Enzo Rocco: Ovvero
il sale del jazz e la sostanza dell'improvvisazione...
testo e foto
di Gianmichele Taormina
Parte dalla presente intervista è stata pubblicata sul numero 19 del bimestrale
Jazzit – Italian Jazz Magazine . La pubblicazione integrale su Jazzitalia.net di questo articolo è stata resa possibile grazie alla Luciano Vanni Editore che ne ha autorizzato la diffuzione mezzo web.
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Chitarrista italiano, ma dal passaporto cosmopolita, nato a Crema nell'ottobre del 1963, Enzo Rocco, poco più che ventenne, vantava già collaborazioni di tutto rispetto nell'ambito della musica improvvisata italiana: da Tino Tracanna a Paolo Tomelleri, da Rudy Migliardi a
Riccardo Fassi, fino ai primi prestigiosi ingaggi in ambiti distanti dal jazz tout court, come gli happenings teatrali (tra questi i recitals con l'attore
Moni Ovadia), la musica etnica con il gruppo dei Transit, la danza e la poesia che completano la sua già ricca attività di turnista.
Personaggio poliedrico e inusuale, anima tentacolare del Tubatrio, pungente alter-ego di
Carlo Actis Dato, Enzo Rocco ci parla
della sua ultima esperienza su disco: "Tubatrio's Revenge", disquisendo inoltre con grande naturalezza e spiccato senso dello humor, sui suoi trascorsi inglesi e sugli attuali percorsi artistici.
GT:
Raccontami come e perché è nato il terzo capitolo discografico del Tuba Trio.
ER:
Ho la fortuna di essere benvoluto da Claudio Donà, uno dei principali animatori della
Caligola, piccola etichetta italiana, ma gestita in modo tale da realmente valorizzare il lavoro dei musicisti di cui si occupa. Altro personaggio che diciamo così, ci ha "sponsorizzati" è
Mr John Rottiers, produttore della Centraal Radio di Anversa, innamorato della musica improvvisata e soprattutto di quello che lui chiama il "new italian jazz". Claudio ha visto nascere il trio nel 1995 e ne ha realizzato i due precedenti cd. In questo senso ci è sembrato naturale procedere con un nuovo capitolo; John sostiene alcuni miei progetti da anni (specialmente quelli in combutta con
Actis Dato!) ed è stato felicissimo di collaborare all'iniziativa… Anzi si può dire che è stato lui il "pungolo" principale di tutta l'operazione. Avrei dovuto registrare il disco nel 2001, poi una serie di
problemi personali hanno fatto slittare le date, ma meglio così. Il ritardo ha
fatto sì che scrivessi cose completamente nuove, buttando via vecchie idee e che
superassi un "impasse" artistico che mi aveva in qualche modo frenato per
qualche mese.
GT:
Sul fronte delle composizioni, avete optato per una formula diciamo così, democraticamente "triangolare" o avete lasciato scorrere la vostra vena artistica in maniera del tutto casuale?
ER:
Di casuale nel disco c'è poco! Tutto è decisamente strutturato, il che non significa necessariamente "scritto" in senso tradizionale, nè che le strutture siano rigidissime. Pur adorando e dedicandomi spesso all'improvvisazione "senza rete", col mio gruppo preferisco occuparmi di una musica direi "parzialmente composta". Credo che si sia ben lontani dall'avere risolto gli annosi problemi della relazione fra struttura, scrittura e improvvisazione. Nel mio percorso personale, se fino ad ora ho cercato di elaborare brani che facessero poi scaturire l'improvvisazione più liberamente possibile, recentemente mi pare che mi capiti di utilizzare i risultati ottenuti con l'improvvisazione libera per stimolare la scrittura (oddio, parlo come un compositore serio! Per carità! Per carità...!). Il paradosso è che invece di scrivere pezzi sempre più "aleatori" mi vengono cose sempre più definite. Boh! vedremo come andrà a finire!
GT:
Da un raffronto con i precedenti due progetti, questo "Tubatrio's Revenge" appare sostanzialmente più maturo e completo malgrado si denoti la consueta peculiarità della vostra sottile ironia. Composizioni come Pulbone rimandano direttamente ai blues alla Herbie Nichols, In Animali
Pericolosi c'è tutto l'Hendrix del mondo, senza escludere i tuoi insoliti valzerini e i pungenti tanghetti. Una scelta di campo per mantenere la consueta peculiarità della vostra sottile ironia? In sotanza una certa firma distinguibile?
ER:
Grazie! Bel complimento! L'eventuale maturità cui ti riferisci, è dovuta forse al fatto che negli ultimi mesi ho operato una qualche riflessione dopo un periodo in cui non ero soddisfattissimo di alcune cose. Poi ha giocato il fatto che il trio ha suonato un po' in giro (in Germania, fondamentalmente) e si comporta sul serio da trio: ognuno legge con la sua personalità quello che è il materiale di partenza… E non potrebbe essere che così data la personalità dei miei due compagni di strada che non finirò di ringraziare mai. Sono due carissime persone, oltre che enormi musicisti. Compagni le cui caratteristiche ho già ben chiare in mente quando preparo i pezzi. Non potrei arrivare a certi obiettivi se non pensassi a
Ettore (Fioravanti) e a Giancarlo (Schiaffini) già mentre scrivo. Chiedo a Ettore di fare Ettore e a Giancarlo di fare Giancarlo.
Loro non chiederebbero a me di fare altro rispetto a quello che so fare. Forse per arrivare a questo c'è voluto un po' di tempo, ho dovuto imparare alcune cose e scontrarmi con altre… Bisognerà che faccia ancora molta strada per arrivare ai risultati di interazione che mi piacerebbe raggiungere.
Certo mi pare che il gruppo sia più compatto che qualche tempo fa, anche dal punto di vista "ideologico". Tu dici della "sottile ironia" e dei valzerini... L'ironia è una caratteristica comune, con sfumature diverse, ai tre membri del gruppo. Nella musica che Ettore e Giancarlo producono "in proprio" è difficile non individuare un elemento di sdrammatizzazione, di leggerezza nel senso "calviniano" del termine. Forse io sono quello più sarcastico dei tre, e a volte ironia e sense of humor possono trascolorare in aperta irrisione. Ma l'utilizzo di valzerini o di stilemi rock (magari applicando il distorsore al trombone invece che alla chitarra) non è solo ironia, è la necessità di scavare nel proprio vissuto musicale per trovare nuovi modi di espressione, per vedere come fare a sfruttare tutte le possibili combinazioni di tecniche e di stili, per soddisfare il proprio piacere intellettuale, ma anche - e forse soprattutto - fisico per l'atto del fare musica - che naturalmente è sempre roba legata al sesso…!- (ridiamo…).
(poi, dopo un pausa..)
Dentro di me c'è la musica di Verdi ascoltata da bambino, poi c'è un certo rock e la grande passione per le musiche popolari, poi la musica "contemporanea" studiata da grandicello. Ormai tutto è stato mischiato con tutto. Lo faccio anche io e cerco di farlo nel modo più personale possibile, cercando di divertirmi il più possibile nell'inventare ricette a volte un po' improbabili che senza sense of humor non riuscirebbero mai. Poi mi riascolto e mi faccio ridere da solo. Sarà bene o male? mah….!
GT:
Andiamo un po' indietro nella memoria… Come si è costituito il trio. Qual è la vostra storia?
ER:
Considero il "vero" Tubatrio quello nato alla fine del '97 a Nevers, quando Giancarlo Schiaffini subentrò a Rudy Migliardi. Per i due anni precedenti, grazie a alcuni concerti e a un cd, ma grazie certo a Migliardi stesso, si può parlare di un periodo di studio in cui focalizzare alcune idee che poi avrebbero potuto prendere forma solo grazie all'ingresso di Giancarlo in organico. È comunque stato dolorosissimo dovere rinunciare a un virtuoso incredibile come Migliardi, ma la mia idea di musica aveva bisogno di un musicista con un'ottica semplicemente diversa. E devo molto a
Riccardo Bergerone, manager dell'Italian Instabile Orchestra, che mi consigliò di farmi avanti con Schiaffini e mi fece da tramite vincendo la mia titubanza: pensavo che era un po' presuntuoso da parte mia proporre a un personaggio così celebre di entrare nel "mio" gruppo, il gruppo di un chitarrista non ancora conosciuto e forse non all'altezza di dialogare alla pari con un musicista così affermato. Invece niente, Giancarlo aderì con entusiasmo e diventammo subito amici, lo adoro come musicista e come persona. Giancarlo ha fatto sì col suo modo di suonare e di vivere la musica che il trio divenisse finalmente, veramente tale.
Il Tubatrio è, in sintesi, il laboratorio privilegiato dei miei esperimenti, il centro della mia attività musicale, il luogo in cui riverso tutte le mie esperienze e da cui contemporaneamente partono gli stimoli per l'attività con altri gruppi. Insomma Tubatrio è la casa, la moglie…il duo con
Carlo Actis Dato è invece l'amante, ma quella stabile, non quella occasionale del sabato sera…ahahah!!! (ridiamo ancora a crepapelle).
Il Tubatrio occupa questo ruolo centrale perché è nato con questa aspirazione nel 1995 e poi perché tutto mi è stato reso possibile grazie ai due musicisti di valore assoluto con cui ho la fortuna di lavorare. All'inizio ero un po' intimorito, non sapevo se sarei stato in grado di fronteggiare due personalità di quel calibro, invece succede che proprio grazie al calibro di quelle personalità si è potuto tentare di formare un gruppo dove il "leader" scrive i temi, ma li pensa anche perché sa chi li deve suonare e conta sul fatto che i partner faranno loro la musica, la interiorizzeranno e la suoneranno come fosse scritta da loro. Stravolgendola probabilmente, ma "suonandola" e non "eseguendola". Mi spiego? Sono contento del livello della musica raggiunto attualmente, dopo anni di attività in cui si precisa sempre più il progetto di mischiare tutta la musica mischiabile (ironia, senso del ritmo, "italianità" e "schiaffinità") pur rincorrendo una certa idea di organicità del suono. E poi sono felice che il trio piaccia, diverta il pubblico pur facendo una musica senza troppi compromessi: se ne ha prova nei concerti che effettuiamo in giro, soprattutto in Francia e in Germania. In Italia non si riesce a suonare (chissà che roba terribile suoniamo!), ma fa niente, prima o poi troveremo il modo di arrivare alla gente anche qui da noi.
GT:
Passando alle tue esperienze oltre confine, com'è nata l'avventura inglese contrassegnata dalle collaborazioni con
Lol Coxhill, John Edwards, Steve Noble e Verian Weston, poi incluse nel cd "Londons Gigs"? C'è stato un seguito?
ER:
Da qualche anno mi reco periodicamente a Londra suonando informalmente con i musicisti più "radicali" legati soprattutto all'LMC (London Musicians' Collective), più che altro per approfondire un modo di fare musica che mi ha sempre affascinato: da ragazzo ero un patito dei dischi della "Company", tanto per fare un esempio. Fondamentale è stato l'incontro, umano e artistico, con
Veryan Weston al Vortex, un famoso club di Londra. Ho frequentato la sua casa e lui è stato l'artefice dei miei incontri con
Lol Coxhill e con gli altri, finché, nel '99, mi ha organizzato un vero "tour de force" (un "microfestival" itinerante intitolato "An Italian guitarist visiting London") poi testimoniato dal cd "London Gigs". Naturalmente la mia frequentazione della scena inglese continua in molti modi, ma soprattutto si sviluppa in un trio con Weston e Coxhill. (abbiamo suonato anche in Italia, ma ormai già quattro anni fa). Poi vorrei avere occasioni di lavoro con un altro trio, con
Edwards e Noble. Chi vivrà vedrà…
GT:
Quali sono gli imput creativi, le ragioni progettuali (o se vuoi oscuramente contorte, se ce ne sono) del tuo legame artistico con Carlo Actis Dato?
ER:
Con Carlo ci siamo piaciuti a prima vista. Ovviamente io conoscevo bene la sua attività quando, nel 1997, ascoltando un mio cd, lui mi disse che trovava molti punti d'incontro fra i nostri due modi di pensare la musica. Velocemente abbiamo poi scoperto che abbiamo pure una certa identità di vedute su altre cose, sui fatti della vita in generale e sul modo di vivere la nostra condizione di musicisti non proprio "allineati". Abbiamo pubblicato due cd e allestito un mare di concerti in tutto il mondo, ci troviamo bene insieme perché la formula del duo è agile, permette rigore e al tempo stesso è flessibilissima. Direi che ormai siamo telepatici. Qualcuno ha detto che a volte sembra che uno suoni le frasi che stava pensando l'altro. E poi Carlo ed io mettiamo entrambi nella musica le nostre esperienze, i viaggi, l'ironia, l'allegria, il cibo e il sesso…tutto quello che ci capita, insomma. Ma a differenza che coi nostri rispettivi gruppi, smussiamo entrambi un poco le nostre personalità o diamo sfogo a caratteristiche altre volte un po' meno evidenti, ma tutto molto spontaneamente, senza assolutamente nessuna preparazione, semplicemente perché ci frequentiamo e siamo amici e abbiamo backgrounds differenti, ma assolutamente compatibili. Per esempio con me, Carlo è a volte (un pochino) meno "beffardo" che col suo quartetto, e io sono meno "intellettuale" (come dice lui) che altrove. Siamo sempre uno la spalla dell'altro ed è incredibile come essendo solo in due sentiamo, sul palco, questa dimensione come assolutamente naturale.
GT: Musica etno e altre felici coincidenze si rintracciano nei tuoi lavori con il gruppo "Transit" del sassofonista
Marcello Noia nonchè del quartetto "etnojazz" guidato dal contrabbassista
Luca Garlaschelli. È una precisa scelta di campo o la voglia di non essere legato solo ed esclusivamente al mondo del jazz tout court?
ER:
Perché, faccio parte del mondo del jazz? Sicuro? Beh, io credo di sì, se per jazz si intende una musica che ormai non ha più confini e che succhia linfa vitale da qualsiasi cosa le capiti a tiro. Non è sempre stato così?
Jelly Roll Morton suonava jazz, mi pare, eppure era una specie di "world music" ante litteram, quella vera, non quella porcheria che ci vogliono fare credere le etichette discografiche e i commenti sonori dei programmi di viaggi.
E l'ultimo
Coltrane era o no "contaminato"? E il bebop
non aveva un senso del blues tutto suo? Non rileggeva la forma canzone in modo
nuovo? E allora chi me lo dice se una roba è jazz o no? Per me la musica di
Garlaschelli è jazz al 200% proprio perché fa suo il kletzmer come l'habanera e tutto il resto. Proprio come faceva Jelly Roll!
GT: E che ruolo ha svolto e/o continua a svolgere il teatro, la danza e la poesia nella tua attività musicale?
ER:
Teatro, danza e poesia hanno significato misurarsi con artisti che non fossero musicisti, gente che si esprime attraverso altri linguaggi e che richiede una elasticità che a volte il jazzista medio non offre. Anche confrontandosi con queste discipline la mia musica rimane più o meno la stessa, a livello di contenuti. Ciò che cambia è come si arriva a certi risultati. Voglio dire: improvvisare insieme a un altro strumentista porta a certi comportamenti, farlo con un danzatore o un attore richiede un altro atteggiamento mentale, altri tempi, l'abbandono dei propri clichés. E questo vale anche per la scrittura. La parola o il gesto stimolano riflessioni e generano problemi di relazione che con la musica "pura" non avevo avuto modo di affrontare. Basti dire che sono arrivato a pensare di suonare in "solo" (ma sono lontano ancora dal registrare qualcosa) grazie agli stimoli ricevuti dal lavoro fatto con il teatro e con la poesia.
GT: Tu che viaggi spesso all'estero muovendoti agli antipodi dell'emisfero, dalla Russia all'Argentina, dal Giappone al Brasile, come vedi lo stato del jazz nella nostra penisola?
ER:
Viaggiare per me è una dimensione essenziale. Intendo viaggiare, non prendere l'aereo, fare il concerto, fare il giro turistico della città e tornare. Viaggiare per esempio suonando la mia musica, ma non solo quella, con musicisti del luogo. È stimolante e divertente vedere come reagiscono musicisti differenti alle mie proposte, vivere con loro i loro luoghi, avere modo di ospitarli a mia volta in Italia. Suonare in festival enormi in luoghi improbabili, frequentare clubs "di jazz", in posti dove manca l'acqua calda, ma non la musica, incontrare gente, cibi, donne, un pubblico che non ha pregiudizi e ti ascolta senza conoscerti apprezzandoti per quello che gli dai o ti manda al diavolo perché non fai quello che si aspettava, o a volte persino ti conosce perché, all'estero succede, che qualche radio ha mandato i tuoi dischi prima del concerto…
In Italia siamo più legati all'estabilishment.
Anche nel resto dell'Europa lo sono, a dire il vero, ma forse assieme alla Spagna noi siamo il paese più "americanofilo". Gli americani non mi hanno fatto niente, per carità, ma spesso arrivano, fanno il loro show e se ne vanno. Non sempre mi danno granchè, il più delle volte mi pare che ci facciano un favore a suonare. Non viaggiano, insomma, prendono solo l'aereo…
E ho l'impressione che molto del nostro pubblico sia felice di questo, si gode le star (giustamente, mica stiamo parlando di mezze tacche!), ma non è disposto a sentire cose più spiazzanti, che richiedono maggiore senso del rischio. Salvo che poi, quando capitano per caso a un concerto di Actis Dato si divertono come matti. In Russia o in Sudamerica sono trattato come i Beatles, in Francia, Germania, Olanda, Gran Bretagna ho suonato in situazioni in cui sicuramente non mi conoscevano prima se non vagamente, eppure i teatri che ospitano i festival sono pieni, la gente ci va a sentire regolarmente chi suona. Poi Pat Metheny suonerà allo stadio, va bene, ma l'importante è che ci sia movimento attorno alla musica, curiosità. Non so se da noi ce ne sia tantissima. Pure i musicisti stanno prendendo una piega che non amo. Molti stanno facendo riferimento a un passato meraviglioso, ma morto e sepolto. Non so se sia un caso che l'Instabile è sicuramente più nota all'estero che in Italia, dove forse è conosciuta, ma quanto veramente ascoltata?
GT: Perché secondo te c'è ancora tanta diffidenza nei confronti della musica improvvisata rispetto ad altre realtà?
ER:
Semplicemente perché non la si conosce. Non la si vuole fare conoscere, come tutte le cose che fanno pensare e alimentano lo spirito critico e il desiderio di libertà le si fa passare come "difficili", per adepti. Ma pure il pubblico degli "appassionati" non fa nulla per allargare la base degli ascoltatori della musica che amano. Quando si suona nei festival jazz, soprattutto in Italia, moooolto meno all'estero, sembra che ti contino le note per vedere quanto sei bravo e poi cercano a più non posso di capire "a quale chitarrista ti ispiri". Incredibile! Perdono interi pezzi di concerto per parlare tra loro e disquisire delle tue ascendenze. Poi ci sono quelli della musica improvvisata "creativa": alcuni di loro a volte rasentano la maniacalità, con tutto il bene che gli voglio, ascoltano cose inascoltabili per il gusto della militanza. Amo il pubblico del jazz e della musica improvvisata perché ascolta con le orecchie e col cuore, non amo i maniaci dell'uno e dell'altro campo, non si godono mai la musica in pace. Poi ci sono quelli che non sono né appassionati né patiti, quelli "generici" che trovi dappertutto nelle piazze e nei teatri del mondo. Quelli che se ne fregano di cosa suoni, ascoltano, ballano e cantano se è il caso o se ne vanno se non gli piace. Io sono un po' come loro.
GT: Restando nell'ambito delle musiche "altre", da qualche tempo hai assunto la direzione del Gruppo Musica Estemporanea, leggo nella tua biografia: "piccola orchestra dall'organico informale e variabile votata alla improvvisazione ed alla sperimentazione…" Me ne parleresti concretamente?
ER:
Un esperimento nato con un gruppo di 12 giovanissimi musicisti ispirato al concetto di "conduction". Ragazzi provenienti per lo più dal mondo del rock che hanno accettato di lavorare un anno su diverse tecniche improvvisative per inseguire una musica fatta lì per lì senza preordinare in alcun modo il materiale. Non una novità, certo, ma per me un'esperienza stimolante che ha avuto ripercussioni anche tecniche sul mio modo di fare musica. L'apice si è toccato con un concerto cui parteciparono
Eugenio Colombo e Martin Mayes con la danzatrice Flavia Bucciero. Formalmente il gruppo esiste, purtroppo dopo una piccola serie di concerti non ha trovato spazi per esprimersi. Mi piacerebbe recuperare l'idea magari con musicisti di altri paesi.
GT: A proposito di "conduction": com'è stata l'esperienza della scorsa estate a Roccella Jonica all'interno dell'orchestra trans europea diretta dal mitico
Lawrence Butch Morris?
ER:
Entusiasmante! A parte la musica di Morris che mi è sempre piaciuta, lui è un vero Maestro. È riuscito in tre giorni a cavare sangue da me e dalle altre rape che si è ritrovato a dirigere. Inizialmente ho faticato un po' per adeguarmi al sistema della "conduction" di Morris, direttore intransigentissimo, ma capace di farti inventare sempre l'idea giusta al momento giusto. So che alcuni musicisti non amano la sua metodologia poco "democratica"; a me pare invece che dovere sempre essere così all'erta per reagire in men che non si dica alle sue indicazioni (Morris ti chiama anche per una sola nota quando meno te lo aspetti), crei una tensione tale per cui non riesci a suonare cose prive di senso o banalità. In una "conduction" il singolo musicista è più che mai un ingranaggio di una macchina che deve sempre essere perfetta, non ci si può permettere di suonare qualcosa "tanto per suonare". Il risultato mi è parso buono, mi chiedo cosa sarebbe potere lavorare per più tempo e con più calma con lui, magari per poter fare qualche concerto di seguito…
GT: Tra i tuoi recenti progetti c'è stata la rilettura di canzoni italiane o sbaglio?
ER:
Anche questa non era una cosa originalissima, ma mi è stata espressamente richiesta dall'Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires dopo che la direttrice mi ascoltò in un teatro di quella città. L'originalità stava però, nella prospettiva con cui si è affrontato il materiale. L'intento era quello di lasciarsi andare a interpretazioni quanto più spontanee possibili, utilizzando soluzioni che di tutto si preoccupano tranne che di un approccio filologico ai materiali (da Modugno a Jannacci, da Celentano a Dalla a De André). Ne è uscita una canzone/free/tarantella/world/non so che…e pare che nelle settimane spese in Sudamerica il pubblico abbia molto apprezzato l'operazione. Per realizzare l'idea ho contattato la cantante Eleonora D'Ettole e il clarinettista
Simone Mauri. E poi il drummer Stefano Bagnoli, con cui sono amico da anni e che è stato abbastanza pazzo da accettare una sfida del genere con me. Con lui "vado liscio"! Da anni abbiamo un duo, e un cd, "Marché aux puces". Lui suona esattamente come io vorrei suonasse una batteria. E poi a tavola e in viaggio è un compagno ideale. Potrei fare a meno di lui?
GT:
Dimmi di altri tuoi prossimi impegni sia discografici che concertistici…
ER:
Finita la campagna elettorale per "Tubatrio's Revenge", e dopo quasi un mese di permanenza in Sudamerica, essermi poi recato in Belgio per un giro con
André Goudbeek (Breuker Kollectief, per intenderci) e uora uora torno da Scozia e Inghilterra, dopo una settimana in compagnia di
Coxhill e soci... e poi col Carlone per un giretto in Francia non solo in duo ma con una grande novità: un nuovo quartetto con
Frederic Monino e Joel Allouche! Bello, no? Infine il 28 febbraio presenterò a Crema (che emozione, la mia assopita cittadina!) il nuovo "Tubensemble": ovvero Tubatrio più
Actis Dato e Colombo. Dopodichè un nuovo giro in Francia in giugno con Carlo e bis in settembre in Germania, poi come sempre arriverà l'estate dei festival e come al solito non suonerò in nessun festival italiano. All'estero...chissà….io intanto mi preparo per il Giappone, l'Indonesia e, incrociamo le dita che lo sponsor non ha ancora comprato il biglietto aereo, per la Patagonia.
GT: E poi?
ER:
Poi mi piacerebbe suonare un po' di più con l' "Eppi Trio" (Ferdinando Faraò alla batteria e Guido Bombardieri ai clarinetti e ai sassofoni). Abbiamo fatto un tour in Italia di una settimana ospitando il sassofonista argentino
Rodrigo Dominguez, musicista di punta dalle sue parti e mio fraterno amico. Non so che sviluppi avrà il trio, l'idea è quella di un gruppo agile e divertente che possa esibirsi facilmente anche nei clubs, dove a volte la gente un po' si annoia perché si suonano sempre i soliti standards: noi ci divertiamo un sacco, poco ma sicuro!
Inoltre vorrei mettere mano al materiale per un solo di chitarra, ma ci vorrà tempo. Ancora, un disco di improvvisazioni registrato a Mendoza, in Argentina, nell'aprile scorso, con un gruppo locale di musicisti che spesso lavorano con europei: un "free" pieno di influssi argentini, dalla musica andina al tango al Gato. Infine il progetto di registrare qualcosa dal vivo con Weston e Coxhill: avevamo dell'ottimo materiale musicale, ma la qualità della registrazione era pessima, abbiamo deciso di riprovarci appena possibile (NB: cerchiamo ingaggi all'uopo, fatevi sotto!!!).
Principali Collaborazioni:
Carlo Actis Dato, Luca Garlaschelli, Massimo Pintori, Tino Tracanna, Paolo Tomelleri, Riccardo Fassi, Daniele Cavallanti, Tiziana Ghiglioni, Lol Coxhill, Veryan Weston, Mark Sanders, John Edwards, Gayle Brand, Steve Noble, Alan Wilkinson, Giancarlo Schiaffini, Ettore Fioravanti Eugenio Colombo, Stefano Bagnoli, Ferdinando Faraò, Guido Bombardieri, Rodrigo Dominguez.
Discografia:
1996 - Enzo Rocco, Tuba Trio, Caligola Records
(con Ettore Fioravanti e Rudy Migliardi)
1998 - Carlo Actis Dato/Enzo Rocco,
Pasodoble, Splasc(h) Records
1999 - Enzo Rocco,
Bad News from Tubatrio, Caligola Records
(con Ettore Fioravanti e Giancarlo Schiaffini, guest Eugenio Colombo)
1999 - Luca Garlaschelli,
Don't forget..., Audiar
(con Franco D'Auria e Renata Vinci,
guests Tiziana Ghiglioni e Moni
Ovadia)
1999 - Stefano Bagnoli/Enzo Rocco,
Marché aux puces, Music Center
1999 - Luca Garlaschelli, "La muralla", brano del cd antologico "Escuela de oficios", Audiar
2000 - Rocco/Weston/Coxhill/Edwards/Noble,
London Gigs, Prominence
2000 - Carlo Actis Dato/Enzo Rocco,
Paella & Norimaki, Splasc(h) Records
2001 - Luca Garlaschelli Musikorchestra,
The sound of Dream, Tony Face Records
2003 - Enzo Rocco with Giancarlo Schiaffini & Ettore Fioravanti:
Tubatrio's Revenge, Caligola Records, 2003)
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Data pubblicazione: 12/03/2004
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