Questo disco è come un album fotografico. I due autori ci accompagnano in un viaggio in diversi luoghi del mondo dove scattano delle fotografie assolutamente insolite. Le percussioni multiformi di Antonio Gentile creano veri e propri paesaggi sonori sui quali la tromba di
Baggiani, ora fredda e tagliente, ora calda e sensuale, si muove a volte in perfetta sincronia, a volte in aperto contrasto, aprendo ulteriori nuovi orizzonti.
Le tastiere di Chigurni sono quanto mai discrete anche se efficaci. In alcuni brani quasi non ci si accorge della loro presenza.
L'album è in realtà un'antologia di brani dei due autori che vanno dal 1996 al 2002; un intervallo di tempo che prende le mosse in tempi non sospetti, prima dell'avvento della cosiddetta
buddha bar music. Le atmosfere di matrice etnica si ispirano in molti brani al Brasile o all'Africa, in qualche caso all'oriente. Il fraseggio jazzistico della tromba è degno di un grande emulo di Miles Davis qual è Baggiani, che non evita certo di dichiararsi tale in questo tipo di progetto. In molti brani i due si divertono a fare il verso a certa musica elettronica e soprattutto alla musica dei Dj usando però esclusivamente strumenti acustici.
Non mancano momenti di intenso lirismo, come nella traccia di apertura " Eastern Tear" né quelli di grande energia evocativa come in "Dumbo's Dream". Ben quattro pezzi su dieci sono interamente dedicati alle percussioni, dal dirompente "Disco Timba" ai più intimi "Berimbasolo" o "Udu Trio".
Pur mantenendo una uniformità di stile e di progetto i brani sono tutti ben differenziati tra di loro e l'ascolto dell'intero album si rivela scorrevole e piacevole. Unica ripetizione è quella voluta del brano pseudo-house
Disco Timba
riproposto in versione remix alla decima traccia. Si tratta di un brano ironico e divertente nel quale
Gentile crea una frizzante atmosfera da discoteca bahiana, costruendo il brano interamente con strumenti a percussione. Le uniche aggiunte nella versione remix sono la cassa da discoteca ed una traccia di basso midi che ne aumentano l'effetto house. L'assolo di percussioni è decisamente esplosivo. Il progetto si può collocare in un filone di jazz easy listening con forti venature di world music che, pur somigliando a tanti lavori già sentiti, possiede una buona dose di personalità. Lo si può collocare in un filone che parte dagli storici anni '70 con lo storico
Head Hunters
di Hancock, con le sperimentazioni di Pharoah Sanders e che continua ahimé fino ai giorni nostri con i quotidiani saccheggi da parte dei DJ passando per fortuna dal Miles Davis degli anni '80.
Gli ascoltatori più puristi potrebbero esserne delusi mentre credo che tanti musicofili poco abituati a digerire il linguaggio jazzistico potrebbero trovarlo piacevole e interessante.
L. Pini
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Data pubblicazione: 20/09/2003
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