INDICE
LEZIONI
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Sulle tracce di una poetica jazz ...
Riflessioni e relazioni
storiche o emotive tra jazz e poesia
di Gianmichele Taormina
Traduzioni di Rosanna Grimaudo, Giusy Amato,
Warren Blumberg, Gianmichele Taormina
"Voglio essere considerato un poeta jazz
che suona un lungo blues in una jam session
d'una domenica pomeriggio."
(Jack Kerouac, Mexico City Blues, 1959)
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Quando
la libera ma lacerata terra d'America squarciò definitivamente il cuore stesso della
propria evoluzione, un simbolico parto di "materiale umano" costituito da
milioni di donne e di uomini neri caoticamente in fuga, si riversò legittimamente
verso una minuscola e quantomai conquistata porzione di "American Dream".
Il suono onirico che ne scaturì, fu un fluido possente e incontenibile di drammatica
e oceanica bellezza.
Il sound del jazz, questo "incomprensibile" lamento di genio e di filosofia
(follia) collettiva, non era altro che il più dignitoso passaporto di un popolo
in eterna migrazione. Una forma di mondiale nomadismo, al di sopra dell'abisso culturale
di una società in costante e violenta trasformazione, aperta solo ed esclusivamente
all'elevazione del nascente capitalismo bianco.
Il canto di sofferenza e di rivolta di questa amara condizione, nonostante
fosse in atto una complicata, anzi inesistente, integrazione razziale, fu rappresentato
dai primi coraggiosi crooner di colore, consci dell'impossibilità di un ipotetica
"redenzione sociale", ma non per questo mossi da un sincero ottimismo nei confronti
della nuova terra promessa. Quella Harlem Reinaissance che lentamente,
ma concretamente, muoveva i primi passi all'interno dell' establishment letterario
del decennio 1920/1930.
Inalterabili appaiono dunque tutti quegli elementi che, attingendo dalla
precarietà di uno stato sociale quantomai disgregato, elaborarono tuttavia il naturale
proclama di un'inscalfibile identità comune: la sacrosanta versificazione del quotidiano.
Un linguaggio questo, che, traendo forza dalla compresenza di elementi tipicamente
black, necessitava altresì della benedizione di un tramite "transitorio"
ma esplicitamente evocativo. Di uno strumento che coniugasse la drammatica violenza
delle vicende storiche appena conclusesi tramite un'immediato racconto musicale
costituito da una colonna sonora di dimensioni umane altamente rappresentative.
Il jazz, la musica classica dei poveri di questo secolo, divenne perciò veicolo
dinamico e selvaggio, urgente e urlante di quell'angoscia epidermica, talvolta malinconica,
raramente esasperta, che sarebbe di lì a poco definitivamente esplosa.
"Il
miglior documento di tale narrativa jazz resta ancora oggi il primo, scritto da
un poeta il cui modo di vivere fu tutto fuorchè da letterato, anche rispetto agli
standard americani" -
The Daniel Jazz
di
Vachel Lindsay
(1)
(Springfield, Illinois, 10 nov 1879 - 5 dic 1931, suicida).
Considerata
tra le voci più originali appartenute alla scuola della nuova Jazz Poetry,
la poetica di Lindsay, viene spesso paragonata a quella di un altro grande visionario
del secolo precedente. Quel William Blake
(28 nov 1757 - 12 ago 1827)
che anticipò emotivamente i germi
cristallizzati di un romanticismo carico di allucinanti prodezze. Di labirintiche
profondità espressive.
Il canto di Lindsay (1879-1931) è però più concitato, libero da orpelli
colti e denso invece di fascinazioni terrene che prendono in prestito la musica
come elemento di una lunga omelia blues.
Il verso è quindi lanciato - proprio come gli assolo - da una forma
di predicazione evangelica che era stata caratteristica dominante dell'infanzia
del poeta.
La recitazione della parabola, così come il racconto profetico del cantastorie,
ha infatti bisogno di una partecipazione corale simile al call & response,
proprio come avviene nelle chiese battiste, dove l'oratore sottolinea un evento
confermato poi dai fedeli, o nelle jam session tra musicisti mai incontratisi
prima, ma uniti nel concreto, dall'elemento dominante dell'atto religioso-musicale.
Il feeling sonoro si materializza così, in un infinito interplay di note e di anime
che agiscono pariteticamente senza spartiti e senza l'apporto di oscuri ed ortodossi
compromessi.
Di
diversa sensibilità semantica - poiché quest'ultima nasce da una diretta ispirazione
"naturalmente" witmaniana - è il lavoro di
Carl
Sandburg (Galesburg,
Illinois, 6 gen 1878
- 22 lug 1967). Pioniere di
un fraseggio che si muove tra concitata esaltazione della natura e pesante contrapposizione
del silente ruolo di segregazione destinato ai neroamericani del suo tempo, Sandburg
proietta nei suoi versi l'accusa dell'abberrante arrivo dell'epopea industrale
(2).
Avvocato, critico cinematografico ed in seguito giornalista di dichiarata ideologia
socialista, Sandburg ebbe modo di fronteggiare la delicata argomentazione grazie
al successo ottenuto con le varie biografie dedicate alla figura di Abramo Lincoln
(The Prairie Years
è del
1926,
mentre The War Years
fu pubblicato nel
1939).
Ben prima di essere accusato di proselitismo populista poichè "poeta ufficiale"
della Casa Bianca, Sandburg aveva studiato con pregevoli risultati alcuni canti
popolari del nord america e nello specifico dei contadini della suo terra - l'Illinois
- approfondendo ricerche sul folklore afroamericano e statunitense in generale.
Queste furono raccolte e reinterpretate dallo stesso poeta che si accompagnava spesso
alla chitarra.
Tra
i più originali cantori di questa sparuta schiera di filosofi della strada - accusato
ingiustamenete di sottolineare in maniera gratuita e ironica, gli aspetti meramente
negativi della cultura afroamericana - posizione di assoluto rilievo viene riservata
a Langston Hughes (1 feb 1902
- 22 mag 1967).
Nato nel profondo Missouri, Hughes, appena diciottenne, siedeva già dietro
la cattedra d'inglese di una scuola di Mexico City, dalla quale visse direttamente
il dramma della segregazione razziale. Il suo primo volume di versi,
The Weary Blues,
apparse nel '26
come una raccolta di lancinanti
blues decodificati in forma poetica, che restituirono se non altro, una forma di
proclamata coscienza non ancora del tutto evoluta nella sua giuridica identità:
"I am the darker brother,/They send me to eat in the Kitchen/When company comes./But
I laugh... and grow strong."
Negli anni successivi ( Fine
Clothes to the Jew
è del
1927),
Hughes sperimentò personalmente la prima formula di live jazz reading, recitando
le sue poesie in diversi locali pubblici per gente di colore, soltanto con l'accompagnamento
di un pianista. L'innovazione musicale del jazz, ideato e suonato quasi esclusivamente
da black musicians e la narrazione spontanea della tradizione orale del blues, degli
spirituals e dei gospel nella loro "rivoluzione elettrica", rappresentò uno dei
punti di riferimento cardine di quegli unici valori, sopravvissuti all'irrefrenabile
rivoluzione - non solo industriale - di un paese disgustosamente cinico e arrogante.
La
salvaguardia delle sonorità tipicamente folk della gente di colore, l'umoralità
creativa dello slang, la sacralità della libera espressione, legittimata
come reale forma artistica, furono invece i caratteri fondamentali del lavoro di
Sterling Allen Brown (Washington,
D.C., 1901 - Takoma Park, Maryland, 1989). Poeta, autore di numerosi saggi
critici nonchè insegnante alla Howard University, Brown, rinconvertì i canoni morali
e stereotipati che la massa di letterati bianchi aveva invece deturpato violentemente
tramite la costruzione di talune famose caricature ispirate ai vari zii Tom d'America.
Parte dell'incoraggiamento che Brown suscitava tra i suoi studenti nei
campus della Howard, contribuì sopratutto alla formazione di personalità letterarie,
teatrali e poetiche che diedero il loro importante contributo alla rifondazione
di un'originale voce di denuncia. Suoi allievi furono il premio Nobel Toni Morrison,
l'attore teatrale Ossie Davis, l'attivista politico Stokley Carmichael.
Tra i suoi scritti,
Negro Caravan,
viene considerato in assoluto uno dei lavori antologici più completi nella controversa
e mai abbastanza considerata letteratura afroamericana. La stessa Morrison, renderà
spesso omaggio nei suoi romanzi (leggasi lo splendido scenario di Jazz del
1983) a quell'infinito catalogo di storie al limite del cinismo bianco e della povertà
nera degli anni Venti, vissuto dentro una Manhattan intrisa di assoluta tristezza
ma colorata dalla colonna sonora di Duke Ellington e dai sofferti rag-time
che costituiscono in sintesi, la casistica comune, ma reale di quegli anni.
Nel frattempo, le scarne citazioni dove convivevano jazz, poesia e letteratura,
si individuavano sempre più raramente, all'interno di scritti più o meno noti e
appartenenti al primo trentennio del novecento, come nel romanzo di Herman Hesse,
Il Lupo Nella Steppa
o nei famigerati
e acclamati Racconti
dell'età del Jazz
(1922),
di Francis Scott Fitzgerald. Vi furono poi componimenti isolati ma comunque
non privi di un certo "interesse", nei confronti della musica afroamericana come
Refugee Blues
di Wystan Hugh
Auden o l'omaggio al vecchio trombettista Bunk Johnson da parte di
William Carlos William in
Ol' Bunk's Band.
In Europa, sopratutto in Francia, si segnalano anche alcune citazioni di Jean
Cocteau, Hugues Panassiè o George Perec, il quale amò profondamente
il jazz e che insieme a Raimond Quèneau fondò il laboratorio Oulipo
(Ouvroir de Littèrature Potentielle).
Sempre
dalla Francia, mentre Marianne Oswald cantava le canzoni di Jaques Prèvert,
una nuova succursale del jazz prendeva coscienza, prima che nel resto d'Europa,
divenendo in poco tempo, domicilio eletto da numerosi musicisti americani. Contemporaneamente
Autumn Leaves
,
si erigeva quale massimo capostipite degli "standard", grazie a centinaia
di versioni incise, una delle quali ritenuta tra le più belle sarà del
1958,
ad opera di Julian "Cannonball" Adderley che la inserì in
Somethin' Else
(Blue Note BLP 1595),
ospiti Miles Davis
ed Art Blakey. Ma vale la pena di ricordare, anche l'omonimo film del
1956
di Robert Aldrich, interpretato
da Joan Crawford, nel quale faceva da sfondo, la voce pastosa e struggente
di Nat King Cole.
Oltremanica,
Philip Larkin
(Coventry , 9 ago 1922
- 2 dic 1985), considerato
il maggiore poeta inglese del dopoguerra, con
All What Jazz
(una raccolta dei suoi scritti
migliori sull'argomento fu pubblicata integralmente nel
1970),
ripercorreva senza troppi indugi, l'era magica del primo jazz - quello delle origini
- rinnegando invece quasi totalmente, la nuova estetica musicale venutasi a formare
dopo il periodo dixieland. Da questa sua "puritana" visione della musica
afroamericana, Larkin salvò soltanto alcune figure di spicco del jazz di tutti i
tempi come Billie Holiday o Count Basie. Resta comunque inconfutabile
il fatto che il poeta ritennesse l'improvvisazione jazz come una delle forme d'arte
che meglio poteva descrivere l'inconscio umano attraverso i suoi più disparati codici
espressivi (3).
Ma inspiegabilmente, il sipario si abbassò proprio quando il jazz quale
totale forma artistica, rimase intrappolato da molteplici e ripetitivi mainstreams.
Da codici musicali ormai privi di innovazione ed originalità. E ciò per circa
un buon decennio, quello dominato nuovamente dalle grandi orchestre bianche:
"dopo il 1950 i beat sparirono in prigione o al manicomio, o furono indotti dalla
vergogna a un silenzioso conformismo, la generazione stessa fu poco numerosa ed
abbe vita breve (4)".
Sfuggirono da questi canoni, una ridotta schiera di musicisti-innovatori,
accomunati dalla consapevolezza di una necessaria rottura che, prima col be-bop
e poi con il cosiddetto cool, divenne quasi definitiva per la rinascita del
movimento beatnik. In sintesi, avvenne la naturale prosecuzione di quello
che i fratelli maggiori (gli hipsters degli anni '40), avevano in qualche
modo anticipato e profetizzato.
Unico
appunto da chiarire senza indugi attiene in particolare alla sfera storico-musicale,
poichè anche se numerosi riferimenti espliciti - formulati ad esempio da
Jack Kerouac
(Massachusetts, 12 mar
1922 - St. Petersburg, Florida, 21 ott 1969)
- chiamano in causa direttamente personaggi come "Bird" Parker, Monk
e Dizzy Gillespie, considerati universalmente i profeti del nuovo bop,
non bisogna dimenticare che in quel periodo il jazz si rinnovava quotidianamente
e che di lì a poco si sarebbe assistito alla nascita di nuove forme di "contaminazioni"
che diedero vita a filoni tutt'ora in corso di evoluzione come l'hard bop
ed in seguito il free. Ritenere quindi che il be-bop sia stato l'unico
motore di quella rivoluzione, appare perciò quantomai fuorviante o comunque riduttivo.
A
Chicago,
Kenneth Rexroth
(Kenneth
Charles Marion Rexroth: South Bend, Indiana,
22 dic 1905- Montecito, California,
6 giu 1982), riprende con maggiore
coerenza e innovazione di linguaggio i caratteri poetici intrapresi da Langston
Hughes, inaugurando inconsciamente un'era sicuramente più prolifica che si colloca
grosso modo tra il 1954
ed il 1959,
e che idealmente si identifica nella celebrata Beat Generation.
Tutto era pervaso da una perenne iterazione tra jazz e poesia, improvvisazione
mistica ed energia spirituale. La teoria del respiro dei sassofoni coincideva con
l'emissione delle parole e delle frasi "come se fossero respiri diversi della mente
(5)".
Da
questa prolifica collaborazione, "presto, anche a New York si organizzarono,
specie nel Greenwich Village, serate di "jazz e poesia". Kerouac tenne banco per
due sere al Village Vanguard, dove comparve anche l'ormai anziano Langston Hughes;
Rexroth riuscì a resistere due settimane al Five Spot
(6)".
Bob Kaufman (Robert
Garnell Kaufman: New Orleans, 18 apr 1925 - San Francisco, 12 gen 1986)
si esibiva al Gaslight.
Con
maggiore attenzione per la musica, ricoprì sicuramente ancor più rilievo, la scena
letteraria di San Francisco, dove al The Cellar ogni sera recitava Lawrence
Ferlinghetti (New York,
24 mar, 1919), mentre alla
Six Gallery c'era il jazz workshop di Ornette Coleman, Don Cherry
e Sott La Faro.
Si narra che Ferlinghetti fu il primo in assoluto a improvvisare sulle
musiche, il testo di Autobiography,
mentre Howl
di
Allen
Ginsberg, aveva già fatto il suo devastante ingresso dalla porta principale
di una società fin troppo perbenista e altamente rappersentativa della "mollezza"
dei fiftyes.
Nel frattempo durante il suo celebrato vagabondare, un altro personaggio
come Jack Kerouac, ebbe anche il tempo di incidere alcune cover di Frank Sinatra
tutt'ora non pubblicate mentre possiamo ascoltarlo nelle reperibili ristampe antologiche
della Rhino intitolate
The Jack Kerouac Collection
e
The Beat Generation
(7).
Hughes ebbe invece modo di incidere con il grande contrabassista Charles
Mingus, a sua volta compositore delle musiche di un'interessante improvvisazione
cinematografica nel film Shadows, girato dal poliedrico regista John Cassavetes
(8).
Pochi mesi prima (dicembre
1957), in Ascenseur
pour L' echafaud, opera d'esordio di Luis Malle, anche il "divino"
Miles (Davis), aveva contributo alla creazione istantanea della colonna
sonora, costituita da musica totalmente composta e improvvisata durante la proiezione
del film, che scorreva senza sonoro, in sala d'incisione.
Altri mirabili esempi di interventi vocali e musicali, giungono fino ai
nostri giorni con
The Lion For Real
(Island,
1989),
poesia di Allen Ginsberg appartenuta al corpus creativo di Kaddish e provvidenzialmente
inserita da Fernanda Pivano in Juke Box all'Idrogeno. L'opera fu prodotta
da Hal Willner, che in seguito realizzò un omaggio a Charles Mingus nell'inquietante
lavoro discografico Weird Nightmare: Meditation On Mingus. Non nuovo
a certe operazioni di "riciclaggio", nell'85 Willner aveva realizzato anche
un omaggio a Kurt Weill all'interno del bellissimo Lost in the Stars.
Guardacaso, proprio il compositore tedesco oltre che con Brecht, collaborò
anche con Langston Hughes in Street Scene opera datata 1947.
Tornando a The Lion..., Ginsberg si rivelò decisamente innovativo
anche per questo progetto, chiamando in causa varie personalità del jazz moderno:
Bill Frisell, Arto Lindsay, Rob Wasserman, il compianto
Don Cherry ed il bassista elettrico Steve Swallow.
Ma
qui gli intrecci proseguono. Componente negli anni
'60,
del trio di maggiore avanguardia del jazz di quel periodo, quello guidato da
Jimmy Giuffre e completato dal pianista Paul Bley, Swallow nel
1977,
dopo un ampio studio realizzato a fianco dell'amico Robert Creeley, realizzò
per la ECM,
Home,
lavoro contenete una ristretta sintesi dei testi del poeta beat.
Da
questa girandola di emozioni, non si sottrasse nemmeno Willam Burroghs,
poeta a suo modo, il quale recitò nell'introvabile disco Death City Radio,
mentre Amiri Baraka (inguaribile ribelle degli anni '60), fu catturato anch'egli
in altrettante rare performance da studio.
In Europa - territorio in cui il jazz ha subìto una più che positiva metamorfosi
nell'arco di un trentennio grazie ad un processo inarrestabile di contaminazioni
popolari ma anche all'incisiva influenza della musica moderna contemporanea - il
discorso si riflette con grandi risultati nel campo artistico-teatrale.
In netto anticipo su certe ipotesi di lavoro, era stata la stessa corrente
dell'espressionismo a segnare l'avvio di una stagione di nuovi sconvogimenti culturali,
caratterizata dalla violenza di pittori del calibro di Kirchner, Hackel
e Pechstein. Anche il cosidetto neo-oggettivismo, brillò di luce propria
con gli ampi squarci aperti in direzione dello sperimentalismo sociale, quello per
intenderci, intrapreso ossessivamente dalla psicologia alienante e scheletrica di
Brecht, ma sostenuta anche da altri precursori dell'interiorità quali
Toller e Keiser.
Ma
tornando alle fonti musicali che guidarono determinate tendenze e movimenti, non
bisogna dimenticare il bipolo Busoni
(1 apr 1866 - 27 lug 1924)
- Hindemith
(16 nov 1895 - 28 dic 1963)
(sconvolgente la Kammermusik
n°1), le strutture totalmente
prive di gerarchia del grande Alban Berg
(9 feb 1885 - 24 dic 1935)
e il già citato Kurt Weill
(2 mar 1900 - 3 apr 1950),
il quale manipolò l'eletricità frenetica del jazz in favore della drammaticità di
certe sue opere divenute in seguito immortali come
Knickerbocker Holiday
e The Threepenny
Opera.
Tale periodo storico rimarrà comunque irripetibile, sia per i numerosi
elementi di rottura che caratterizzarono i meravigliosi percorsi intrapresi all'inzio
del secolo, sia per il costante indirizzo creativo che si fermò, forse solo parzialmente,
a causa della seconda guerra mondiale e che ne modificò irreparabilmente il suo
corso.
Innovatore, ma a sua volta anche protagonista nell'importante ruolo di
trait d'union tra la musica eurocolta e l'informale libertà del jazz d'oltreoceano,
Giorgio Gaslini
prende parte concretamente a numerosi ed importanti percorsi storici che abbracciano
più di un cinquantennio di musica ed altro.
Nato a Milano nell'ottobre del
1929,
la sua attività come compositore, pianista e direttore d'orchestra, lo pone al di
sopra di quella "particolare" situazione di ristagno venutasi a creare nel panorama
del jazz italiano dei primi anni Cinquanta.
L'illuminante progetto che Gaslini caparbiamente tutt'ora persegue, quello
di una cosidetta musica totale, tende principalmente a sottolineare, l'integrazione
socio-culturale tra i due poli tradizione-avanguardia, nell'assoluto movimento di
una indipendenza creativa fuori da ogni schema distante da una convenzionale logica
compositiva.
Dopo aver conseguito nel
1951
ben sei diplomi, presso il conservatorio
di Milano, la poetica di Gaslini esplode dirompente con
Tempo e relazione,
1957,
opera che apre un nuovo varco tra la struttura ordinaria delle partiture ed un più
ampio spettro di sintesi nel ridisegnare il concetto strumentale di improvvisazione.
Da qui ne consegue la costruzione di un'inesauribile laboratorio di ricerca,
che si è in seguito ampliato paralellamente con le composizioni di numerose colonne
sonore, tra le quali non vanno dimenticate quelle del film La notte,
uno dei capolavori più prestigiosi di Michelangelo Antonioni e de
Un amore,
pellicola diretta da Gianni Vernuccio e tratta dall'omonimo romanzo di
Dino Buzzati.
Costola
strettamente collegata alle sue produzioni cinematografiche, la poesia di Gaslini,
sottolinea una dinamica interrelazione col linguaggio teatrale. Opera ambiziosa
ma non meno significativa è
Colloquio con Malcom X
del
1974,
dove la voce recitante si fonde con l'interpretazione atipica dei cantanti lirici
- parte integrante del progetto - e di una big band formata per l'occasione.
Tale rapporto proseguirà nel tempo, interrotto dalle frenetiche partecipazioni
a imperdibili seminari, incisioni, recital di musiche di Weill o di Gershwin,
fino ad un'altra importante prova teatrale del
1990,
con la suite che comprende
Masquerade,
composizione presente all'interno de
I Paraventi,
lavoro firmato dal poeta e scrittore francese Jean Genet
(1910 - 1986).
Per
quanto riguarda i versi poetici di Gaslini, questi vanno distinti non proprio drasticamente
tra, poesie originali, isolate nel loro singolare contesto, e le songs, che appartengono
invece ad alcuni lavori, composti e incisi dall'autore per determinati e specifici
progetti discografici. E' l'esempio di
Multipli,
la stupenda suite per quintetto scritta nel
1988
e contenete i recitati di Chicago
Breakdown, Piano Sequenza, Ornette or Not, Corteo.
Altre
songs di notevole spessore, riguardano una più accurata antologia che abbraccia
testi scritti tra l' 82
e il '95
e realizzata su disco dalla cantante Tiziana Ghiglioni. Antologia che raccoglie
il frutto di canzoni e quindi di brani, composti da Gaslini e che costituiscono
a loro volta, un connubbio ancora più evidente tra testo cantato e poesia. In
Tiziana Ghiglioni Sings
Gaslini,
vi sono contenute tra l'altro composizioni come Fiori, Fellini Song, Lady Solitude,
dedicata alla drammatica figura di Billie Holiday, E' quasi mezzanotte Mister
Monk, Mingus Memory.
In questo caso, il referente letterario, convive intatto nella sua evoluzione
espressiva con una costruzione immaginifica e mobile che s'insinua trasparente tra
verità e ricordo, tra inscindibile formazione musicale e segreta scansione poetica.
Universo ipoteticamente teatrale, dove le "inevitabili" figure del jazz sono il
canto stesso di un declamare profondità e spazio. Graffiante furore del pentagramma
e sfuggente musica aereiforme.
Ma se si vuole a tutti i costi individuare una certa eredità, raccolta
dalla volontà di rieleborare determinati dettami, intercorsi tra il nuovo jazz degli
Sessanta e ciò che è rimasto del free e del jazz-rock, forse è da
citare, in coda al terrificante conformismo degli anni Ottanta, il movimento creato
da un manipolo di musicisti-saltimbanco della nuova generazione statunitense convogliati
nell'ingarbugliato filone dalla cosidetta M-BASE.
Nell'impensabile paragone tra la Beat Genaration e la M-BASE,
resistono ugualmente determinate insofferenze poetiche, l'uso della parola quale
ordigno di protesta e di irriverente irrazionalità. Parola declamata violentemente
tra congiunture rap e solide escandescenze del più movimentato Funky elettrico.
Testi spesse volte riferiti al quotidiano ma non certo privi di quella esplosiva
tensione che è caratteristica della più fresche delle espressioni nere.
Veicoli di questo strataggemma, che a nostro avviso hanno ormai fatto
il loro corso, nel campo della recitazione poetica/musicale, sono stati alcuni profeti
di questo sotterraneo teatrino traballante, i cui nomi, per chi segue da vicino
il jazz contemporaneo, rappresentarono concretamente un simbolo transitorio - anche
se alquanto discontinuo - di rinnovamento e di continuazione: Steve Coleman,
Greg Osby, Cassandra Wilson e, mantenedo certe distanze, Don Byron
e le sue intemperanze kaddish.
Da questa sede non si declamerà comunque la morte definitiva e certa di
quel casuale e straripante connubio, che, nel legame assoluto generato dalla poesia
e dal jazz, ha rintracciato al suo interno, percorsi paralleli o altre volte totalmente
distanti da questi.
Un briciolo magico e profondo gridato nel nome di una indissolubile bellezza.
Di una tormentata e spesso taciuta verità.
Gianmichele Taormina
fai click
qui per leggere alcune delle poesie degli autori
menzionati
NOTE:
(1) Eric J. Hobsbawm: Storia Sociale del Jazz (Editori Riuniti, Roma,
1982).
Opinione sicuramente parziale e assai discutibile. Tra le altre importanti personalità
che aderirono a quella prima corrente, Hobsbawm omette infatti l'interessante contributo
apportato da Carl Sandburg di cui si parla nel paragrafo successivo.
(2) Impossibile di Sandburg non segnalare la sua vasta e prolifica produzione
poetica iniziata nel come collaboratore della rivista Poetry, per poi estendersi
con una prima pubblicazione di versi intitolata In Reckless Ecstasy del 1904
e proseguita con gli acclamati Chicago Poems (1916), Cornhuskers (1918),
Smoke and Steel (1920), Slabs of the Sunburst West (1922), Good
Morning, America (1928), The People, Yes (1936), Poems of the Midwest
(1946), The Complete Poems of Carl Sandburg (1950), Harvest Poems
(1960), Honey and Salt (1963).
(3) Larkin oltre che poeta fu anche un potenziale batterista. Non intraprese
mai la carriera musicale ma si esibì spesso ad Oxford in giovane età.
Un bellissimo omaggio comprendente alcuni testi di Larkin, è stato pubblicato in
cd, da un variegato ensamble guidato dal pianista veneto Marcello Tonolo
e intitolato Days-Marcello
Tonolo Music On Poetry
(Caligola Rec., Venezia-Mestre,
1995). Sempre di Tonolo
è un'altro episodio discografico dal titolo
Seed Journey,
(1998) questa volta imperneato su testi selezionati di Gregory Corso.
(4) Jack Kerouac: Sulla Beat Generation (1957). Articolo inserito in una
breve antolologia di scritti di Kerouac dal titolo Scrivere Bop. Lezioni di scrittura
creativa. Traduzione di Silvia Ballestra (Mondadori, Piccola Biblioteca Oscar,
Milano,1996).
(5) Riflessione di Kerouac, presente in Guida Alla Beat Generation, di
Emanuele Bevilacqua (Theoria, Roma-Napoli, 1994).
(6) Arrigo Polillo: Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana
(Oscar Mondadori, Milano, 1975).
(7) Presso l'etichetta Ryko, è stata pubblicata un'interessante antologia comprendente
numerosi recital, pressochè inediti, dal titolo "Kerouac Kicks Joy Darkness" (1997).
Al progetto hanno partecipato oltre agli interventi di Burroghs, Ginsberg, Ferlinghetti
e dello stesso Kerouac, grandi musicisti appartenenti al versante rock: Patty Smith,
Micheal Stipe dei R.E.M., Joe Strummer (ex Clash), Lydia Lunch ed altri.
(8) Per una maggiore comprensione dell'apporto di Mingus in campo letterario,
segnaliamo il romanzo autobiografico Peggio di un Bastardo (Beneath The
Underdog, Marcos Y Marcos, 1971), scritto a quattro mani insieme al
saggista e giornalista bianco Nel King.
Tra la sua produzione musicale, da citare inoltre, come compendio all'opera che
lo chiama direttamente in causa, i dischi: Mingus Revisited (1960), pubblicato
a suo nome, Candid Dolpy di Eric Dolphy e Straight Ahead della
vocalist Abbey Lincoln entrambi del 1961.
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Data pubblicazione: 15/02/2003
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