In occasione del lancio a livello internazionale di
Zamazu, Roberto Fonseca è stato definito
l'erede legittimo di quell'enorme fenomeno planetario che è stato, in tutte le sue
numerose e diverse ramificazioni, Buena Vista Social Club. È vero che Fonseca
ha sostituito al piano Rubén González nell'orchestra di Ibrahim Ferrer,
con cui ha inciso un album e fatto un lungo tour in tutto il mondo, vero è pure
che ascoltando Zamazu si possono cogliere gli eco di quella fortunatissima
stagione della musica cubana – la ballad El Niejo
(parola creata dall'unione di niño e vejo) è dedicata proprio a Ferrer e
anche Triste alegría è in pieno stile
Buena Vista –, ma sarebbe ingiusto fare di Roberto Fonseca l'ennesimo
prodotto (commerciale?) derivante da quel grande successo. In primo luogo perché
in Zamazu, per quanto resti preponderante, non c'è soltanto Cuba, ma si spazia
attraverso diverse espressioni della musica afro-americana – Fonseca rende omaggio
anche a Abdullah Ibrahim interpretando la sua Ishmael.
Quest'aspetto risalta fin dal primo ascolto: Zamazu è un lavoro estremamente
vario, anche troppo forse. Basterebbe scorrere la lunga lista di musicisti e strumenti
che si alternano nei quattordici brani: si va dalla cantante cubana Omara Portuondo
alla chitarra flamenco di Vicente Amigo, passando per l'onnipresente Carlinhos
Brown. Eppure, nonostante in brani dalle sonorità cubane si possano ascoltare
anche sprazzi funky, Zamazu riesce a mantenere una propria interna coerenza.
Sicuramente per la grande attenzione nel presentare in modo chiaro il tema, che
Fonseca fa risaltare non soltanto con il piano, ma accompagnandolo spesso
e volentieri con la voce, tanto da rendere canticchiabili molti brani. Chissà, forse
è proprio tale ricerca della cantabilità l'eredità più evidente di Buena Vista
Social Club.
Ma c'è anche dell'altro, che in Zamazu emerge a un ascolto più
attento, soprattutto nelle ballad come Tierra en Mano,
Llegó Cachaíto e Suspiro
o, ad esempio, nell'assolo di Clandestino.
Ma risulta del tutto evidente se si ha l'occasione di ascoltare Fonseca dal vivo,
come il 11 novembre 2007 all'Auditorium di Roma. Ebbene,
Roberto Fonseca è un gran pianista. Non soltanto per il senso ritmico peculiare
della scuola cubana o latina in genere, ma anche da un punto di vista squisitamente
jazzistico.
Al concerto romano Fonseca si è presentato con il suo quintetto,
l'ossatura di Zamazu. Certo, la scaletta era sostanzialmente rappresentata
dai brani dell'ultimo album, ma la formazione più ridotta e il consueto spazio che
la dimensione live lascia all'improvvisazione hanno offerto la possibilità di apprezzare
pienamente il grande talento pianistico di Fonseca. Senza perdere la forza
d'impatto di Zamazu, la sua anima latina, e la cantabilità dei suoi brani
(tant'è che Fonseca si è divertito a far cantare il pubblico), il concerto
è stato sorprendente soprattutto per gli appassionati di jazz, che, oltre a uno
straordinario uso sincopato del ritmo e alla maniera percussiva di suonare, che
può ricordare di certo Abdullah Ibrahim ma anche
McCoy Tyner,
hanno potuto apprezzare uno swing e un blues assolutamente raffinati. Anche il gruppo
con cui Fonseca ha suonato era composta da musicisti di prim'ordine, di sicura
formazione jazzistica, emersa particolarmente nello stile "statunitense" del pur
cubano – come ha scherzato Fonseca a proposito della sua pelle bianca – sassofonista
Javier Zalba. Unico brano non tratto da Zamazu è stato
(Somewhere) Over the rainbow, ultimo bis del concerto,
eseguito in solo piano da Fonseca. E non era un caso. Voleva essere un'ulteriore
prova, se ancora ce ne fosse stato bisogno, della grande sensibilità pianistica
di Roberto Fonseca.
Dario Gentili per Jazzitalia
Auditorium – Parco della Musica
Roma, 11 Novembre 2007
Roberto Fonseca Group "Zamazu"
Roberto Fonseca - pianoforte
Javier Zalba - sax, flauto, clarinetto
Joel Hierrezuelo - percussioni
Omar Gonzalez Sanchez - contrabbasso
Ramses Rodríguez - batteria
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Data pubblicazione: 03/12/2007
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