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Paul Rogers - Robin Fincker - Fabien Duscombs
Whahay
Babel-Label (2015)
1. Better Git It In Your Soul
2. Ecclusiastics
3. Jump Monk
4. Canon
5. Pithecanthropus Erectus
6. Reincarnation of a Lovebird
7. Bird Call
8. Work Song
9. Goodbye Pork Pie Hat
Paul Rogers - 7 strings double bass Robin Fincker - tenor saxophone, clarinet Fabien Duscombs - drums
Paul Rogers è un contrabbassista inglese di lunga esperienza, che ha frequentato
il gotha del jazz britannico, da Keith Tippett ad Alan Skidmore,
da Mike Osborne a Paul Dunmall. In questo disco sono accanto a lui due giovani
musicisti francesi, dotati di solida preparazione e di mente apertissima. Il trio
rilegge pagine famose di
Charles
Mingus, ma non siamo di fronte ad un tributo, né alla riproposizione
letterale di celebri composizioni. Come si evince dalle note di copertina, i tre
elaborano forme di improvvisazione in rapporto ai temi dell'artista evocato. Dalla
poetica del grande compositore afroamericano, con antenati pellerossa e cinesi,
peraltro, vengono estratti alcuni elementi portanti, come spunti, occasioni, per
allontanarsi, andare altrove apparentemente e ritornare, in seguito, a bomba, procedendo
ad elastico, dal vicino al distante e viceversa. Così nelle nove tracce, essenzializzati,
si trovano lo spirito del blues, l'espressionismo cruento e icastico, i repentini
cambi di tempo, il lirismo sottotraccia delle melodie del bassista di Nogales, dure
e dolci nel contempo. E' un lavoro acuto di penetrazione profonda dentro l'universo
estetico di una delle maggiori personalità della musica del novecento, per ricavarne
schegge significative da rimettere in circolo. I temi di Mingus, poi, vengono nascosti,
spesso, sotto una coltre di suoni sospesi o di effetti rumoristici, per sbucare
fuori da dietro la copertura e rivelarsi in maniera piena, magari a metà del pezzo.
Paul Rogers è semplicemente maestoso al contrabbasso a sette corde.
Nei suoi assoli tartassa lo strumento con un archetto tagliente e corrosivo, cavandone
fuori un fraseggio spinto in avanti, ma con il modello di riferimento ben assimilato
dietro le spalle. Nel pizzicato, lo storico componente di Mujician è altrettanto
efficace nel cucire e ricucire una musica formata da brandelli tematici, inseriti
in un contesto avant jazz, compatto e volutamente (in)definito.
Robin Fincker, al tenore e al clarinetto, cerca di miscelare il jazz, il protofunky,
il camerismo, in un linguaggio moderno, in debito con la stagione del free e del
post free. E allora, assoli incisivi, che partono regolari, vanno a concludersi
in passaggi caratterizzati da note sporche, doppie o triple, in sovracuti ampiamente
fuori dal rigo, atti a manifestare il massimo della tensione possibile.
Alla batteria Fabien Duscombs non si limita a tenere il tempo, ma dialoga alla pari
con i partners, assicurando un contributo decisivo per delineare un aspetto ritmico
instabile e selvaggio a tutta l'opera.
"Whahay", perciò, si pone come un omaggio all'arte di un grande e discusso personaggio,
svolto nel modo più acconcio, prendendo, cioè, le mosse da un determinato repertorio
per discostarsi e tradirlo, in un certo senso e produrre così un qualcosa di personale.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 18/09/2016
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