Jazzitalia - Guido Bosticco, Guido Mazzon: La Tromba a Cilindri
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Guido Bosticco, Guido Mazzon
La Tromba a Cilindri

IBIS 2008 pag 107 prezzo di copertina 19,50 E.

La musica, io e Pasolini
di Marco Buttafuoco

Guido Mazzon, esponente "storico " del jazz d'avanguardia italiano ha pubblicato da qualche mese questo libro particolare, scritto assieme a Guido Bosticco e dedicato sia alla sua esperienza di musicista ed alle sue idee artistiche, sia ad una memoria familiare molto particolare, quella di suo cugino Pier Paolo Pasolini, conosciuto in Friuli durante tante vacanze estive, negli anni dell'infanzia. Fu proprio il grande poeta a regalare a Mazzon la prima tromba professionale, perché con essa sostituisse il vecchio ed ansimante strumento su cui il ragazzino iniziava le prime esplorazioni sonore. Particolarmente affascinanti sono le pagine in cui Mazzon descrive il rapporto fra Pasolini e la cultura friulana, il suo amore per quel dialetto arcaico, forse aspro, che il poeta sapeva trasformare in un canto totalmente nuovo. Pagine affascinanti anche perchè questo stretto legame rapporto fra arcaismo e novità interessa molto anche la sua musica. Non a caso nel libro, Guido Mazzon cita l'Art Ensemble of Chicago come fonte della sua ispirazione quando scrive " arcaico è il materiale che ha a disposizione il gruppo, arcaici i suoni evocati, gli urli, i recitativi e, di contro il fraseggio del sax di Roscoe Mitchell, che potrei definire post schomberghiano…" (pag 34)

Da questo tema è partita la nostra conversazione.



Sono affascinato anch'io da questa polarità fra arcaicità e innovazione. Ma fra Satchmo e Lester Bowie c'è di mezzo molta arte, un patrimonio di musica immenso. Come lo dobbiamo considerare?


Io non trovo cesure, interruzioni, discrasie fra le esperienze del jazz arcaico e il free. Fra New Orleans e la Chicago degli anni 70. Lei mi chiede cosa penso di tutto quello che c' è fra a questi due " estremi". Penso semplicemente che ci sia tutta la storia del jazz che io ho amato ed amo e che ho studiato con passione. Ho cominciato suonando musica di New Orleans. Mi affascinava l' improvvisazione, la coralità. Lo stesso fece Lester Bowie, mio grande e rimpianto amico. Ma ho ascoltato, con amore immenso, Duke Ellington. Dai suoi trombettisti ho appreso l' uso delle sordine. Nel free italiano degli anni 70, un po' caciarone, non le usava nessuno. Sono stato il primo. Ho amato Shorty Rogers ed i "californiani", ho adorato Chet Baker, ho ascoltato tutto, proprio tutto Miles. La storia del jazz non è il campionato di calcio in cui si fa il tifo per questa o quella squadra. Io amo il jazz, parola misteriosa, con connotazioni incerte e torbide. Lo amo tutto. Data questa premessa penso al free, mi ripeto, come alla la continuazione del jazz delle origini e di tutta la storia del jazz. C'è di più. Se questa musica, fino alla fine degli anni 60 è stata un fenomeno tutto americano, la lezione dell' Art Ensemble Of Chicago, che affondava le sue radici direttamente nell' Africa nera, ha attecchito dappertutto. Soprattutto in Europa. Si pensi solo agli improvvisatori inglesi ed olandesi. Il free ha internazionalizzato definitivamente il jazz. Il suo merito storico è aver creato un linguaggio nuovo ed universale partendo dalla tradizioni musicali precedenti. Io stesso ho trovato in questa musica la possibilità di far risuonare in qualche maniera il mio essere europeo. Mi sono innamorato del jazz ascoltando Chet Baker, ma in realtà sono cresciuto anche con Verdi, con la tradizione italiana. Come tanti altri, negli anni 70, mi posi il problema di cosa fare, io jazzista, di questo bagaglio che mi portavo dietro. Altri in Europa si ponevano questo quesito. Qualcuno ha detto che i grandi improvvisatori olandesi erano imbevuti di una grande tradizione di cabaret. Alexander Schlippenbach mi diceva che tutti gli improvvisatori tedeschi erano post wagneriani.. Questo è l' orizzonte che ci ha aperto il free jazz. Ci ha fatto capire che potevamo creare una musica di improvvisazione e di ricerca basandoci sulla tradizione afro-americana, ma anche facendo valere il nostro vissuto musical, diverso da quello di un collega nato in un ghetto metropolitano. Prima di allora si diceva più o meno che solo un americano nero potesse suonare jazz e che se un bianco era un ottimo jazzman si diceva che somigliava ad un nero…

Lo studioso americano Ted Gioia dice che la musica di Coleman è in realtà una estensione estremizzata del be –bop. Dalla lettura del suo libro sembra che lei tenda a concordare con questo assunto e che per lei l'AEOC sia più importante di Ornette

C'è del vero. In realtà Free jazz, disco meraviglioso ed al quale devo molto è ancora dentro la tradizione bop Uno dei due quartetti suona in totale libertà, ma l'altro pulsa in quattro. E' un lavoro in qualche maniera ritmicamente strutturato. La musica dei chicagoani non lo era più. L'Art Ensemble portò una ventata di novità in termini di recupero della ritualità della musica, della teatralità. Era già fuori dal jazz in senso stretto. Il loro apparire in scena con i costumi africani, o con il camice bianco di Lester, i recitati di Jarman dicevano qualcosa di più della dimensione musicale. Forse ho voluto un po' esasperare questi aspetti nel mio libro. Per sottolineare la reale novità della loro arte. Un arte che riuscì a fondere mito ed avanguardia.. Certo non dimentico che Ornette ha liberato il jazz da un punto di vista armonico. E non dimentico Cecil Taylor con il suo pianismo percussivo e radicale. Ma per spiegarmi ancora meglio voglio citare la meravigliosa rilettura che l'Art Ensemble dette del lamento di Arianna di Monteverdi, ne "Les stances a Sophie". Questa è stata la loro vera grandezza (ed anche quella di Anthony Braxton): essersi confrontati con tutte le tradizioni musicali. A partire da quella dell' Africa nera. Nel libro, lo avrà notato, manca qualsiasi riferimento ad Albert Ayler. Non l' ho voluto citare per pudore. La sua musica mi riempie di tanta commozione che non sono riuscito a dire sulla pagina. E' il mio idolo. Le poche volte ce ho usato temi di altri musicisti per le mie improvvisazioni sono stati suoi temi.

Lei sembra però un po' sottovalutare Coltrane come alfiere del free

Trane è stato un musicista geniale. Ma dischi come "Ascension" sono secondo me la conclusione estremizzata della sua ricerca modale, non l' inizio del free. E in quell' incisone, a mio avviso non c'è il miglior Coltrane. Questo lo dobbiamo cercare nel suo precedente modalismo. Non è corretto considerarlo un precursore del free. Dovremmo anche allora considerare tale Duke Ellington, o musicisti come Shorty Rogers e tanti altri californiani, nei quali si sente non solo il jazz, ma anche la musica europea del 900. L'ultimo Coltrane mi pare francamente, un musicista non trascendentale. 

Al suo apparire la "New Thing ebbe anche una valenza politica. Questa musica fu forse la colonna sonora di lotte sociali e razziali molto accese.

Questo fu vero negli Stati Uniti. Molti musicisti si schierarono in effetti con i movimenti neri più radicali come le Black Panthers. In Italia ci fu un fraintendimento colossale che sfociò nel parodistico. In un festival a Pescara, ricordo, non si voleva far suonare il dolce e fragile Chet Baker, perché ritenuto un fascista. Lo stesso accadde a Keith Jarrett. Il free fu accolto come una musica politicamente rivoluzionaria, ma pochi capirono la sua carica eversiva musicale. L' arte ha i suoi percorsi, non si regge su motivazioni ideologiche. Una improvvisazione libera può essere noiosa e squinternata, così come molto cool jazz ha espresso poesia musicale allo stato puro…

Cosa rimane, dopo quarant' anni, di quella stagione densa, tellurica

Ben poco. Rimaniamo noi, i giovani di allora, oggi invecchiati a cercare strade non battute. Ma la musica che suonavamo allora è, naturalmente, invecchiata. Oggi in giro vedo tanti giovani dotatissimi di tecnica musicale ma non interessati ad espressività nuove. Vedo un trombettista preparatissimo come Bosso sprecare il suo talento con progetti ai confini della musica leggera. Vedo il trionfo di Giovanni Allevi, della superficialità, dell'omologazione. Vedo il trionfo della concezione del jazz di Wynton Marsalis. Un grande strumentista che ha dedicato il suo talento alla ricostruzione di un archetipo jazzistico invece che alla creazione di una nuova musica. Il jazz non si può codificare.

Mi chiedo se la sua delusione riguarda solo i giovani o anche i suoi coetanei. E mi chiedo anche come vede oggi lei l'esperienza dell'Italian Instabile Orchestra

Che dire? Molti che si arrangiavano, suonando in una qualche maniera con il free, una volta imparato a suonare davvero si sono dati al jazz classico. L'Instabile si è stabilizzata. Dopo il disco con Anthony Braxton non ha saputo trovare strade nuove e si sta adagiando. Ma io, oramai, non ne faccio più parte. D'altronde è stato un miracolo tenere insieme tante personalità forti per tanto tempo. E già tanto difficile creare l' equilibrio in un piccolo gruppo.

Lei si dichiara pessimista, ma non sembra certo arrendersi…

Io continuo per la mia strada. Metto in piedi dei duo, ho appena inciso con Giovanni Maier, che è fra i pochi musicisti delle generazioni successive alla mia interessato ad una ricerca autentica. E' strano, quando ho cominciato c'erano pochi jazzmen in giro. Oggi ci sono tantissimi bravi musicisti, tecnicamente preparatissimi, ma purtroppo appiattiti. Suono spesso da solo, magari utilizzano suoni "stravolti" da qualche diavoleria elettronica. Non mi adatterò a suonare degli standard. Non perché non mi piacciono. Tutt' altro. E' che non avrei niente di nuovo da dire rispetto a tutti quei grandi musicisti, Chet, Duke, Miles che li hanno suonati prima di me e che considero i miei maestri. Cerco ancora. Non mi stancherò di farlo.

Al libro è allegato un interessante disco che testimonia della musica di Guido Mazzon con incisioni che abbracciano un arco di tempo che va dal 1973 al 2005 e nelle quali il trombettista interagisce con partners del calibro di Giovanni Maier, Andrew Cyrille, Paul Rutheford e tanti altri.







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07/04/2009

Orchestra (Bolzano Creative) 2007 (Anthony Braxton + Italian Instabile Orchestra)





Video:
One Lip 4tet - The Call (Guido Mazzon)
Guido Mazzon - Tromba, Nicola Cattaneo - Chitarra, Franco Cortellessa - Chitarra Baritona, Peppe Leone - Percussioni. Settembre 2012...
inserito il 02/10/2012  da NicoCattaneo - visualizzazioni: 4348


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Data pubblicazione: 20/02/2010

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