(Oriente Musik / Egea Distribution
)
Prodotto da Media Aetas Musica
Distribuzione: Oriente Musik / Egea Distribuition (Italia)
Direttore artistico: Roberto De Simone
Direttore musicale e co-arrangiatore (2, 12): Antonello Paliotti
Tracce 1, 3, 7, 8, 11 registrate presso lo studio Media Aetas di Castelnuovo (AQ)
Tecnico del suono: Carlo Gentiletti
Tracce 2, 4, 5, 6, 9, 10, 12 registrate presso lo Studio 52 di Napoli (NA)
Tecnico del suono: Paolo Rescigno
Missaggio e masterizzazione di Carlo Gentiletti e Domenico Virgili
Foto: Media Aetas Teatro, Max Minniti, Renè Pandis
Grafica: Max Minniti
Codice: RIEN CD 44
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Media Aetas / Roberto De Simone
Li Turchi Viaggiano
Concerto vocale su musiche e rielaborazioni di
Roberto De Simone
1. Sondilo (trad. / De Simone) 4:13
2. Fatte li fatte tuoie (trad./ trad., arr. De Simone) 4:19
3. Si li ffemmene (trad. / De Simone) 4:28
4. Li Turchi viaggiano (De Simone / De Simone) 10:30
5. Marinaresca (trad. / De Simone) 4:21
6. Nun vedarraggio maie - Ortolano (trad. / De Simone - trad. / trad., arr. De Simone) 7:50
7. Si te credisse (Giambattista Basile 1634 / De Simone) 3:28
8. Tarantella di San Michele (trad. / De Simone) 9:42
9. Alli quatt'ore - Soi ciardine (De Simone / De Simone - trad. / trad., arr. De Simone) 7:13
10. Janni dell'uorto - Tu pur te pienzi (trad. / trad., arr. De Simone) 6:33
11. Italiella (trad. / trad., arr. De Simone) 5:39
12. Ninna nanna per Taniello (De Simone) 3:48
MEDIA AETAS
Michele Bone:
Chitarra (1, 3, 7, 8, 11)
Marina Bruno: Voce
Roberto Carbonara: Contrabbasso (1, 3, 7, 8, 11)
Antonio Castaido: Flauto
Raffaello Converso: Voce
Maurizio Chiantone;
Contrabbasso
(2, 4, 5, 6, 9, 10, 12)
Pasquale Di Nunzio:
Sax alto,
soprano,
tenore
Gianluca Falasca: Violino (1, 3, 7, 8, 11)
Leonardo Massa: Violoncello
Piero Massa: Viola
(5)
Gianluca Mirra: Percussioni
(8)
Salvatore Morisco: Violino
(2, 4, 5, 6, 9, 10, 12)
Antonello Paliotti: Chitarre,
percussioni
(2, 4, 5, 6, 9, 10, 12)
Giuseppe Parisi: Voce
Marco Sannini: Tromba,
flicorno
Roberto Schiano: Trombone
Patrizia Spinosi: Voce
Mauro Squillante: Mandolino,
calascione,
mandoloncello
Virgilio Villani: Voce
e chitarra battente
in 8 e 1
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La musica a Napoli, il Maestro Roberto De Simone, e li Turchi viaggiano
L'uscita di
Li Turchi Viaggiano, l'ultima opera del
Maestro Roberto De Simone è un evento di straordinaria importanza. E questo sia perché l'album arriva dopo oltre vent'anni di distanza dall'ultimo lavoro discografico firmato dal M° De Simone, sia perché la realizzazione di esso ha coinvolto alcuni dei migliori artisti che animano l'ambiente musicale napoletano. Gran parte importante della realtà musicale partenopea, pur nelle sue molteplici sfaccettature e differenziazioni stilistiche, può essere, infatti, verosimilmente rappresentata come un insieme di cerchi concentrici che gravitano intorno alla carismatica figura del M° De Simone ed al suo lavoro. Lo testimoniano le note di copertina di
Li Turchi Viaggiano in cui, tra i musicisti, è
possibile leggere il nome di Antonello Paliotti, un eclettico
compositore ed un virtuoso delle sei corde, allievo del M° De Simone e suo collaboratore anche in qualità di autore. E vi sono poi i nomi di Mauro Squillante e Leonardo Massa (direttore e vicedirettore dell'Accademia Mandolinistica Napoletana) che, con lo stesso Antonello Paliotti, diedero vita all'Antonello Paliotti Trio ("Tarantella Storta") prima ed alla Napoli Mandolin Orchestra ("Serenata Luntana") dopo. E fu proprio in occasione di un concerto della
Napoli Mandolin Orchestra che chi scrive incontrò, per la prima volta, il M° De Simone. La seconda, tempo dopo, fu alla presentazione ufficiale del disco
Lettere da Orsara
dell'Orchestra Jazz a Majella. Una formazione che, opportuno ricordarlo, è proprio il risultato più evidente della Cattedra di Jazz che lo stesso M° De Simone volle istituire durante il suo rettorato del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. In quell'occasione erano presenti anche
Pierluigi e Francesco Villani, musicisti di grande talento e figli di quel Virgilio Villani (recentemente scomparso) che è stato il principale punto di riferimento dei Media Aetas e la persona cui, forse più di tutte, si deve la realizzazione stessa di quest'album. L'elenco delle partecipazioni eccellenti, naturalmente, potrebbe continuare ancora a lungo.
Sia però permesso di citare ancora gli ottimi Marco Sannini e Roberto Schiano che sono artisti noti per la loro lunga militanza nel mondo del
jazz, e non solo.
Già, il jazz. Ma Li Turchi Viaggiano è un disco di jazz? Molto più di un semplice disco,
Li Turchi Viaggiano è
innanzitutto un'opera popolare. E questo nell'accezione più autentica dell'espressione popolare: musica del e per il popolo. In altre parole, una moderna rilettura della tradizione melodica in cui convivono il jazz, omaggi alla musica sudamericana e gli stilemi della musica colta. Ma a prescindere dalle definizioni di genere (leggi etichette), il vero protagonista di
Li Turchi Viaggiano è il canto. La bellezza e l'immediatezza di quest'opera, nonostante la sua intrinseca complessità. dipende, infatti, moltissimo dal talento vocale d'interpreti quali, Marina Bruno, Raffaello Converso, Giuseppe Parisi, Patrizia Spinosi e
Virgilio Villani.
Ma c'è, infine, ancora una domanda cui rispondere: perché Li Turchi Viaggiano? Il titolo, in realtà, riprende in parte un'espressione che le genti del Meridione, storicamente terra di conquista, si sono tramandate di generazione in generazione: «Mamma Li Turchi!». Ma se in passato il grido d'allarme era rivolto contro un nemico in carne ed ossa e da cui, per tale ragione, era anche possibile difendersi, oggi, il vero nemico, di gran lunga più infido, è una dilagante e massificante nemesi storica.
Li Turchi Viaggiano appare allora una dichiarazione d'intenti, un modo per ribadire che continua quella lotta per il recupero della nostra identità iniziata negli anni
'60
con la Nuova Compagnia di Canto Popolare e proseguita sino ad oggi con i Media Aetas. E ad avere paura, questa volta, non deve essere il popolo, ma il potere costituito. I "Turchi" del M° De Simone sono, infatti, la proiezione di una coscienza popolare mai realmente sopita e, da sempre, antitetica alle logiche del potere.
Massimiliano Cerreto per
Jazzitalia
Presentazione ovvero "del viaggiare"
di Roberto De Simone
Negli ultimi cinquant'anni è mutato considerevolmente il nostro rapporto con l'opera d'arte, sempre più imprigionata da un museale economico, sempre più contaminata da arroganti presunzioni culturali, da pretese interpretative, filologiche, ma del tutto svuotata dei suoi contenuti rivoluzionari, o del suo senso di vivente ponte linguistico tra passato e futuro.
Al contrario, la società dei nostri tempi si colloca esclusivamente in un assurdo presente, in cui tutto deve convivere, senza alcun riferimento alla storia o ai linguaggi che per millenni hanno connotato l'arte.
E del resto sono innumerevoli i prodotti artistici dell'ultimo cinquantennio che su tale problema hanno puntato l'attenzione. La musica di queste incisioni, in effetti, colloca spesso sullo stesso piano lacerti stilistici del Cinquecento, del Seicento, del Settecento, e proiezioni armoniche degli stessi, rimandando l'immagine distorta di un audiovisivo. Il tutto è collocato a volte su binari ritmici autonomi, se pur indifferentemente aggregati a uno stile compositivo in cui il dato ritmico, schizofrenicamente ritmico, vuole assumere identità di linguaggio. È come se noi non fossimo più in grado di fruire un unico ritmo, e ci accorgessimo che in qualche caso c'è un doppio o triplo fluire del tempo. Del resto, la pretesa del messianico benessere dei consumi, propaganda subdolamente che è questo il massimo raggiungimento umano della storia, non della Storia, che comunque, seguita a scorrere.
E i Turchi? Non è questo il tempo dove la tracotanza occidentale dello sfruttamento è costretta a fare i conti con l'Oriente, con il mondo islamico, africano, da secoli oggetto di violenza e di egoistico e cinico mercato? Metafora, dunque; del resto il termine‚ "turchi", storicamente, ha sempre assunto il significato di diversità, di oscura paura di un ritmo composito, non regolare, cuore ignoto, poco rassicurante per le ipocrite certezze di una cultura eurocentrica, o occidental-centrica.
(fonte: www.mediaetas.it)
Ripresentazione di Roberto De Simone
di René Pandis
Perché una ri-presentazione si chiederanno acquirenti interessati o ascoltatori occasionali di questo CD che per la prima volta si imbattono in Roberto De Simone? Perché sarebbe del tutto irrispettoso presentare in modo virgineo questo artista enciclopedico di 70 anni, con alle spalle una scia di opere lunga decenni, solo perché in questo caso si tratta della prima vera e propria pubblicazione della sua musica da più di 20 anni! Chi lo conosce meglio, chi ricorda ancora l'eco di una certa Nuova Compagnia di Canto Popolare, il gruppo che Roberto De Simone e un pugno di giovani musicisti entusiasti aveva fondato nel 1967, avrà atteso con curiosità un tale aggiornamento.
La scoperta delle culture all'interno di un'altra cultura! Negli anni '50 e '60 del secolo scorso un forte movimento etnomusicologico divenne - ancor più in Italia che altrove - il punto di partenza di nuovi approcci radicalmente creativi. La particolarità della NCCP, ciò che aveva elettrizzato il pubblico e aveva portato al gruppo riconoscimenti internazionali, consisteva nella rielaborazione contemporanea, urbana e decisamente non-filologica della musica tradizionale del Mezzogiorno e in primo luogo della Campania, la regione la cui capitale Napoli ne rappresenta il punto di attrazione centrale e l'allegoria più misteriosa.
Roberto De Simone nasce in uno dei quartieri più popolari della città, la Pignasecca, rampollo di una famiglia di gente di teatro e musicisti. Termina gli studi al conservatorio e tuttavia, per necessità esistenziali e anche per rifiuto delle attività culturali di impronta elitaria, interrompe sia una promettente carriera di pianista che lo studio delle lettere all'università. Accetta ogni sorta di lavoro che corrisponda ai suoi tanti talenti (cembalista, pianista jazz nei bar americani del dopoguerra, compositore di musica da teatro, arrangiatore di canzoni ecc.) e si dedica agli studi antropologici ed etnomusicologici in Campania.
Per anni De Simone svolge ricerche sulla cultura regionale contadina e pastorale: un universo magico-religioso, fantastico e matriarcale, le cui comunità sono immerse in un intreccio di relazioni rituali estremamente complesse, un mondo parallelo alla società storica, un mondo che poteva conservare i suoi codici solo adattandoli ad un cattolicesimo popolare e al suo culto mariano che la Chiesa in fondo aveva ricalcato sul vecchio credo pagano. Le musiche di questa cultura - eseguite sempre in un contesto rituale e da maestri virtuosi della loro arte - troverebbero posto al meglio tra il più puro Cante Jondo d'Andalusia, le trance degli sciamani dell'Asia centrale e le tradizioni modali dell'Oriente.
Mentre De Simone fa confluire i risultati delle sue ricerche in diversi lavori e documentazioni, continua ad immergersi nel flusso dei linguaggi arcaici, seguendo tuttavia in egual misura il suo istinto di artista contemporaneo con background accademico e un'accentuata perspicacia storica. Cosa che dà l'ultimo impulso ad un percorso fenomenale che farà di lui uno dei creatori più produttivi e sorprendenti in Italia e, nella sua città natale, una leggenda vivente.
Nel 1976 Roberto De Simone e la Nuova Compagnia di Canto Popolare presentano al Festival dei Due Mondi di Spoleto La gatta Cenerentola, un capolavoro di teatro musicale liberamente tratto da Lo Cunto de li cunti di Giambattista Basile (1575-1632), uno dei primi adattamenti letterari di favole popolari in Europa. Questa versione arcaica di Cenerentola in lingua napoletana serve a De Simone come crogiolo per la fusione di tradizione magica, musica popolare e colta, diversi stili teatrali, misteri ermetici e rozzezza fabulistica. Dopo la Gatta l'avventura della NCCP, con De Simone come mentore, si avvia lentamente alla fine.
«Per cui pensai che fatto il primo passo verso questo mettere in evidenza lo stile della tradizione l'operazione successiva sarebbe stata quella del teatro, cioè a questo livello guardare anche alla nostra tradizione di scuola di musica la quale in gran parte aveva attinto anche nei secoli precedenti alla tradizione popolare. Perché la tradizione della scuola napoletana di musica è una tradizione di belcanto comunque, non è una tradizione di strumentisti. Noi abbiamo una tradizione di canto. Parte nel 500 con le villanesce popolari e le villanelle ecc. ma poi diventa la grande scuola di madrigalismo con Gesualdo Da Venosa. Successivamente si trasforma in scuola di teatro melodrammatico e mano mano diventa musica religiosa ecc. sulla base però di formule che, in gran parte, si riannodavano alla tradizione di canto popolare. Le cantate natalizie attingevano i loro ritmi anche nella musica colta anche dalle melodie degli zampognari che suonavano le musiche dell'equestre natalizio. Le forme di canto e di belcanto facevano capo ai melismi di un'antica tradizione napoletana di derivazione medio-orientale come le tammurriate sono in stretta relazione con molte musiche del Nordafrica. Di modo che tutti questi elementi, a mano a mano, sono stati anche recepiti dalla scuola napoletana colta e chiaramente stilizzate come avviene nel processo artistico anche della pittura e della scultura o nello stesso teatro. Queste sono le basi sulle quali ho composto musica, ho fatto teatro, ho fatto regia, ho fatto altre cose» (Roberto De Simone, a colloquio con Renè Pandis)
La storia della cultura napoletana è tanto ibrida quanto continua. Tale continuità tuttavia ne aveva risentito sia a causa della repressione politica come conseguenza dell'unificazione nazionale italiana, sia a causa del declino economico e dell'emigrazione della popolazione nonché della risultante crisi d'identità, cadendo infine nel dimenticatoio in seguito agli stereotipi di una nuova napoletanità piccolo borghese. Con La gatta Cenerentola Roberto De Simone si ricollega in modo spettacolare alla passata continuità facendola rivivere soprattutto agli occhi degli stessi napoletani.
Agli inizi degli anni '80 il Media Aetas Teatro raccoglie la successione della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Grazie alla sua natura bifronte, Media Aetas diventa un interprete ideale delle opere del Maestro: da una parte compagnia itinerante di teatro musicale di eccentrica entità in questi tempi gretti, dall'altra un ensemble musicale formato da cantanti-attori di formazione desimoniana e da brillanti strumentisti, di casa indifferentemente sia nella musica tradizionale che in quella classica o nel jazz. Virgilio Villani dirige l'intero complesso Media Aetas dai suoi inizi. Aveva conosciuto Roberto De Simone sin dal 1971, venendosi così ad instaurare nel corso degli anni quasi una sorta di simbiosi lirica tra il creatore e l'esecutore. L'universo sincretico di Roberto De Simone non ha quindi mai cessato di produrre dei capolavori. Eccone una minuscola selezione:
Carmina Vivianea rende omaggio a Raffaele Viviani, il grande innovatore del teatro napoletano del primo quarto del Novecento. Stabat Mater, con l'incomparabile Irene Papas, contrappone un rituale sacro, alla stregua delle sacre rappresentazioni medievali, allo Stabat Mater di Giambattista Pergolesi. La Cantata per Masaniello celebra la rivolta popolare del 1647 e il suo eroe tragico, mentre la Messa di Requiem in memoria di Pier Paolo Pasolini riunisce insieme, per la consacrazione del fratello spirituale ucciso, cori classici e canto tradizionale, orchestra sinfonica e il blues napoletano di James Senese. L'Opera dei Centosedici, un'opera di mendicanti contemporanea, estende la sua danza macabra dell'età dei consumi fino alle favelas latino-americane, mentre un redivivo Duke Ellington proverebbe diletto nel Da Dioniso ad Apollo, un progetto jazzistico con Marco Sannini nato da un frammento di Bach. L'Opera Buffa del Giovedì Santo rappresenta un affresco tragico ed opulento del Settecento napoletano che si conclude con la rivoluzione giacobina, soffocata sul nascere, del 1799. Filo rosso dell'opera: un destino da castrato di rimembranza mitica, nella stessa misura passione e metafora tagliente delle condizioni cui soggiace - oggi più che mai - l'artista. La rigorosità infatti non si vende facilmente, altrettanto avviene per l'acume. De Simone rifiuta categoricamente ogni sorta di concessione che smorzerebbe le sue rappresentazioni o che renderebbe più disponibile il suo lavoro favorendone una maggiore diffusione da parte dei media. Così come si è sempre rifiutato di lasciare Napoli. Sebbene non gli fossero mancati i motivi per volgere le spalle alla sua amatissima, ma molto ambigua, città cenerentola. E Media Aetas Teatro, ufficialmente una delle migliori compagnie italiane, continua a provare, perché gli manca un teatro proprio, in una clinica psichiatrica condannata alla chiusura. Dietro le mura dell'istituto Leonardo Bianchi, teatro, musica e poesia si confondono con la tristezza di un residuo pugno di pazienti: artisti e pazzi sotto un tetto comune, un'immagine tanto grottesca quanto logica.
Che significato hanno allora questi Turchi che viaggiano?
A prima vista Li Turchi viaggiano appare come un ulteriore parto dell'instancabile forza creativa di Roberto De Simone: un'opera ibrida, profondamente autentica e sbalorditivamente moderna, un gioco sfrenato con contaminazioni particolari, mosso dall'energia e dalle emozioni di queste incredibili voci napoletane. Se guardiamo e ascoltiamo più attentamente tuttavia,
veniamo aspirati fin dal primo suono nel vero e proprio cuore dell'universo di De Simone. Davanti a noi compare un completo panorama spirituale, prendiamo parte al processo dell'intero cammino di una vita. I Turchi viaggiano... Nella tradizione napoletana i Turchi servono spesso come riferimento alle minacce delle incursioni barbaresche di un tempo. Nella simbologia magica rappresentano però anche le anime dei defunti, soprattutto quando queste, nel periodo tradizionale della frattura dei livelli, si mescolano ai viventi. Analogamente ci si comporta con le tradizioni: se scompaiono, possono continuare il loro viaggio nelle creazioni di un artista, anche se sotto nuove forme. Il mondo delle tradizioni, di cui Roberto De Simone si è fatto cronista e interprete, aveva già raggiunto, quando egli esercitava la sua ricerca sul campo, il suo ultimo zenit. I maestri cantori, i maestri tammorristi (tammorra: tamburello tradizionale), i fabulatori e narratori e innumerevoli altri hanno portato con sé nella tomba la loro arte. I rituali carnevaleschi, in cui Pulcinella non fa affatto il buffone, bensì la guida ctonica ermafrodita, provvista di polisemie che disorientano, sono in via di estinzione. E che ne è di Cenerentola e delle sue sei (!) sorellastre, che in maniera miracolosa si sovrappongono al girotondo annuale delle sette Madonne campane? La più brutta, la nera, quella di Montevergine, si rivela ad ogni solstizio d'inverno come la più bella, la più radiosa di tutte, infatti è lei a risvegliare la vita... almeno c'era così, una volta. È stato Pasolini a dissezionare nel modo più spietato il meccanismo dell'annientamento delle culture popolari da parte della società edonistica. E così viaggiano i Turchi sotto la mano corrucciata del vecchio artigiano, alla fin fine. De Simone fa nascere chimere, e queste creano fratture nel nostro menzognero presente. Ingredienti della sua alchimia: villanelle medievali, canti di commedianti, tarantelle magiche, motivi sacrali, opere buffe, ballate di posteggiatori, frasi jazziste, barocco a casaccio... Quanta memoria conserva, quanta musica. Con essa egli è in grado di fare che cazzo vuole, come ha descritto molto bene una persona a lui vicina! Questi versi o quelle formulazioni sono allora presi a prestito, inventati o distorti? La tal melodia è farina del suo sacco, abilmente trasformata, alterata o semplicemente è stata nuovamente valorizzata
solo in un contesto non necessariamente pertinente? Tant'è! In ogni caso l'inno nazionale italiano si ritrova del tutto inaspettatamente nel bel mezzo di un canto satirico carnevalesco a ritmo di tarantella come un dignitario reduce da una sbornia nel letto di un albergo a ore (Italiella). Buon giorno, Italia di oggi!
Non è forse un caso che Media Aetas significhi sia Medioevo come anche Età di passaggio. Da un lato questa libertà di sgraffignare al banchetto senza tempo dell'espressione autentica, dall'altro questa nostra drammatica epoca di crisi dei linguaggi
proprio laddove la società occidentale si ritiene la società della comunicazione. Roberto De Simone ha completato la sua metamorfosi, cambia di colore in un mimicry naturale policromatico, nella sua espressione artistica, nella sua tradizione, opponendo resistenza contro tutto lo schizofrenico balbettio dei mass media. I Turchi grazie a lui proseguono il loro viaggio, il cerchio si chiude. Li Turchi viaggiano è un invito alla danza degli spiriti, un'evocazione dell'Oriente nel nostro intimo più profondo, un rituale che scaccia le paure e il rincretinimento di tutti i tempi, per lo meno per il tempo che questo dura.
(traduzione di Luna Ligi; fonte:
www.mediaetas.it)
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Data pubblicazione: 20/06/2004
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