella Fitzgerald Award" come migliore vocalist Jazz. Una voce tanto potente da lei modulata come fosse uno strumento riuscendo a coprire tutte le gamme dei registri, con particolare predilezione per gli acuti. L'apertura del concerto è con il brano
Baby you got what it takes. Per proseguire con alcune ballads del suo repertorio, tratte dall'album Midnight, cooprodotto da Barry Manilow e Eddie Arkin. Un'ora in tranquillità, senza sussulti. Il concerto si dipana con rare emozioni, una delle poche: quattro gocce di pioggia! Diane sciorina brani senza sosta, quasi fosse un Juke Box, tra i brani più graditi una bella When October Goes.

La seconda parte diviene più frizzante con brani che stuzzicano le orecchie. Un'ammiccante versione di
Take Five di P. Desmond, il cui inizio è decisamente stentato. Passando poi a Besame Mucho, ed infine la nota Louisiana Sunday Afternoon. Che dire, Diane Schuur è brava, molto brava, certo gli anni (51) trascorrono inesorabilmente anche per lei. La sua voce non è più quella prorompente e devastante di Reverend Lee, resta comunque una delle voci più belle in assoluto tra le Jazz Singer. Non si "arrampica" più sulle note, a volte sembra "strozzarle" lasciandole apparentemente incompiute. Devo riconoscere, ad onor del vero, che ha più volte tossito nel corso della serata, ha messo velocemente in bocca delle caramelle, ritengo giusto quindi dargli il beneficio del dubbio. Non era probabilmente la sua serata migliore. Per quanto riguarda Scott Steed e Reggie Jackson, si tratta di due ottimi professionisti, oltre che due bravi musicisti. L'impressione che ho avuto e che fossero comunque frenati, o meglio "imbrigliati", nel loro ruolo di partner. Escludendo qualche assolo - pregevole quello di Reggie Jackson nel brano di Desmond –, che rendeva evidente l'ottima preparazione musicale di entrambi, non ho assistito a nulla che non fosse strettamente entro i canoni. Preciso, non è che mi aspettassi una Jam Session sfrenata, sapevo che avrei assistito ad un concerto dai toni pacati e lineari, è mancato quel pizzico di particolarità per renderlo indimenticabile. Questo da lei me lo aspettavo. In conclusione un concerto buono, nonostante tutto una grande voce, di rilievo i musicisti che l'accompagnano. Ma…………

Passiamo alla serata del 9 luglio.

Sono di scena Tuck & Patti, la coppia vocal-strumentale di San Francisco, un sodalizio non solo artistico. Un duo che non finisce mai di stupire con la loro musica particolare, la definirei unplugged. Un sound che attinge linfa dal blues, dal country, dal pop. Tuck Andress alla chitarra – la fedele Gibson L/5 - e Patricia Cathcart splendida voce in stile gospel. Tutto qua?!? Qualcuno avrebbe di che affermare. Effettivamente non conoscendo questo cromatico duo – lui bianco, anzi bianchissimo; lei di colore – potrebbe lasciare perplessi. Qualsiasi dubbio o incertezza svaniscono in un attimo, nel momento in cui iniziano l'esibizione. La musica diviene protagonista assoluta, loro il mezzo. Alternano sapientemente brani lenti a brani veloci, in un crescendo pirotecnico. Patti riesce con il suo contralto a riprodurre ogni strumento come fosse una sezione ritmica. La musica si fonde rendendo difficile comprendere quale sia la voce o la chitarra. Ad un tratto distolgo l'attenzione da ciò che sto ascoltando, mi rendo conto che tutto intorno è silenzio. I moltissimi presenti sembrano in trance, rapiti dalla musica. Non mi era mai capitato di provare una simile strana sensazione. Considerando che all'interno del Club funzionano Ristoranti, Bar, alcuni piccoli negozi: eppure tutto era "congelato". Tuck ha proposto, da solo, due brani:
Over the Rainbow ed Europa di C. Santana. Questa ultima esecuzione è profondamente scolpita nella mia memoria. Pizzica, arpeggia, picchia sulle corde della sua chitarra, ciò che riesce a produrre è qualcosa di raramente udibile, difficile da descrivere nella sua bellezza. Così come è difficile capire da dove riesca a prendere tutta quella immensità di sonorità. Un omaggio di Patti alle donne presenti con Wild Flower, prima del gran finale con la oramai collaudatissima Time After Time di Cindy Lauper. Qui succede di tutto, in un delirio generale di musica, canti, cori dei presenti magistralmente diretti da Patti. La serata termina in un tripudio di mani spellate, con Patti che, tra un rap ed un assolo di batteria, si congeda da noi con una richiesta di bis che non gli consente neppure l'uscita.

STRATOSFERICI: serata indimenticabile, mi ha riconciliato con uno strumento, la chitarra, che fino a ieri era da me scarsamente considerato - faccio ammenda -. Durante le due ore e mezza di concerto Tuck è riuscito a non farmi rendere conto che l'unico strumento, se escludiamo la voce di Patti, era la chitarra. Bravi, bravi, bravi e bravi! Tuck Andress e Patricia Cathcart. Andateli a sentire ve ne innamorerete, se invece ne siete già innamorati ascoltandoli diverranno per sempre parte di voi.






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Data pubblicazione: 10/08/2004

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