Cedar Walton al Ronnie Scott's
Londra, Ronnie Scott's - 11 settembre 2009
di Florindo Grillo
Questa sera l'ottima scusa per incravattarsi è il quartetto di
Cedar Walton,
una leggenda del jazz. E' curioso vedere chi tra i "vecchi miti", parte della storia
del jazz, ha ancora il fuoco nelle mani e riesce a tenere alto un nome che ha significato
molto per intere generazioni di musicisti.
Cedar
Walton, classe ‘34, e' un settantacinquenne in strepitosa forma. Con
l'eleganza che contraddistingue i jazzisti di un tempo, si avvicina al pianoforte
e con voce chiara e decisa annuncia i componenti del suo quartetto. In questo viaggio
transatlantico e' accompagnato dai fedeli Jean Toussaint al sax tenore,
Dudley Phillips al contrabbasso e Alvin Queen alla batteria.
Nativo di Dallas, Walton arriva a NewYork nel ‘55, dopo aver frequentato
l'universita' di Denver ed essersi fatto notare in diverse sessions after hours
al Denver Club dai mostri sacri Charlie Parker e Dizzy Gillespie.
Fa' preziose esperienze di gruppo con
Sonny Rollins,
Lou Donaldson e JJ Johnson, prima di essere ingaggiato da Kenny
Dorham. Verso fine decennio si unisce al Jazztet di Art Farmer e Benny
Golson e nel ‘59 e' il primo pianista a registrare la rivoluzionaria
Giant Steps di
John Coltrane.
Stasera
Cedar Walton apre il set con un suo dinamico
Newest blues. Da subito emerge tutta la sua classe:
il pianista tesse una tela di armonizzazioni incredibili, liberando il sound coltraniano
ma personale del bravo Toussaint ed il drumming potente e sicuro di Queen.
A seguire Dear Ruth, una ballad complicata e
dolce in onore della madre, accolta benissimo dal numeroso ed attento pubblico.
Anche il terzo brano e' firmato dalla sapiente penna del capogruppo: il divertente
shuffle In the kitchen, dedicato a chi
ama la buona cucina, durante il quale il batterista Queen strappa diversi applausi
durante un intenso assolo, facendo capire che lui in cucina non scherza!
Al Ronnie's si respira aria newyorkese grazie a questo quartetto veramente
speciale. Anche l'arredamento del locale piu' famoso di Londra e' di stampo americano
e rende il clima perfetto. L'unica differenza con NYC la si sente col pubblico,
che purtroppo per la maggior parte e' ancora timido nell'applauso che talvolta scaturisce
nei momenti sbagliati del giro armonico; inoltre si notano solo due persone che
muovono la testa a ritmo di swing, in un capiente locale tutto esaurito. Chissa'
quando riusciremo a liberarci in Europa di un ascolto troppo educato.
Sul palco intanto e' tempo di standards: si susseguono infatti una meravigliosa
In A Sentimental Mood, una versione estasiante
ed incredibilmente dinamica di Little sunflower,
un omaggio a Monk con Rhythm-a-ning ed una rivisitazione
ritmica molto avvincente della notissima Body And Soul.
Una vera lezione di storia del jazz, un hard bop che non ha eta' poiche'
e' ancora estremamente attuale. Walton saluta il pubblico del primo set concludendo
con un altro brano originale intitolato Holy Land,
dopo il quale si accendono le luci senza bis, in vero stile newyorkese.
Inserisci un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 2.554 volte
Data pubblicazione: 18/10/2009
|
|