Derek Bailey
Improvvisazione: sua natura e pratica
in musica
A cura di Francesco Martinelli
Edizioni
ETS - Pisa
Collana: Esercizi di pensiero
Pagine: 212
Prezzo: € 21,00
Anno: 2010
ISBN: 9788846726988
Derek Bailey è stato (e tutt'ora è) un baluardo per l'improvvisazione nel senso
più ampio del termine. Ma cosa significa, cosa comporta e come si fa ad "improvvisare"?
O ancora, come si evolve un'esperienza di musica totalmente improvvisata? Sono solo
alcuni dei quesiti che si possono affrontare nel leggere questa seconda edizione
di "Improvvisazione: sua Natura e Pratica", curata per la ETS da Francesco Martinelli.
Uno straordinario reportage in cui Bailey riesce a porsi in un modo totalmente
imparziale effettuando un'interessante analisi attraverso i più noti generi musicali
e ricercando in ognuno gli aspetti riconducibili ad un approccio improvvisativo.
L'analisi si svolge attraverso delle interviste di Bailey con noti
rappresentanti dei vari generi musicali il tutto inframezzato da considerazioni
dell'autore che approfondiscono in modo sempre chiaro e - bisogna dire - condivisibile
la visione verso la pratica dell'improvvisazione. Così si affronta il raga
indiano che per possibilità combinatorie si avvicina in teoria a principi matematici
ma li evita affidandosi all'emozione e ad un apprendimento per trasmissione d'ascolto.
Il flamenco in cui l'idioma prevale ma all'interno del quale la creatività
e, quindi, la capacità di improvvisare o discostarsi dallo scritto, diviene elemento
decisivo e discriminante. Il barocco come rappresentante della musica classica
europea capace di "pietrificare tutto ciò che tocca". Eppure basti pensare
come anche nel barocco la notazione sia nata come mero mezzo di indicazione per
l'esecutore e non di esatta esecuzione. Il rock con la sua voglia di trasgredire
e il jazz "confinato" ad un genere come gli altri nel quale "emulare,
finanche clonare, o comunque derivare stilisticamente da qualcuno, limita la pratica
essenziale di una musica in cui l'aspetto che funge da leva evolutiva ne è, di fatto,
limitato". Si prospetta quindi il "rischio" di diventare la "musica
classica nera" e quindi una "musica rigida, chiaramente definita, coscientemente
fondata su una serie di giudizi e di valori con cui è in grado di definire non solo
se stessa ma qualsiasi cosa intorno a sé". E per finire la composizione
come pratica in cui convergono i vari generi musicali. Stimolante l'approccio di
compositori come Brown e i suoi esperimenti di notazione ("come si comporta la
mente umana, come reagisce quando è messa a confronto con gli stimoli grafici, notazioni
letterali") o Zorn con i giochi di strategia e le innumerevoli regole atte alla
definizione delle modalità di interazione e l'importanza della scelta delle persone
piuttosto che degli strumenti.
Il libro presenta diversi dettagli descrittivi, oltre a considerazioni profonde, filosofiche,
che riescono ad andare al di là di una superficiale associazione tra la parola "improvvisazione"
e l'esecuzione di una musica più o meno scevra da regole. Si affrontano anche aspetti
relativi all'elemento tattile del musicista con lo strumento che influenza le possibilità
esecutive e il pensiero musicale. Così come la concentrazione che assume un ruolo più
importante rispetto alle capacità tecniche.
Alla luce di questo percorso è quasi logico immaginare il motivo per cui si predilige
il suonare in gruppo piuttosto che in solo visto come "rischio di rimanere all'improvviso
incastrati nella routine di chi fa il piazzista della "sua" musica".
Altro argomento nodale è se - e come - si possa insegnare l'improvvisazione; tema
affrontato attraverso le esperienze di artisti come Han Bennink, Misha Mendrlberg,
John Stevens.
Il libro si chiude con la descrizione della genesi dei progetti di Bailey stesso,
insieme alle persone che vi hanno collaborato come ad esempio Tony Oxley,
Gavin Bryars, Evan Parker, John Stevens con ampio cenno ai gruppi storici
dell'autore come "Joseph Holbrooke" e "Company" e le note Company Week nelle quali
Bailey è stato capace di radunare le più diverse intelligenze musicali e artistiche
ponendole al libero confronto in modo da fungere come leva verso un oltre non chiaro
e non pensabile in modalità differente. Come sosteneva
Steve Lacy
"il posto della musica è sul limite tra il noto e l'ignoto, ed è verso l'ignoto
che bisogna spingerla, sempre, altrimenti è la sua morte, e la nostra…".
Una lettura che si rivelerà molto interessante e ricca di spunti di riflessione
e che porterà sicuramente ad ascoltare la musica in modo più totale, più attento
ad elementi che non siano necessariamente relativi al ritmo, all'armonia, alla melodia.
Marco Losavio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 06/02/2011
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