"La notte dei tempi viventi"…sì, "notte"
e "tempi": due concetti interpretati dal giovane chitarrista in modo molto personale,
estesi nella concettualità e nella realizzazione artistica; l'intervista ne darà,
si è convinti, spiegazione esauriente.
Massimo Sorrentino è un jazzista dalle significative capacità espositive,
naturalmente portato ad un marcato nitore in termini di arrangiamento ed orchestrazione,
grazie ad una tecnica tendente alla raffinatezza ben appresa nella sua dedizione
ad un genere contemporaneo che non impedisce il rimaner fedeli a basi irrinunciabilmente
sudamericane e, soprattutto, fusion.
Le atmosfere dell'album variano nelle coloriture (dal lirismo alla
performance ad effetto) secondo un equilibrio sonoro tendente alla discorsività
– anche a quella più accattivante – con esiti omogenei nell'ascolto, di grande garbo
e piacevolezza.
L'organizzazione dell'insieme strumentale risulta brillante nella progettazione,
spaziando con intelligenza nelle plurime dimensioni che il pathos improvvisativo
può offrire: un happy jazz, insomma, dove il peso armonico new age
incontra un ampio cielo di intuizioni melodiche su cui gioiosamente imperversare
col proprio talento.
La voce strumentale, adeguatamente sorretta dai bravi componenti del
Group, giunge ariosa e rotonda, nella predilezione di timbri caldi e di un
linguaggio incline all'eclettismo: una pari attrazione, dunque, per il variegato
stilismo sudamericano e per la lezione nordamericana, fondamentale e più rigorosa
dal lato tecnico.
Gradevole il dialogo con Massimo. Eccolo:
F.C.: Ciao Massimo, ti va una presentazione?
M.S.: Mi chiamo Massimo Sorrentino. Sono
un chitarrista jazz campano anche se sono nato a Pescara e mi ritrovo spesso a vivere
anche a Roma. Dopo una serie di esperienze e lavori al servizio di altri artisti,
recentemente ho avuto il piacere di poter pubblicare il mio primo disco da solista,
dal titolo "La notte dei tempi viventi" : un
album con varie contaminazioni musicali (jazz, latin, jazz/rock, word, etnica ecc…)
pubblicato dalla Comar23.
Tale etichetta ha apprezzato e voluto produrre la mia musica inserendomi così tra
le sue recenti pubblicazioni, che comprendono fra l'altro lavori di jazzisti, come
Joe La Barbera, Darek Oles, Sid Jacobs, Marco Collazzoni,
Andy Gravish,
Pietro Tonolo. Una bella esperienza per me e gli altri musicisti
coinvolti nel "Massimo Sorrentino Group", che vorrei citare e ringraziare
per la loro grande musicalità e preparazione: Daniele Sorrentino (basso),
Andrea Rea (pianoforte e tastiere), Mario Toscano (batteria), Luca
Cioffi (percussioni), Tony Sorrentino (fisarmonica), Peppe Fiscale
(tromba e flicorno) e Stéphanie Tirelli (armonica synth e tastiere)."
F.C.: Nell'ascolto del cd si notano passi
alla Metheny
ben arrangiati, un deciso interplay peraltro originale, il tuo stile chitarristico
caratterizzato da un fraseggio morbido ed accattivante. La progettazione d'assieme
dell'album mi sembra convincente, piacevole è la vostra tendenza allo smooth di
qualità, a mio avviso abbastanza evidente nella scelta del registro per le tastiere?
M.S.: L'influenza "methenyana" c'è ed è capitato
che questa nel disco si tramutasse in veri e propri omaggi/citazioni (come quando
nel finale di "Phase bagher" ripropongo una
famosa struttura armonica tratta da "Phase dance": brano storico del gruppo
americano). Più in generale devo dire che l'approccio descrittivo musicale del
Pat Metheny Group mi coinvolge prima di tutto come appassionato
di musica, poi è inevitabile che quando ami qualcosa, ciò condizioni un po' il tuo
modo di essere: quindi ritornando alla mia musica, effettivamente si possono ritrovare
degli elementi cari al PMG, cioè quell' attenzione nei riguardi degli arrangiamenti
con l'uso di tastiere, tromba e fisarmonica, così come nel suono …tutto ciò spero
abbia portato ad un "sound" d'insieme che risulti riconoscibile, questo anche grazie
al fatto che suoniamo assieme da molti anni,nonostante adesso abbiamo ancora un'età
media di 25 anni.
F.C.: Da dove nasce il titolo?
M.S.: Il titolo del disco vuole essere un omaggio a un film che ha segnato
un'intera generazione di appassionati del genere horror: "La notte dei morti
viventi", che non a caso ho voluto celebrare anche con un video/cortometraggio
di prossima uscita (spero). Magari poi avrò modo di parlarti più nei particolari
di quest'ultimo progetto che cerco di curare parallelamente al disco. Ma nel titolo
c'è anche un tentativo (nascosto) di far capire che parte della mia musica è stata
ispirata da una ricerca continua nei riguardi dei tempi: intendo quelli musicali.
Infatti molti brani danzano su cambi improvvisi di ritmiche, con l'uso di tempi
dispari e/o cambi di velocità. Oltretutto c'è da dire che amo molto suonare e comporre
a notte inoltrata. Quindi con un tale binomio, cioè " compongo di notte e su vari
tempi", mi è sembrato naturale chiamare l'album "La notte
dei tempi viventi"….
F.C.: L'idea mi sembra spiritosa e soprattutto
autoironica, ben venga! Torniamo al fatto più strettamente tecnica: Ad esempio mi
pare possibile affermare che la tua preparazione sia abbastanza completa, così giusta
mi sembra la scelta della marca delle chitarre (preparate?) che usi nell'album.
M.S.: Mi auguro di dare l'impressione d'essere
completo, anche se forse nessuno riesce mai a completarsi. Ad ogni modo nel mio
percorso tecnico e artistico ho sempre cercato di non perdere di vista ciò che mi
dava emozione. Quindi anche nello studio della musica ho cercato sempre di dare
un'occhiata al di là di ciò che mi poteva offrire lo studio del mio strumento. Oltre
a dedicare ore ed ore alla chitarra, in certi periodi ho deciso coscientemente (e
decido tutt'oggi) di impiegare il mio tempo anche ad altri strumenti (come il pianoforte)
o allo studio della composizione, degli arrangiamenti o della produzione di suoni…Da
quest'ultima ricerca nasce anche il mio suono di chitarra, che in particolare, nel
disco ho curato sopratutto sulla mia Ibanez 335, con vari effetti ricavati dalle
mie pedaliere o sfruttando il" mondo dei plugin" dei software musicali, i quali
mi hanno permesso, un paio di volte, di creare il suono dopo aver effettuato la
registrazione. E' il caso del solo di chitarra proprio su "Phase
bagher": quell'improvvisazione è stata registrata con una Fender senza
alcun effetto ("flat"), solo in un secondo momento l'ho "decorata" con un po' di
"chorus" e di "delay".
F.C.: Talvolta la batteria mi pare troppo
in evidenza nella registrazione, ma è solo una mia sensazione… Il mood in ogni caso
risulta pulito, molto terso, solare."
M.S.: Non so a quali passaggi ti riferisci: ma
in effetti ti confermo che in alcune circostanze è stata una scelta contemplata
quella della batteria più "fuori", in quanto ci tenevo che venisse messo in evidenza
quel senso del tempo e del ritmo anche a livello di missaggio.
F.C.: Bello l'assolo in "Pioggia
di lacrime d'avorio", buon fraseggio, gradevolmente acidulo (il Frisell
più "gentile"), ottimo l'intervento del piano e l'appoggio della ritmica – bravo
il batterista nei cambiamenti di tempo. Il brano suona originale e ben ideato nelle
armonie.
M.S.: Innanzitutto, grazie! Sono pienamente d'accordo
con te! Forse in "Pioggia di lacrime d'avorio" (così come ne "La notte
dei tempi viventi") sono riuscito nell'intento di trovare un giusto equilibrio
delle parti: sia dal punto di vista improvvisativo (alternando e diversificando
le atmosfere nei soli di chitarra e di piano), sia per l' arrangiamento (sfruttando
un organico piuttosto ampio), sia per quello che riguarda l'aspetto ritmico, dove
basso e batteria hanno potuto spaziare fra momenti jazz/rock fino ad arrivare al
latin nel finale.
F.C.: La domanda corre d'obbligo, si sarebbe
detto anni fa. Però io te la faccio ugualmente: qual è il tuo progetto?
M.S.: "La notte dei tempi viventi" nasce
come un "concept album", il cui filo conduttore è appunto il "tempo". Ho pensato
di esplorare musicalmente la mia personale idea di questo fenomeno, cercando di
comunicare attraverso le note le sensazioni che provo quando, nella mia inquietudine
esistenziale, ho a che fare con il mistero del tempo, osservandone le sue caratteristiche
concettuali da ogni sua angolazione. Passato, presente, futuro: tre elementi indispensabili
per permetterci di considerare il tempo come un qualcosa di tangibile, reale. Penso
che la musica, più di ogni altra arte, abbia la capacità di aiutarci a "sentire"
il tempo. Ogni nota può farci ascoltare un tempo. E ognuno di noi ha il suo. Grazie
a tale miracolo, un suono del passato ci permette di vivere il presente con un'
eco del futuro ancora assente. Questa è la mia "frase simbolo" che ho creato
per racchiudere tutta la mia idea del rapporto tempo/musica. Inoltre spero che con
questo disco si possa inaugurare una serie di miei dischi a tema: vorrei continuare
a dedicare la mia musica a dei film, facendo così confluire nella musica la mia
altra grande passione, il cinema. Sono molto interessato alla simbiosi che si crea
quando musica e immagini si incontrano. E' mia intenzione, infatti, creare una storia
e un video/corto per ogni mio disco futuro. Tale esperimento in parte è già avvenuto
con questo album: infatti per ogni brano ho creato una storia che segue una logica
descrittiva (ovviamente del tutto soggettiva e personale) attorno ad ogni momento
del disco, con lo scopo di poter suscitare un ascolto alternativo della mia musica.
Tali racconti (assieme a delle foto paesaggistiche realizzate appositamente) sono
racchiusi in un libretto inedito (in quello ufficiale del disco non ci andava) che
ho messo a disposizione (ovviamente gratis) nel mio sito o che invierò a chiunque
fosse interessato. Con questi elementi ho già messo in cantiere le idee del mio
prossimo film...oops..."concept album". Tutte queste mie manie di grandezza credo
siano nate anche perchè ho notato spesso nell'ambiente jazzistico (e qui ci scappa
la polemichetta, una certa apatia e mancanza di voglia di cercare di dare altre
opportunità al jazz stesso...E poi ci lamentiamo se in Italia non c'è molto seguito?
Credo dovremmo cercare di porci diversamente rispetto all'uso del jazz nel
2006. Parlo sia dal punto di vista di una progettazione
di un disco che per l'esecuzione live. A volte rimango perplesso quando ascolto
dei dischi jazz che escono oggi, che sono concepiti con le stesse caratteristiche
dei dischi che si facevano negli anni '40,'50,'60. Non ne vedo l'utilità...preferisco
andarmi a sentire i dischi passati. Lo stesso vale anche nella proposta live: ma
lì il discorso è più complicato ancora...e spesso non dipende dal musicista.
F.C.: Si "entra" sorridendo nel tuo linguaggio,
nella tua sintassi musicale…volevi questo?
M.S.: Si, in effetti quando noto una reazione del
tuo tipo alla mia musica, rimango molto soddisfatto, perché lo spirito del disco
nasce proprio con la voglia e le intenzioni di fare una " musica solare", cioè con
una spinta emotiva verso un "ottimismo musicale" (se mi concedi il termine)
F.C.: Assolutamente sì, anche perché condivido
a fondo il concetto…ma continua tu…
M.S.: Appunto un ottimismo da ricercare nelle melodie
cantabili e nelle "ampiezze" armoniche: ecco secondo me il mezzo per raggiungere
tale obbiettivo…Magari evitando, in questo caso, atmosfere più cupe ed ermetiche
(tipiche di una certa "letteratura jazz")…e forse spiazzando anche un po', quando
invece il titolo del disco recita "La notte dei tempi viventi", facendo così presagire
scenari Dark! Mi preme comunque sottolineare che l'ultima traccia si rifà invece
ad atmosfere più tese, in quanto l'ho scritta pensando proprio a scenari più sinistri,
quindi come ad un'ipotetica colonna sonora di un film "thriller/horror".
F.C.: Mi spieghi la scelta della front
cover?
M.S.: Anche in questo caso devo ringraziare la
Comar23. In
quanto, normalmente, è brutta abitudine da parte delle etichette imporre all'artista
le proprie scelte grafiche (spesso prive di contenuti artistici e/o ripetitive);
in questo caso invece ho potuto collaborare assieme a Luca Algeri (dello studio
Graficamente Enna) ad ogni fase della progettazione grafica. Cercando di dare luogo
ad una copertina che desse il senso della mia musica: un cielo che rimanda ad idee
serene e che vuole strizzare l'occhio al tema del tempo (anche meteorologico), con
un metronomo che sta lì a scandire il tempo per ricordarci che ogni giorno diviene
notte.
F.C.: Prima alludevi un po' polemicamente
ad " una certa schiera di jazzisti"…
M.S.: Troppo spesso noto che vari musicisti jazz di oggi si comportano, artisticamente
parlando, esattamente come i jazzisti di settanta anni fa. Dando così luogo ad improponibili
clonazioni. Addirittura riscontro quasi un pizzico di presunzione, o di semplice
ingenuità, in certi musicisti che impostano la loro produzione e le loro proposte,
ad esempio, con la classica formazione in trio, suonando temi di 8 battute e poi
via con improvvisazioni di 5 minuti! Voglio dire: da Art Tatum a
Bill Evans fino a
Herbie Hancock, passando per Miles Davis o
Coltrane,
abbiamo veramente raggiunto l'apice, con del materiale artistico così incredibile
e così magico: ma nonostante ciò, è mai possibile che ancora oggi ci siano così
tanti musicisti che si sentono in "dovere" di registrare un disco per proporci la
loro versione di uno standard? Per carità: quando a suonare gli standard ci sono
dei talenti fenomenali come
Antonio Faraò, Giovanni Amato, i Deidda,
Bollani,
Di
Battista (e pochi altri in Italia), allora ben vengano! Solo in questi
rari casi per me il jazz di un tempo riesce a vivere una seconda giovinezza. Capisco
che corro il rischio di sembrare troppo intransigente (o forse lo sono veramente),
ma per me uno standard e la storia meritano rispetto, così come merita rispetto
il pubblico che compra un disco e deve ascoltarsi la miliardesima versione di "Autumn
Leaves". Se mi proponi una tua versione di questo standard, devi essere
all'altezza della storia, altrimenti lascialo fare a chi veramente riesce a proseguire
la tradizione jazzistica senza svilirla.
F.C.: E cosa si prevede per il futuro
di Massimo Sorrentino?
M.S.: Spero che con questo disco si possa inaugurare
una serie di miei dischi a tema:come ho detto, vorrei continuare a dedicare la mia
musica a dei film, facendo così confluire nella musica la mia altra grande passione,
il cinema. Ho in progetto di registrare una mia visione musicale del film che ha
segnato la mia vita: Ritorno al futuro. Infatti, se ho iniziato ad interessarmi
alla chitarra, lo devo proprio ad una storica sequenza di questo film: quella in
cui Michael J.Fox si scatena, armato di chitarra, in un'elettrizzante versione del
brano "Johnny be good". Un' immagine che mi ispirò molto! Per l'imminente futuro
invece stiamo organizzando un tour che ci porterà in giro per l'Italia, forse con
qualche "capatina" in Francia, per la presentazione live de "La notte dei tempi
viventi". "
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 10/03/2007
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