Benny Golson Quartet
Sansepolcro, Piazzetta della Fonte - 14 agosto 2007
di Alessandro Tempi
Come un fulmine a ciel sereno, quest'estate Benny Golson è piombato
nella terra di Piero della Francesca, a Sansepolcro, per un concerto inaspettato
quanto memorabile. Innanzitutto - è giusto ricordarlo - per la statura del personaggio:
Benny Golson, classe 1929, è l'uomo dietro i grandi successi, il compositore
di standards che sono rimasti nella storia del musica jazz, come il dolce e malinconico
I Remember Clifford, scritto in memoria del
trombettista Clifford Brown, prematuramente scomparso.
L'invidiabile capacità compositiva di Golson è senza dubbio il
frutto della sua personale formazione musicale, iniziata ai tempi della high
school a Philadelphia insieme a giovanissimi talenti che rispondevano ai nome
di John Coltrane,
Red Garland, Percy e Jimmy Heath, Philly Joe Jones e
Red Rodney e successivamente in bands del calibro di quelle capitanate da
Benny Goodman, Dizzy Gillespie,
Lionel
Hampton, Tadd Dameron, Art Blakey.
Ma nel corso della sua carriera Golson ha coltivato un talento
versatile e multiforme, che si è espresso non solo nel jazz, ma anche in un intenso
lavorìo di composizione ed arrangiamento per cinema, televisione e perfino per la
pubblicità ed in stimolanti collaborazioni e sconfinamenti nel mondo della musica
pop e classica.
Ma il concerto di Sansepolcro rimane memorabile anche e soprattutto perchè
ha fornito l'opportunità di apprezzare un artista dallo stile personalissimo e inalterato,
che ha saputo attraversare le variegate stagioni del jazz del dopoguerra da protagonista.
Accompagnato da una sezione ritmica tutta italiana (cosa abbastanza usuale per lui
in questi ultimi anni), Benny Golson ha magnetizzato il pubblico non solo
con i suoi "classici" (Whisper Not,
Along Came Betty Stable Mates,
I Remember Clifford, Beautiful
Love), o con standards come Take The A Train
e The Masquerade Is Over, interpretati con stile
inappuntabile e freschezza improvvisativa, ma anche con la sua abilità, oggi invero
sempre più rara, di jazzista abituato a conquistare il pubblico con l'affabilità
e le buone maniere di un vero entertainer. Perché in fondo, oggi come ieri, la cifra
artistica di questo "vecchio signore del Bop" risiede proprio in quella speciale
capacità di entrare in sintonia col pubblico, in quella closeness un po'
istrionica e altrettanto sorniona tipica dei jazzisti della sua generazione. E'
forse per questo che i suoi concerti lasciano sempre l'impressione di una sorta
di celebrazione gioiosa e trascinante della potente vitalità insita nella musica
afroamericana, verso la quale Golson ogni volta manifesta la sua indefettibile
fedeltà.
Non è poco: in un'epoca in cui sembrano talvolta prevalere, specie sul
palco, le freddezze filologiche o le tentazioni dello stardom, con eleganza
e naturalezza la figura di Golson riporta il jazz alle dimensioni che gli
sono proprie.
In questo, bisogna dire che il quartetto di Golson era ben selezionato
ed affiatato: dal pianista Massimo Faraò, che ormai da alcuni anni lo accompagna
dal vivo e nelle incisioni sia in Italia che all'estero, vi è una intesa perfetta,
alla quale il leader in talune occasioni fa volentieri riferimento, al contrabbassista
Carmelo Leotta, si è rivelato l'autentica backbone, grintosa e puntuale,
del gruppo, al giovanissimo (ventitre anni) batterista Gianmarco Lanza, dal
drumming solido e felicemente punteggiato di fresca inventiva ritmica.
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Data pubblicazione: 11/01/2008
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