Blue Note/EMI 0946-3-59564-2-9
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Patricia Barber
Mythologies
1. The Moon
2. Morpheus
3. Pygmalion
4. Hunger
5. Icarus
6. Orpheus/Sonnet
7. Persephone
8. Narcissus
9. Whiteworld/Oedipus
10. Phaeton
11. The Hours
Patricia Barber - piano e voce Neal Alger - chitarra Michael Arnopol - basso Eric Motzha - batteria
special guest
Jim Gailloreto - sax tenore (in 1, 2, 10)
backvocals Paul Falk e Lawrice Flowers (in 7)
Lawrice Flowers, Airreal Watkins, Walter “Mitchell” Owens III
(in 10) Grazyna Auguscik (in 11) Choral Thunder, diretto da
Shelby Webb Jr. (in 10, 11)
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A parte il carattere scostante, la umorale
Patricia
Barber anche con questo originale lavoro discografico si conferma
uno dei cavalli di razza della scuderia BlueNote. Di razza "jazzistica" se ci si
passa l'allitterazione in "doppia z", anche all'interno di ambientazioni non proprio
jazz, ma nelle quali l'estemporaneità esecutiva occupa un posto comunque importante.
Questo Mythologies, un omaggio dedicato alle
"Metamorfosi" di Ovidio, e dunque ai personaggi più noti della mitologia greca e
latina (il che sottende già una ricerca, dato che per gli anglosassoni "i classici"
sono di certo meno congeniti che per noi neo-latini), è solcato, permeato dalla
presenza imprescindibile dell'artista, la quale, affermatasi oltre che per il pianismo
elegante pure per la voce confidenziale, ne propone un singolare connubio fra musica
e poesia.
Realizzato grazie alla "Guggenheim Fellowship", un riconoscimento
in denaro raramente tributato ad artisti del mondo del jazz e per la prima volta
conferito ad una songwriter, il cd si avvale della solida formazione che
ormai da diverso tempo accompagna la
Barber,
sia in tour che in studio. Intrigante come la sua vocalità, sorprendente per la
ricerca e le soluzioni arrangiative, lirico per il clima espressivo – anche quando
ricorre a ritmi moderni o irregolari – e rilassante quanto all'effetto che produce
in chi lo ascolta, in esso c'è molto della
Barber
che conosciamo e delle sue tipiche atmosfere, songs in stile night-club molto
morbide e gradevoli, in cui si innestano qui batterie pestanti, dritte e squadrate
se non fosse che ogni quattro battute inseriscono un elemento di novità che complica,
arricchendola, la scansione ritmica. Così comincia The
Moon, ma il prosieguo propone quelle atmosfere intime, assecondate dalla
stirata chitarra elettrica di Alger, capace però di diventare lancinante
e stridente quando il cambio di scena "avanguardistico" lo richieda: come in
Hunger, dove l'unisono iniziale con il canto della
pianista sfocia in un intervento distorto, sorretto da un "pompante" basso elettrico,
con timbro profondo e raccolto.
Quasi pop Icarus, lunghe le chitarre
a più corde sulle quali sembrano volare le ali del mito. La
Barber
non si fa certo un cruccio del fatto che le leggende vocali del jazz siano in gran
parte nere, ed anzi sprizza personalità ad ogni frase, mostrando una inusitata intensità:
è bianca, si sente, pronuncia quasi "english", ma proprio di questo ha fatto una
propria caratteristica, senza neppure provare, fortunatamente, ad emulare le icone
del passato.
È pure un disco articolato in prevalenza sulle tonalità minori, che meglio
si prestano a sonorità languide ed avvolgenti, come avviene in
Orpheus/Sonnet, all'interno del quale campeggia
un inaspettato assolo, in odor rock-progressive – terreno evidentemente non troppo
congeniale per Alger –, e dove la batteria è sostituita da un cadenzato timpano.
Altra sorpresa, protagonista vocale in Persephone
non è la titolare, bensì il nerissimo Lawrice Flowers, diafano e struggente.
E il pezzo si trasforma in un soft-pop in 7/4 dal ritornello regolare e molto orecchiabile,
la Barber
adesso canta con Paul Falk, e la chitarra meno distorta e tagliente, è più
netta. Si potrebbe dire sia questo il brano più elaborato, e forse per questo più
stuzzicante, dell'intero album.
Punteggiato delicatamente dalla voce della pianista chicagoana, dal levigato
tenorsax di
Gailloreto e da uno splendido 4+6 del timing,
Narcissus si contraddistingue per il clima da night-club
poggiato sulle linee del contrabbasso, quasi una love ballad, e, assunta
la sua dichiarata omosessualità, certo è anche a sé stessa che la
Barber
l'ha dedicata. Unica composizione non inedita – tale e quale già in Live: a Fortnight
in France (2004) –,
Whiteworld/Oedipus, un funky-soul, ancora sottolineato
dal basso elettrico e dal wha-wha dell'elettrica, con dinamica irruzione finale
di batteria e percussioni, spinta e pulsante, policroma sul ritmo non esattamente
"poggiato" tipico del jazz, ma non per questo meno brillante.
Gli ultimi due pezzi si avvalgono dell'ensemble Choral Thunder.
Phaethon, nove beat (4+5) che fanno da
scheletro ai versi, alle frasi del sax, alle strofe rappate, al coro in background,
al finale "vocal-percussivo". Motivo ad ampio respiro, aperto nelle intenzioni musicali
e negli orizzonti prospettici, potrebbe segnare il passo per una svolta nello stile
compositivo della
Barber,
non più "soltanto" artista jazz ma artista a tutto tondo, che mischia il jazz insieme
al funky, al rap e alle tematiche più "classiche" della cultura bianca: l'espressione
di un meltin' pot più metropolitano e meno etnico della world music.
Particolare anche The Hours, scenario quasi
gotico, con un lento vamp arpeggiato su due accordi sul quale si inseriscono
perfino cori da "gospel chapel".
Antonio Terzo per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 01/02/2007
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