Intervista a
Nico Stufano
Intervista tratta dal n° 66
maggio 2002 di AXE
- Periodico per chitarristi
Si ringrazia la Edizioni PALOMINO per la gentile concessione
Nico Stufano è un chitarrista
che conosco personalmente sin dagli inizi, dato che è pugliese. Posso dire
di averlo visto nascere...dal punto di vista professionale :-)
Sin dalle sue prime apparizioni ricordo che emerse immediatamente il suo
talento sia quando suonava jazz che quando suonava fusion. Ma la sua bravura
emergeva anche quando si ritrovava a suonare, magari in una festa di piazza,
brani di Pino Daniele o Stevie Wonder insieme agli amici di sempre che sono
poi quelli che hanno partecipato alla registrazione di questo suo nuovo CD:
Paolo Romano, Mimmo
Campanale, Mario Rosini e Maurizio Quintavalle.
E' anche un didatta eccellente che durante le lezioni riesce a trasmettere
moltissime nozioni, probabilmente anche perchè non è stupidamente "geloso"
della sua tecnica e del suo sapere come molti insegnanti in circolazione.
Il suo approdo alla musica attuale deriva da un percorso che passa
attraverso importanti incontri nei vari generi musicali. Da ognuno ha tratto
ciò che ha ritenuto, come tanti, ma come pochi ha poi lavorato e lavora
duramente nella ricerca di un suo percorso confacente al sua visione della
musica.
E' quindi con estremo piacere che ospitiamo su Jazzitalia questa bella
intervista che il magazine
AXE ha realizzato e
che ci ha concesso di pubblicare.
Marco Losavio |
Come si è
verificato il tuo incontro con la chitarra?
All'età di dodici anni, la Befana mi portò la mia prima
chitarra; adesso ne ho quaranta, di anni, e non ho mai
smesso di suonarla.
Qual
è stata, se c'è, la prima personalità che, quando eri un principiante, ti ha
fatto innamorare della chitarra?
Alla
fine degli anni '70, ai tempi del liceo, avevo un gruppo con amici di scuola;
seguivamo il rock di Gentle Giant,
Uriah Heep, Deep Purple, progressive-pop
dei Genesis, Yes, ma anche
la PFM, gli Area, fino a che non ci capitò di
ascoltare Lotus, il triplo live di Carlos Santana. I miei genitori
mi dettero dei soldi per l'acquisto di una Les Paul Gold Top usata,
gli amici di cui sopra ci misero il resto perché avevo mentito sul prezzo e con
gli ultimi risparmi acquistai un 20 watt qualsiasi, che, grazie al cono
danneggiato perché usato al massimo del volume, forniva distorsione e feedback
necessari per imitare il suono del mio idolo.
Sappiamo
che sei autodidatta: come hai imparato a improvvisare jazz? Hai avuto un
approccio analitico, facendo trascrizioni, oppure si è trattato di un procedimento istintivo?
Verso il 1980 l'ascolto
si era spostato su Mahavishnu, Weather
Report e George Benson; li riproducevo sulla chitarra, ma non avevo piena
consapevolezza di ogni nota suonata, così mi impegnai nella lettura di ogni
metodo esplicativo dei sistemi di improvvisazione jazz disponibile in quel
periodo. Dopodiché approdai
a Wes Montgomery, Charlie Parker, John Coltrane,
Miles Davis, etc., ma questa volta fu più
facile decifrare scale e accordi; soprattutto feci molta pratica suonando
standard nei club, ovviamente con Polytone e Gibson ES175.
Come
pensi, quando improvvisi? In che maniera vedi la progressione di accordi? Nei tuoi ragionamenti, ricorri a
semplificazioni e/o conversioni?
Analizzo
gli accordi e deduco i centri tonali, relazionando
semplicemente ogni accordo alla sua scala di appartenenza: ad esempio, se devo
suonare su un Domagg7/#5, mi concentro sulla diteggiatura della scala minore
melodica di LA, cercando di vederla su tutta la tastiera; evito di suonare
sempre le stesse note al passaggio dello stesso accordo. Quindi
conosco il percorso, ma improvviso sempre la successione delle note; utilizzo
spesso sovrapposizioni tonali, modulazioni che possono introdurre dissonanze, visualizzazioni
intervallari per creare frasi atonali, utilizzabili in qualsiasi momento su
qualsiasi accordo. La sfida consiste nel mettersi in condizioni di
improvvisarle, altrimenti diventerebbero pattern.
Come è
stato registrato
Waiting For...?
Ho
registrato le parti clean insieme a basso, batteria e un click.
I brani erano stati
provati in precedenza o eseguiti dal vivo, per cui
tutti sapevamo come interpretare anche gli spazi destinati agli assoli. Poi
abbiamo inciso gli assoli. Per me l'importante è che vengano
totalmente improvvisati; francamente mi fanno sorridere quelli che pensano di
aver catturato lo spirito del jazz registrando tutti insieme... le frasi del
disco precedente! Certamente in sovraincisione è più
facile organizzarsi un solo, ma un collage di note per me non è un solo, per cui mi sono servito dei punch-in
soltanto per rieseguire meglio alcune frasi,
lasciando dentro errori e imprecisioni quando ritenuti comunque musicali.
Nel
disco, fra gli altri aspetti, si nota una buona dose di melodicità mediterranea: vuoi parlarci di questo
aspetto? Inoltre, qual è il segreto per far
funzionare melodie cantabili su armonie tanto mobili?
Sono contento che questo
venga fuori; onestamente di suonare jazz all'americana non me ne importa un
fico secco. Il jazz è stata una buona occasione per
studiare musica, ma c'è altro in giro che può far crescere un musicista e io
sono interessato a molteplici aspetti musicali. Quando compongo canto i temi e
mi accompagno con la chitarra. Il brano giusto arriva
quando meno te lo aspetti e comunque finisce su carta
solo quando provo un senso di commozione o mi si accappona la pelle. Evito di comporre temi
molto articolati o ricavati da esercizietti isterici;
scelgo gli accordi seguendo un criterio puramente estetico e a volte ne abbino più di uno a una singola nota, tutto qui.
Una
delle composizioni più affascinanti del CD è Waiting For Summer. Che cosa ti ha ispirato, nella scrittura?
Ero in riva al mare in
primavera, c'era molta calma ed ero pervaso da un senso di rilassata
malinconia; è venuto fuori un brano nel quale gli interventi solistici di Mario Rosini
(synth e voce) e di
Paolo Romano (basso) si sono sono
rivelati preziosi per il loro giusto colore. Il mio grazie va ovviamente anche a
Mimmo Campanale (batteria)
e Maurizio Quintavalle (contrabbasso), per aver
sempre saputo interpretare la mia musica; siamo un gruppo di amici, suonando ci
divertiamo e ci aiutiamo, e questo a volte può fare la differenza. Inoltre
vorrei ringraziare la Nicolosi Productions,
che fa capo ai fratelli Nicolosi del gruppo pop dei Novecento, per avermi inserito nell'etichetta
Just Jazz, sostenuta in distribuzione dalla Sony, che
ha prodotto ultimamente artisti come Billy Cobham, Toots Thielemans,
Gary Husband ed Eddie Gomez.
Ti conosciamo come
eccellente legatore: ma, nell'assolo di chitarra classica su
Moontrappers, ti scopriamo anche ottimo plettratore...
Da ragazzino pensavo che il
chitarrista veramente onesto plettra ogni nota, il
legato mi sembrava un furto! Meno male che crescendo
si cambia; quindi ho conservato una certa plettrata,
piuttosto leggera, che mi consente di non esagerare con il legato.
Parliamo del mini-rap di tuo figlio Demetrio su
Koi Koi: è basato su principi
pandiatonici?
Il tema di Koi Koi
è una ninna
nanna che cantavo a mio figlio, che ora ha poco più di tre anni; koi koi è onomatopeico: è il
suono che realmente ripeteva nell'addormentarsi.
Ma, oltre all'intervento
di Demetrio, Koi Koi
presenta un altro
elemento di interesse, con un bel groove...
Volevo dedicargli un brano e così ho pensato di abbinare il tema a
un groove potente e orecchiabile che potesse piacere
appunto a un bambino; è suonato realmente e messo in loop
su ProTools. Mi diverte, in un CD, costruire almeno un brano interamente in studio: ho improvvisato degli accordi
e ci sono andato su a orecchio con il solo; poi ho pensato di riempire dello
spazio con la voce di Demetrio. A casa avevo registrato per gioco le sue performance
e avevo la cassettina nella custodia della chitarra. La sequenza è reale;
con ProTools è stata semplicemente pulita, livellata
e incollata.
Che cosa rispondi a
chi trova che nel tuo stile sia troppo evidente
l'influenza di Holdsworth? Più in generale cosa pensi
del rapporto ispirato-ispiratore in
campo chitarristico, con tutta l'importanza che hanno fraseggio e suono nel distinguere un artista da un
altro?
Non intendo negare nessuna
influenza, ma vorrei chiarire la questione una volta per tutte: il mm
suono nel tempo è migliorato, ma non è mai radicalmente cambiato: la cosa è
documentata da una mia cassetta audio datata 1978! L'uso del pedale volume l'ho appreso da un certo...Steve Howe, quando ancora non si conoscevano
Holdsworth o Frisell, i loop si
realizzavano sfruttando l'eco a nastro dell'impianto voci e di Fripp neanche l'ombra! Si tratta di percorsi paralleli. Vent'anni fa certe cose si apprendevano per esperienza
diretta, senza metodi, video o Internet. Non ho mai trascritto un solo di Holdsworth, piuttosto ho cercato di acquisire un certo tipo
di vocabolario dalla fonte: provate a mettere insieme armonie e spunti melodici
di Debussy, Stravinsky o Alban Berg, qualche modulazione
alla Coltrane, Liebman o Brecker, pentatoniche di Zawinul, cromatismi alla
Hancock e vedrete cosa succede a una chitarra distorta!
Sono innamorato del suono di strumenti come il violoncello, l'oboe, il
clarinetto, il Mini-Moog, e del vibrato e
dell'uniformità nei vari registri di una voce umana, perciò il legato è l'unica
via d'uscita. Indubbiamente l'innegabile importanza di un musicista come Holdsworth sta nel fatto che lui ha ampiamente dimostrato
come tutto ciò fosse possibile sulla
chitarra, potenziando il patrimonio culturale dello strumento sul pianeta.
Allora, perché non farne tesoro? Altrimenti propongo di
pagare una tassa sul bending a Clapton,
una sulle ottave a Wes Montgomery e poi una su...
E ora qualche parola sulla strumentazione: chitarre,
ampli, effetti...
L'unica chitarra che
possiedo è una specie di Steinberger-fai-da-te. Il suono clean è ottenuto con un pedale
Boss Limiter attraverso un pedale volume Boss e in
diretta nel mixer. Chorus e delay
sono forniti da un Rocktron Intellifex,
i riverberi sono plug-in Lexicon.
Il suono lead invece è ottenuto con un pedale booster TC Electronic collegato a un pre Yamaha
DG-1000; poi il segnale passa in un EQ parametrico TC Electronic
e quindi nel finale a Mos-Fet della Nouglian e in una cassa da me costruita con cono Celestion e microfonata con uno Shure SM 57. La chitarra classica l'ho presa in prestito ed
è una Moreno, che ho microfonato
con AKG C3000. Lo Studio Mediterraneo di Santeramo in
Colle dispone di ambienti che fanno respirare il
suono; è basato sul sistema di registrazione ProTools
24 Mix Plus e consolle digitale Sony DMX Rl00, ma soprattutto sulle capacità tecniche e il gusto
musicale di Massimo Stano, fonico e chitarrista, figura quindi di grande aiuto
in fase di registrazione.
Come è preparata
la tua chitarra ai fini esecutivi, quindi action, corde, altezza del pickup, tutto quanto contribuisce a definire attacco e definizione
delle note, etc.?
L'action è bassa
(abbiamo visto da vicino la chitarra di Nico e dire che l'action è bassa è
troppo poco: le corde sono praticamente appiccicate alla tastiera; nda). Le corde sono di qualsiasi marca con scalatura .008; per le basse mi piacciono più sottili, così
le mie frequenze basse non si confondono con il basso e non fanno tremare
piatti e tamburi. Inoltre, poiché il fine è quello di produrre musica, odio
dover lottare contro una cordiera da boscaioli, quella è una deviazione tutta
chitarristica. Il plettro è un Dunlop
in nylon da l mm., fa meno rumore. Il pickup è uno solo, un Seymour
Duncan '59 al ponte e basta, regolato più in basso
così è meno spigoloso. Il manico in grafite ha fin troppa definizione.
Il ponte è un Trans Trem,
ma la leva ormai la lascio a casa. La cassa l'ho costruita io per avere un
migliore accesso alle posizioni più acute.
Come sono regolati
volumi e toni del tuo sistema?
Tengo il volume della
chitarra a 7/8, il tono a metà. Entro prima nel booster
e poi nel preamp, dove utilizzo prevalentemente
frequenze medie, poche acute e zero bassi e presence;
il gain è a circa metà e il master a sette. Dal pre vado nell'EQ, poi negli
effetti attraverso un pedale volume e infine porto al massimo il volume del
finale stereo che pilota due casse da 12". Il volume d'ascolto non è alto perché
controllato dall'out generale
degli effetti.
Qual è il tuo
approccio all'uso degli effetti? Quando si sceglie un delay, un chorus, un riverbero piuttosto che un altro,
come vengono settati e qual è il loro rapporto con il
pezzo o la sezione del pezzo in cui vengono chiamati in causa?
Utilizzo quasi esclusivamente tre memorie dell'Intellifex: una per il suono pulito con almeno due ritardi
impostati a chorus, con modulazioni
non troppo pronunciate, slap-back echo stereo sui 300/400 ms.; un'altra per il
suono distorto pressoché identica ma senza modulazione, per evitare le rotazioni dei chorus;
e un'altra per eseguire le parti con il volume, con il livello degli effetti e
del feedback più alti. Ultimamente sto provando a suonare senza riverberi, ho l'impressione
che vada meglio, almeno dal vivo con tutto il casino che fanno nei club.
Utilizzi altri
effetti a pedale?
A parte i pedali già
citati, un vecchio ADA Stereo Tapped Delay analogico; complica un po' il setup,
non essendo midi, ma ne vale la pena.
Qual è la chiave per
ottenere un buon suono di chitarra da un sistema di amplificazione
a stato solido? Pensi che gli stessi accorgimenti siano applicabili al di fuori
di contesti jazz fusion?
Penso che il suono
critico sia un po' per tutti quello distorto, credo sia una questione di equalizzazione pre-gain, cioè mandare in distorsione solo certe
frequenze e poi correggere esteticamente
il suono con una post-equalizzazione. Se ci sono
queste due condizioni, riesco a ottenere più o meno lo
stesso suono da qualsiasi cosa. Forse dovremmo provare gli strumenti a occhi chiusi. Per i generi musicali diversi dal mio non
saprei esattamente, forse basterà esagerare... O mi
sbaglio?!
Ora, se non ti
dispiace, facci vedere i calli sulle dita della mano sinistra.
Già, stavamo
dimenticando la cosa più importante...
Maurizio Parri, Fabrizio Dadò
www.axemagazine.com
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Tel/fax 06-39387272
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Data pubblicazione: 09/06/2002
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