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The Jazz Jumping Flea: Storia dell'ukulele nel Jazz
seconda parte
di Carlo de Toma


Leo Watson è un nome che oggi dice poco a molti, ma negli anni '40 tenne ancora viva la tradizione dell'ukulele nel Jazz, infatti nel suo gruppo dal grande impatto spettacolare, The Spirit of Rhythm, erano in due a suonare l'ukulele: egli stesso e l'ormai dimenticato Wilbur Daniels che spesso si alternava con il fratello Douglas. I fratelli Daniels erano entrambi esperti suonatori di tiple, un ukulele armato con dieci corde inventato dalla ditta Martin nel 1919 circa, ad imitazione di alcuni strumenti tipici dell'America centrale.

 

Ma nel frattempo la guerra era finita: era il tempo del nylon, il disco microsolco si diffondeva, il Jazz aveva preso coscienza del proprio essere musica d'arte, non solo per ballare e divertirsi, come quella di Watson, ma soprattutto era diventata musica da ascoltare.
Il Be bop era musica da intenditori, da iniziati, spesso veloce, a volte violenta, come uno schiaffo dato all'improvviso, una sensazione sempre in bilico tra nebbia e chiarore. La innocua giungla di cartone del Cotton Club era diventata la ben più pericolosa giungla d'asfalto delle grandi città.
Ma un'altra bomba, apparentemente innocua, stava per scoppiare: la televisione la cui diffusione nei primi anni '50 incominciò a cambiare le abitudini e a condizionare le scelte del pubblico. Un seguitissimo spettacolo televisivo era L'Arthur Godfrey Show, durante il quale il conduttore, presentatore ed intrattenitore imbracciava l' ukulele per eseguire alcuni brani imparentati con le sonorità e le armonie del Jazz.

Probabilmente l'interesse suscitato dallo show di Godfrey per questo esotico e un po' dimenticato strumento, fece si che un geniale liutaio di origine italiana cominciasse a costruire su vasta scala industriale ukuleli in milioni di esemplari. Il liutaio Mario Maccaferri le cui chitarre furono gli strumenti preferiti dal virtuoso Django Reinhardt, costruì il primo ukulele in plastica. Usando degli stampi riuscì ad abbassare drasticamente i costi di lavorazione vendendo buoni strumenti sia per bambini che per musicisti alle prime armi. Questi strumenti allora economici oggi sono ricercati dai collezionisti di tutto il mondo disposti a pagare molto di più del loro costo reale. (click)

Come già era accaduto nei primi anni'30 durante l'avvento del sonoro, anche il cinema contribuì nuovamente, alla diffusione dell'ukulele. Infatti il film comico del '59 Some like it Hot, vedeva Marilyn Monroe recitare, cantare e far finta di suonare l' ukulele in Runnin' Wild, che era stato uno dei cavalli di battaglia di Benny Goodman durante l'era dello Swing.

 

Anche un' altra pellicola cinematografica vide la presenza dell'ukulele, questa volta nelle mani più esperte di Elvis Presley nel film Blue Hawaii del '61. Non fu certamente un capolavoro, quasi una cartolina ben illustrata in technicolor per rappresentare una esoticità di maniera condita da brani musicali eseguiti dalla star del rock & roll al culmine della sua carriera artistica. Un piatto esotico con contorno di schitarrate in salsa hawaiiana.

Invece solo qualche anno prima, nel 1956, Lyle Ritz un ottimo bassista, richiestissimo turnista di sala d'incisione, che aveva partecipato anche alla registrazione di dischi di Frank Sinatrae Ray Charles e che qualche anno dopo avrebbe finanche doppiato la parte di basso in alcuni dischi dei Beach Boys, suonò il suo ukulele Gibson in un disco di Cool Jazz. Disco che fu fortemente voluto dal famoso chitarrista Jazz Barney Kessel all'epoca referente artistico della casa discografica Verve. Un primo esempio di Jazz moderno suonato con l'ukulele.

Per capire l'importanza di questo caposcuola dell'ukulele Jazz, basterà ricordare che nel 1984 fu invitato per tenere concerti nelle isole Hawaii dove scoprì che numerosi musicisti indigeni, grazie alle sue incisioni, si erano avvicinati all'uso jazzistico dell'ukulele.

Negli anni '60 in Inghilterra molti giovani musicisti si avvicinarono all'ukulele, ma per capire i motivi di questa scelta insolita, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo sino al 1917, quando a San Francisco Alvin D. Keech, per dare maggior volume al suono dell'ukulele, inventò il banjo ukulele, detto anche banjulele. Questo strumento ibrido ebbe subito molto successo, infatti già dal 1920 i maggiori costruttori di banjo, tra cui Gibson e Ludwig, avevano in catalogo diversi modelli di banjo ukulele.

Proprio in Inghilterra, patria di quei giovani musicisti, negli anni '30 e '40 diventò una star della canzone e del cinema George Formby, un cantante, attore, e soprattutto provetto suonatore di banjo ukulele, strumento che usava in maniera molto ritmica per accompagnarsi quando cantava le sue ironiche composizioni sincopate.

 

Negli anni '50, sempre quei giovani musicisti, allora ancora ragazzi, cercavano di suonare la chitarra imitando le giovani star americane dell'allora nascente Rock & Roll, ma si avvicinarono all'ukulele grazie alle costanti, spiritose apparizioni in televisione proprio di Gorge Formby, nel frattempo diventato anche una star della televisione. Tra questi c'erano i giovanissimi Paul Mccartney, George Harrison e John Lennon oltre a tanti altri tra cui Eric Clapton e Brian May, solo per citarne alcuni. Certamente non si trattata di futuri jazzisti ma erano giovani musicisti che conoscevano, apprezzavano e strimpellavano le più famose canzoni americane degli anni '20 e '30.

Anche in occasione del concerto in memoria di George Harrison, all'ukulele suonato dal chitarrista rock Joe Brown fu affidato il momento più suggestivo del concerto con l'esecuzione del motivo I'll see you in my dreams, un brano che tanti anni prima, nell'ormai lontano 1930, era stato uno dei maggiori successi discografici del già citato Cliff Edwards detto Ukulele Ike.






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Data pubblicazione: 27/02/2010

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