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Intervista ad Ada MONTELLANICO
di Cinzia Eramo

JAZZITALIA: Quando ti sei accorta che la tua voce sarebbe diventata il tuo strumento?
ADA MONTELLANICO: Non so quando mi sono accorta che la mia voce sarebbe diventata uno strumento, però mi sono accorta circa 20 anni fa che volevo esprimermi attraverso la mia voce, che era il mezzo più diretto e naturale per me, per esprimere le mie emozioni. 

JI: C'è stato qualcuno in particolare che ti ha incoraggiata e che magari, ancora oggi, dietro le quinte, ti sostiene?
AM: Mi hanno incoraggiato i musicisti che ho incontrato all'inizio della mia carriera, persone per lo più sconosciute che poi ho perso per strada ma che hanno creduto nelle mie potenzialità. Oggi come oggi è lo stesso. Vedere la partecipazione delle persone che lavorano con me o dei compositori che scrivono per me mi da la conferma di avere qualcosa da dire che può essere di stimolo per altri. E poi i miei amici quelli che mi sostengono affettivamente e forse sono i più importanti, anche perché conoscendoti e stimandoti pretendono da te sempre il massimo.

JI:
Ci sono dei modelli in particolare che ti hanno influenzata e che ti influenzano
AM: Mi ha influenzato moltissimo Billie Holiday, per quella particolare sensibilità di sentire e far sentire senza troppi tecnicismi. Lei sa arrivare al cuore più di tante altre ed è quello che cerco di rubarle quotidianamente. Poi Betty Carter per la sua intelligenza musicale per quella sua capacità di trasformare a propria immagine e somiglianza ogni storia da lei cantata.

JI:
Cosa pensi della scena italiana del jazz?
AM: Penso che sia in un grande fermento creativo. Ci sono ottimi musicisti della vecchia e nuova guardia, che cercano di trovare un proprio spazio. Qualcuno ci è riuscito, altri no, soffrono, perché in Italia siamo ancora troppo malati di esterofilia e a fatica si trovano persone che hanno la capacità di trovare le qualità in musicisti che ancora non si sono affermati. E' strano a volte ti capita di essere scoperto dopo che ti hanno scoperto altri, è un po' andare a rimorchio. Produttori, discografici, organizzatori non si prendono mai un rischio personale di dire: Mi piace, ci credo, punto per questa persona. Tutto ciò è molto triste. Ci sono molte difficoltà e penso agli artisti emergenti che devono pagarsi il master e poi comprare numerosi Cd per vedere il proprio lavoro uscire. E' difficile, molto difficile. Si deve credere fortemente in quello che si fa.

JI: In pratica le case discografiche producono direttamente pochi nuovi talenti, puntando al contrario su artisti affermati con progetti molto commerciabili.
AM: E' molto più semplice, non rischiano soldi, sanno che venderanno sicuramente. E questo fa parte del commercio. Ma tutti speriamo che il discografico, oltre a giustamente non essere un missionario sia una persona capace di rischiare quanto l'artista in progetti in cui crede anche se apparentemente potrebbero non portare denaro. Ci vuole un po' più di amore per la musica, per la cura nelle cose che si fanno. E questo vuol dire anche porre l'attenzione nel fare una bella copertina, un bel booklet, un investimento sull'ufficio stampa. Tante cose concorrono alla riuscita di un Cd. La cura che si deve avere come se fosse un bambino appena nato.

JI: Il tuo ultimo CD, "Suoni Modulanti", è uscito per la Abeat, un'etichetta italiana molto attiva, ma è prodotto da te. E' un'eccezione che conferma la regola?
AM: L'Abeat è una casa molto seria che investe negli artisti anche emergenti e questo è di grande speranza per tutti. Forse in Italia siamo ancora molto malati dalla musica leggera. Il jazz non ha ancora quella credibilità che merita. E' ancora una musica per pochi eletti. Per ignoranza, per quieto e facile vivere, per non pensare. E' una musica che parla in maniera diretta e pone l'ascoltatore in una ricezione non passiva. Deve interagire con l'artista nell'ascolto. Chiede un sentire che in questa società non c'è o è troppo superficiale. Mi chiedo quante persone ascoltano un Cd seduti sul divano senza fare nient'altro, senza che la musica sia un piacevole sottofondo. Il Jazz e la musica vera non ammette questo. E' come se tu parlassi ad una persona che nel frattempo parla con un'altra. Non è possibile.

JI: E tu come ti poni?
AM: Sto percorrendo la mia carriera, prima con gli standards americani, poi con quelli italiani. Penso di aver fatto un percorso naturale, poi questo CD. Avevo voglia di parlare di me, con le mie parole con le mie storie di vita vissuta, con le melodie e armonie che condivido e che sono consone a me anche se a volte scritte da altri. Penso di percorrere una strada mia, forse originale. Spero sia apprezzata e comunque che sia riconosciuto lo sforzo di prendersi un rischio, quello di percorrere strade che nel jazz sono forse trasversali.

JI:
Pensi di esserti ritagliata il tuo spazio e di aver creato qualcosa di originale, di tuo nel panorama musicale italiano e non?
AM: Non lo so, lo lascio dire ad altri. A volte noi facciamo le cose per una esigenza espressiva profonda ma non sappiamo esattamente quello che stiamo facendo, ed è bello così. A volte si capisce dopo anni. So comunque che amo cantare jazz nella mia lingua e che amo entrare con il suono della voce nel significato della frase che canto. Mi piace scovare con il suono della voce le pieghe più nascoste della narrazione. Raccontare con la voce storie ed emozioni legate alle stesse. Le immagini più profonde, quelle che sono dentro di noi.

JI:
Come nasce un tuo progetto musicale?
AM: Nasce dalla scelta dei brani che mi rappresentano, anche per i precedenti Cd è stato così. Non ho mai voluto percorrere strade note. Ho voluto sempre cercare gli altri standards. L'altro Tenco etc. 

JI: "Ma l'amore no" ha avuto un buon successo, pensi che abbia inciso il fatto che le songs fossero italiane?
AM: Penso di sì. Erano tempi non sospetti si cominciava allora a rileggere lo standard italiano oggi tanto inflazionato. Penso che siamo riusciti ad avvicinare senza volerlo un pubblico che normalmente ascolta poco jazz. E lo verifico nei miei concerti. C'è gente che riesce ad essere coinvolta perché capisce cosa sto raccontando e perché ricorda questa o quella canzone. E credetemi riuscire ad entusiasmare un settantenne per la mia versione di "Non dimenticar le mie parole" non è cosa semplice.

JI: Arriviamo ad oggi: "Suoni modulanti" il tuo ultimo lavoro. Ce ne vuoi parlare?
AM: Avevo voglia, come dicevo prima, di parlare di me. Di entrare ancora di più nelle storie e quindi la mia esigenza era poter parlare anche di storie d'amore ma nel mio modo. Tutto il Cd è permeato dalla centralità del rapporto uomo-donna. La possibilità di scavare dentro noi stessi attraverso un rapporto stimolante che ci ponga in stretta comunicazione con il nostro non cosciente, con quel mondo di emozioni, sensazioni, sentimenti, immagini, che solo il diverso da te riesce a darti. Tutto ciò connesso alla composizione musicale in inscindibile relazione. Il Cd è vario ci sono molte atmosfere, ma  sono tutte legate al mio essere, alla mia poliedricità. La storia affascinante è che oltre a miei brani, i compositori hanno scritto in stretto rapporto con me, pensando a come è la mia espressione e il mio carattere. E' come aver cucito un abito su misura e questo penso sia molto bello.

JI:
Su questo CD sei anche autrice non solo di alcuni testi ma anche di alcune musiche. Come componi?
AM: Non mi ritengo una vera e propria compositrice, forse perché ritengo che questa qualità l'abbiano persone che hanno con la musica un approccio, più complesso e forse più globale. Un rapporto con i suoni diverso dal mio. Io compongo quando sono molto ispirata da fatti accaduti nella mia vita. E' un momento di riflessione più profonda che si traduce nella urgenza di esprimere in suoni e parole quello che sento.

JI:
Sei una delle pochissime artiste che sia riuscita a rendere l'italiano un linguaggio cantabile nel jazz. Che tipo di studio fai?
AM: E' tutto molto naturale, non ho studiato per fare questo. Forse mi è servito tanto odiare il sentire l'italiano stroppiato in una pronuncia alla Mal dei Primitives, tutti i cantanti che cercavano di dare ritmo alla nostra lingua. Penso di aver fatto una semplice fusione tra la mia madre lingua e lo swing del jazz che mi dicono avere naturalmente nel sangue.

JI:
Tu hai un progetto dedicato a Bill Evans. Come ti sei posta nei confronti di questo grandissimo artista, qual è la tua chiave di lettura della sua musica?
AM: Io adoro Bill Evans: mi ha insegnato tanto. Il suo lirismo. La sua ricerca sugli standards, il cercare dentro la composizione. E poi il suo essere compositore. Lui cantava come pochi altri hanno saputo fare. Mi emoziona sempre sentirlo. Per me è sempre una sfida cantare i suoi temi, entrare nel suo mondo.

JI:
Cosa ha Diana Krall da renderla una star?
AM: All'inizio mi piaceva, buona pianista, bel timbro di voce, swing. Ma poi questo confezionamento holliwoodiano!!!. Il suo ultimo Cd è inascoltabile, forse come sottofondo, mentre un po' mi sono ricreduta per quello successivo, live.
Peccato per l'artista, sicuramente è molto famosa, molto ricca, però….. a che prezzo?
Sembra che ormai anche nel jazz il patinato e l'immagine conti molto, ma che tristezza!! Non doveva essere una musica, vera, pura…?

JI:
Pensi che il canto jazz si sia evoluto, si stia evolvendo, o è fermo ad un particolare periodo storico?
AM: E' difficile oggi come oggi definire cosa sia il canto jazz. Lo scat, l'improvvisazione, gli standards? Forse alcuni considereranno anche il mio Cd non jazz. Penso che il jazz e il canto jazz sia legato sicuramente ad un linguaggio riconoscibile, ma lo stesso deve fluire negli animi di ognuno. Il jazz ha quella libertà che nessuna musica ti può dare e forse cantare jazz è non tradire questa sua intima essenza.

JI:
Alcuni nomi di cantanti attuali che ritieni grandi artisti.
AM: Kurt Elling, Diane Revees, ma forse ne sto dimenticando qualcuno...

JI:
Cosa pensi del progetto Arbore?
AM: Discutibile e commerciale.

JI:
Se potessi esprimere un desiderio, con chi ti piacerebbe suonare?
AM: Chick Corea e con una orchestra diretta e arrangiata da Quincy Jones.

JI:
Come trovi la didattica jazz in Italia? Ritieni semplice per uno che voglia studiare poter accedere a risorse didattiche?
AM: Oggi si. Ci sono molte buone scuole ed insegnanti a differenza di quando io ho iniziato dove non c'era niente. Ma il migliore apprendimento è ascoltare tanto jazz e tanta ottima musica.

JI:
C'è qualche progetto futuro di cui ci vuoi parlare?
AM: Continua la mia felice collaborazione con Massimo Nunzi che stimo tantissimo per essere un vero compositore con ampie vedute. Ci sono bellissimi progetti in corso anche ai limiti del Jazz. E poi sarò l'unica rappresentante italiana per la musica nella Settimana di Cultura italiana a Cuba ad aprile. Canterò con musicisti cubani e questo so che arricchirà fortemente il mio bagaglio musicale.


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Data pubblicazione: 21/01/2003





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