Al di là di tutti i premi, appellativi ed incoraggiamenti vari che la
cantante sudafricana ha ottenuto, occorre dire – inizialmente e con particolare
onestà intellettuale – che la sua opera prima è un buon lavoro.
Ciò premesso, per onore di cronaca, dobbiamo
declinare il "palma res" della Nostra: migliore esordiente dell'anno e migliore
cantante jazz al SAMA (South African Music Awards, l'equivalente sudafricano del
Grammy), standing ovation più o meno ovunque abbia cantato, etc.etc.
Zandisile è un disco del
2006, licenziato dalla Skip Records e distribuito
dalla IRD. Undici brani che narrano la vita della musica afroamericana. Si badi
bene, non nei testi, bensì nelle sonorità più rotonde ed aspre che questa musica
possa aver concepito. Lei stessa definisce il suo stile Modern African Soul. Uno
stile che si è evoluto attraverso le molteplici esperienze ed ispirazioni, attraverso
un vissuto che va dal gospel al R&B, passando per il jazz.
Una ventata di aria fresca, scevra da elucubrazioni inventive e caratterizzata
da timbri e colori appassionanti. E' lei che ha creato i brani e ben li interpreta,
con l'ausilio di valenti musicisti della Grande Madre, quali: Thapelo Khomo,
già tastierista degli Stimela e Bayete, Carlo Mombelli, bassista tra i migliori
in circolazione in Sud Africa, Victor Masondo, bassista e produttore di
Miriam Makeba e il batterista Isaac Mtshali, già conosciuto per la
sua partecipazione nell'album Graceland di Paul Simon.
Toni magici che si liberano senza tanti pregiudizi e che rispettano i
tempi, i ritmi e la storia afro.
Sapori chill out- nujazz (Vukani)
che occhieggiano agli Spearhead, echi spirituals sapientemente arrangiati ed addolciti
(Zandisile, Ndiredi)
che esprimono tutto il loro dolore senza cadere nell'ovvietà. E che, nel caso di
Ndize Mama Tata assumono forme soul –world music
tanto care alla grande Miriam Makeba.
Una merge di suoni "del ventre del mondo" che attinge anche alla
tradizione dell'America latina (Make a Tribe).
Il grande interplay, l'estrema passionalità dei musicisti – ictu oculi
– coinvolti da questo "passaggio in Africa" è evidente anche negli accenti orchestrali
jive, come appare in Ingoma.
Profumi di reggae miscelati al rythm & blues e vocalità ancestrali caratterizzano
Induku. Non mancano profondi richiami al modern
jungle ed al drum'n' bass, ad alta tensione ritmica e creativa (Troubled Soldier).
Due impeccabili prove di gospel chiudono un percorso ben organizzato e
giustamente calibrato.
Simphiwe Dana è stata capace
di trovare un respiro ed una grazia del tutto particolari. Mai apatica, dal linguaggio
maturo e personale, seppur ancora giovane, la sua intonazione è maledettamente impeccabile.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 24/03/2008
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