The Jazz Jumping Flea: Storia dell'ukulele nel Jazz prima parte
di Carlo de Toma
Come le onde dell'Oceano Pacifico vanno e vengono così sembra che venga,
sparisca e ritorni periodicamente la curiosità e l'interesse per l'ukulele. Attualmente
è un momento favorevole per questo piccolo strumento a corde di origine hawaiano,
ma come in tutte le storie che si rispettano incominciamo con il più classico dei:
"c'era una volta!"
Nel 1915 in
occasione del completamento del Canale di Panama fu organizzata a San Francisco
la Pan Pacific International Exposition che diventò una vetrina per l'esposizione
di prodotti e manufatti tipici di ogni parte degli Stati Uniti d'America. (click)
Nel
padiglione delle isole Hawaii c'erano ananas, altri prodotti locali ed anche degli
ukuleli che suscitarono l'interesse dei tantissimi visitatori provenienti dalle
più diverse regioni. In quegli anni che videro la nascita del cinema, lo svilupparsi
della radio, il diffondersi del disco e con questo l'esplosione del Jazz, questo
strumento musicale dalle ridotte dimensioni e di conseguenza anche dal costo contenuto,
attecchì rapidamente tanto che la maggiori case produttrici di strumenti a corde
tra cui Martin e Gibson, nei primi anni '20 avevano in catalogo vari
tipi di
ukulele.
A causa di questa inattesa richiesta questi costruttori furono costretti
ad usare legni di più facile reperibilità come il mogano, in quanto gli ukuleli
costruiti artigianalmente nelle Hawaii erano solo in legno di acacia, legno di maggior
costo e di più difficile reperibilità. In moltissime famiglie americane entrò l'ukulele
anche grazie alla apparente semplicità d'uso: infatti veniva usato per avvicinare
i bambini alle prime pratiche strumentali e venne prescelto per la graziosità delle
forme e per la sonorità delicata da una clientela in larga parte femminile.
Quindi una diffusione pari a quella della fisarmonica negli anni '40 e '50
o quella planetaria della chitarra negli anni '60. Ma facciamo un passo indietro
per alcune precisazioni di carattere linguistico. Il nome ukulele in Hawaiano significa
letteralmente danza (lele) delle cimici (uku) perché gli indigeni videro le dita
di un navigante portoghese approdato su quelle isole verso la metà dell'800, che
si muovevano veloci su un piccolo strumento a corde anch'esso portoghese: subito
ne costruirono di simili con i materiali a loro disposizione.
Pertanto, l'ukulele con il suo caratteristico timbro dolce ma percussivo,
a metà via tra la chitarra e il banjo, veniva usato prevalentemente per accompagnare
il canto dei brani allora in voga, brani che presto entrarono nel repertorio di
tutti i musicisti di Jazz. In quegli anni ci furono musicisti di fama che si dedicarono
all'ukulele, spesso alternandolo con chitarra e banjo, come nel caso di un grande
virtuoso, conosciuto come il mago degli strumenti a corda: Roy Smeck.
L'ukulele, forse per le sue origini esotiche, da sempre ha sollecitato
la fantasia della gente del mondo del cinema, infatti fra i tanti esempi possibili,
basti ricordare il film degli anni '30 intitolato "I Figli del Deserto" interpretato
da Stan Laurel ed Oliver Hardy nel quale quest'ultimo strimpella l'ukulele
accompagnando il motivo "Honolulu Baby" dinanzi alla porta della propria
casa, di ritorno da un mai compiuto viaggio alle Hawaii, usato come tentativo di
depistaggio per non insospettire le rispettive consorti. Ma erano tanti in quegli
anni gli attori che suonavano l'ukulele come il divo del cinema muto Buster Keaton
e il comico Bop Hope. Anche tra i jazzisti molti da bambini avevano avuto
i primi approcci musicali proprio con l'ukulele come il chitarrista Eddie Condon.
Ma fra tutti la vera star di Hollywood fu Cliff Edwards detto Ukulele
Ike che dettò i canoni dell'uso dell'ukulele come accompagnamento al canto nell'interpretazione
delle canzoni di Tin Pan Alley.
La fama di Cliff Edwards culminò nell'interpretazione del celebre
motivo "When Wish Upon a Star" tratto dalla colonna sonora del film della
Walt Disney, Pinocchio del 1940.
Ma già soffiavano i venti di guerra, il delicato suono dell'ukulele scomparve
travolto dal possente suono delle orchestre swing e dal fragore delle artiglierie.
Sarà stata una coincidenza ma come con la misteriosa scomparsa di Glenn Miller,
si fa coincidere romanticamente la fine dello Swing, sembra quasi che con il bombardamento
di Pearl Harbor, base navale americana nelle isole Hawaii, si perda l'interesse
per questo piccolo affascinante strumento.
Inserito il 27/1/2010 alle 9.32.51 da "mosgbu" Commento: E' molto romantico pensare che il bombardamento di Pearl Harbour segni la fine di un'epoca e quindi anche dell'interesse verso l'ukulele. In realtà già da parecchi anni l'ukulele era passato di moda, spazzato via dai venti della grande depressione, che avevano fatto giustizia di tutto quanto era stato prodotto negli Anni Venti (compresa la ukulele craze). Comunque, il tuo articolo è ben scritto e ha il dono della sintesi: attendo di leggerne la seconda parte. Un saluto Ukefranz
Inserito il 8/2/2010 alle 22.57.43 da "black_and_blue_2003" Commento: Grazie per il tuo commento e scusa il ritardo nella risposta ma per caso l'ho notato alcuni giorni fa, non ricordo di aver avuto un'email di avviso;comunque sia, l'ukulele sebbene abbia sempre avuto un ruolo marginale nel jazz credo sia giusto ripercorrere la sua esile, ma pur sempre affascinante storia, ciao e grazie Carlo
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Data pubblicazione: 17/01/2010