Cover: Sabrina Sparti Produced by Roberto Favilla jr for Splasc(H) Records
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Roberto Favilla jr
Oi Dialogoi
1. Wait A Minute (Tracanna-Favilla) 6:41
2. Logos (Tononi-Favilla) 4:55
3. Alter Ego (Falzone-Favilla) 4.48
4. Psicocanto (Sparti-Favilla) 3.37
5. Unusual Mind (Romano-Favilla) 4.27
6. Lasciami Andare (Dalla Porta-Favilla) 5.19
7. Un Altro Orizzonte (Martini-Favilla) 4.18
8. Et Esse Rà (Turati-Favilla) 3.21
9. Up ’n’ Right (Clemente-Favilla) 6.16
10. Traccia (Fragiacomo-Favilla) 2.40
11. Simple Games (Faiella-Favilla) 5.07
12. Shangri-La (Nicita-Favilla) 5.45
All compositions are published by Senz’h Edizioni Musicali -
SIAE.
Recorded on 30 June, 30 July, 5 September, 19 October, 11 and 23 November,
3, 17 and 21 December 2003 in MU REC Studio, Milan.
Roberto Favilla Jr -
piano
Sabrina Sparti - vocals
Carlo Nicita - flute
Fabio Martini - clarinet
Tino Tracanna - soprano sax
Furio Romano - alto sax
Felice Clemente
- tenor sax
Giovanni Falzone - trumpet
Mario Fragiacomo
- fluegelhorn
Dario Faiella - electric guitar
Omar Turati - classical guitar
Paolino
Dalla Porta - double
Tiziano Tononi - drums
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In solitudine con un violoncello ad inseguire i ritmi e le melodie di
sarabande e gavotte, così come Johann Sebastian Bach aveva prescritto nelle
sei suite per violoncello; oppure nella magniloquente fastosità dell'orchestra mahleriana
ad adombrare titani. La musica eurocolta insomma ha espresso i propri capolavori
sia nella raccolta dimensione del solo sia nell'immensità di smisurati organici.
D'altronde anche il jazz ha saputo raccontare la propria storia non solo affidandone
la voce alla ciclopica orchestra di Stan Kenton ma anche facendo appello
alle sole chiavi del sassofono di Coleman Hawkins che senza alcun sodale
ebbe a perorare le armonie della canzone Prisoners of Love.
Nella "musica sincopata" vi è però un organico che ha creato agli uomini
del jazz ben più di un grattacapo: il duo. La cornetta di Joseph "King" Oliver
riscalda il cuore per la fierezza di quanto racconta avviluppata nella polifonia
di un collettivo di New Orleans e allo stesso modo la sola tastiera d'avorio di
Jelly Roll Morton muove a commozione quando il creolo ebbe a interrogarla
sull'Ottocento di New Orleans o sul passato della musica cubana, ma quando i due
si ritrovarono in studio insieme qualcosa non funzionò.
Bisognerà aspettare il 1928 e l'incontro
di due giganti quale
Louis Armstrong ed Earl Hines perché Weather Bird
il primo riuscito duetto della storia del jazz veda la luce. Chissà forse in un
trio, in un combo o in una orchestra la figura del leader garantisce più facilmente
un risultato artistico soddisfacente perché egli traccia, più o meno marcatamente,
una via che i sodali seguiranno; allo stesso modo una performance in a solo non
può che condurre ad una meta precisa. Ma quando due jazzisti si trovano a suonare
fronte a fronte la figura del dux svanisce nel nulla, rimangono solo due condottieri,
in quel preciso momento di pari grado, ognuno dei due conosce sentieri diversi per
farsi strada nel bosco. Certo che quando questa delicata alchimia ha funzionato
ciò che è stato consegnato al disco ancora oggi lascia senza parole; come non trasecolare
all'ascolto delle incisioni di Armstrong e Hines, di Lang e
Venuti, di Ellington e Blanton, di Konitz e Bauer,
di Coltrane e Ali, di Braxton e Roach.
Roberto
Favilla si inserisce in questa tradizione con la consapevolezza che
la riuscita del progetto è in gran parte determinata da una scelta: quale complice
avere al proprio fianco, con chi mettersi in gioco? La risposta è estrema: il disco
si snoderà in dodici dialoghi, ognuno vedrà protagonista un duetto differente; dodici
strumentisti quindi, con Favilla al pianoforte come perno, si passeranno il testimone.
Una cangiante tavolozza sonora in cui il suono del pianoforte si intreccia ora al
timbro di di una tromba, ora di un flauto, ora è in contrappunto ad un set di percussioni
ora ad un clarinetto, e poi si avviluppa al suono di una chitarra (sia elettrica
che classica), si incontra col contrabbasso, ordisce col canto di un soprano. I
compagni di viaggio sono musicisti con cui
Favilla
ha già collaborato in una copiosa messe di progetti che hanno interessato sia il
jazz che la musica contemporanea, sia l'elettronica che la tradizione mitteleuropea.
Alcuni sono artisti di vaglia, altri sono giovani talenti; ma ciò che ha davvero
contato per
Favilla è che sono tutti fidati sodali con i quali è stato possibile
optare per la seconda scelta radicale del progetto: la musica sarà completamente
improvvisata, non uno straccio di partitura varcherà la soglia dello studio di registrazione.
"Oi Dialogoi" risuona allora come un ammaliante
"flusso di coscienza", ogni musicista attinge al proprio passato musicale (abbia
questo radici nel jazz, nella musica d'avanguardia, o nelle tradizioni popolari)
e lo trasforma, qui ed ora, ponendolo a confronto con le suggestioni estemporanee
del pianoforte. Talvolta sono i profumi del jazz a fare capolino: come in
Unusual Mind (con Furio Romano) con il fraseggio
del sax bilicato tra Parker e Coleman e il piano che scandisce accordi
di 6/9 a mo' di fondale da big band, oppure in Up 'n' Right
che Felice
Clemente traghetta in quella porzione del jazz che più ama (gli anni
Cinquanta). Altrove è il Novecento storico a mostrare la sua ascendenza come nel
dialogo con la chitarra classica che materializza le atmosfere flou dell'impressionismo
francese e come nel duetto con il clarinetto, colloquio a due tra i più aforistici
del disco. Oppure le tradizioni si mischiano confondendo meridiani e paralleli e
allora in Shangri-La convivono le armonie di
Ellington, le melodie di Varese e i gesti melo-ritmici della tradizione tanghera.
O ancora l'opera può principiare ed epilogare con spiazzanti groove asimmetrici
che ammiccano al jazz moderno ma, come per incanto, precipitare nell'Ottocento romantico
nella parte centrale echeggiando le ballate di Chopin (Certi paragoni). Quindi
non deve stupirci se il blues si incastona tra gli anfratti di un mesto tema d'ascendenza
mitteleuropea (Traccia) o le armonie di una
ballad jazz poi ripieghino in una parossistica "danza degli adolescenti" (Lasciami
andare).
E questo, straripante eppure concertato zibaldone di suoni, rende "Oi
Dialogoi" un disco stimolante ed imprevedibile ma soprattutto sincero. E come
può essere altrimenti! Esso è la registrazione schietta, fedele, non adulterata
di dodici dialoghi (come il titolo greco recita). Nondimeno questa prospettiva pone
noi ascoltatori quali impertinenti "voyeur dell'orecchio" volti a origliare le reciproche
confessioni di un gruppo di artisti, che tra loro bisbigliano dei loro amori musicali,
delle loro passato, del loro futuro. E magari è davvero così.
O forse più che dodici dialoghi si tratta di dodici racconti, dodici storie
che i musicisti fabulano proprio per noi che avidamente vogliamo ascoltarle. Nondimeno
se con tale consapevolezza (e armati di passione e curiosità) ci facessimo strada
nella boscaglia dei suoni di "Oi Dialogoi" scopriremmo, ironia della sorte,
che queste dodici favole non hanno né narratori, né auditori. Perché tutti quanti
ne siamo i personaggi.
Luca Bragalini (note di copertina)
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Data pubblicazione: 01/11/2006
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