Quattro chiacchiere con Giorgia Santoro
e Adolfo La Volpe - Tran(ce)formation Quartet febbraio 2014
di Alceste Ayroldi
Mano a mano con Jules Verne e il suo Nautilus, il quartetto
Tran(ce)formation scrive il suo secondo capitolo discografico edito dalla
Workin' Label. La scelta del titolo non è casuale: quali scenari si possono
(ammesso che sia possibile) vedere da un sottomarino fantascientifico? Immagini
oniriche, disciolte, a volte dure come le rocce del mare. I quattro amalgamano alla
perfezione le esperienze e il sound irriverente di alcune orchestre e ensemble del
passato con tratti della tradizione folclorica mediterranea e guazzetti di musica
classica contemporanea. Un album che punge con una mano e fa carezze con l'altra.
Ne parliamo con i due fondatori Giorgia Santoro e Adolfo La Volpe.
E' il caso di iniziare dal quasi inquietante
nome del quartetto: Tran(ce)formation. Ne spieghereste il significato?
G.S. Il nome nasce da uno studio sui legami tra la
musica improvvisata e l'affascinante fenomeno della trance. In quest'ottica, l'improvvisazione
è quel luogo in cui il musicista, come lo sciamano, compie una mediazione tra il
mondo esterno, tangibile, e quello interno, spirituale.
A.L.V. E' un termine che evoca concetti diversi: la
trance, di cui ha appena parlato Giorgia, ma anche la trasformazione, intesa come
stato di continuo mutamento ed evoluzione; la pratica dell'improvvisazione e' per
definizione la creazione di qualcosa in perenne divenire, mai uguale a se stessa
e legata all'attimo in cui nasce.
Quando è nata l'idea del quartetto?
G.S. L'idea è nata dall'incontro con Adolfo La Volpe,
con il quale abbiamo condiviso studio ed esperienze musicali diverse. Avevamo in
comune l'intenzione di lavorare su una formazione particolare e su una nuova idea
di suono.
A.L.V. Se non sbaglio nel 2007, nell'ambito dei nostri
studi al conservatorio di Monopoli; ma l'idea era in qualche modo già nell'aria,
per così dire, avendo io e Giorgia collaborato in diverse occasioni, ad esempio
in un paio di ensemble guidati da Stefano Battaglia.
Perché avete scelto proprio il "Nautilus" per questo vostro
viaggio?
G.S. Il Nautilus è un fossile preistorico dalla caratteristica
forma a spirale che porta in sé un ideale di armonia formale e strutturale costruita
sul rapporto aureo. Nel Nautilus, infatti, la crescita della conchiglia segue uno
schema governato dal rapporto aureo: mentre la conchiglia si allunga, il raggio
aumenta in proporzione per cui la forma del guscio resta immutata; siamo in presenza
di una "spirale logaritmica", una particolare figura geometrica che accomuna conchiglie
e girasoli, uragani e spirali galattiche.
A.L.V. Anche in questo caso abbiamo scelto il titolo
per i suoi diversi significati; la conchiglia, come dice Giorgia, la cui armonia
formale è un ideale a cui tendere in musica, in particolare per un improvvisatore;
ma anche il sottomarino del capitano Nemo, per noi simbolo di esplorazione di un
mondo fantastico, di ricerca di ciò che è "meraviglioso", nel senso più proprio
del termine, di ciò che suscita meraviglia.
L'abbondanza di strumenti utilizzati ne determina un suono
molto pieno, che rimanda ai large ensemble, per esempio a Sun Ra. Era questo il
vostro obiettivo?
G.S. Più che il volume sonoro, abbiamo ricercato una
diversità timbrica.
A.L.V. Non c'e' stata la precisa volontà di creare
un suono "orchestrale", ma piuttosto quella di utilizzare colori e timbri il più
variegati possibile; per quanto riguarda il legame con Sun Ra, musicista
che amiamo molto, c'è soprattutto nella volontà di creare una musica "trascendente".
Un quartetto "pugliese": ad orecchio, pensate che le vostre
origini siano tradite dalla vostra musica? Mi sembra che Ninna nanna tradisca l'appartenenza
mediterranea. Comunque, secondo voi, cosa c'è della Puglia nel vostro sound?
G.S. C'è l'appartenenza ad una terra ricca di stimoli
e di linguaggi, luogo di passaggio e incontro di culture diverse. "Ninna Nanna"
probabilmente è l'anello di congiunzione con il primo disco, dedicato espressamente
al binomio Musica-trance.
A.L.V. Non credo molto, anche se hai assolutamente
ragione per quanto riguarda "Ninna Nanna"; trattandosi però di musica originale,
che in quanto tale è il distillato di tutte le nostre esperienze, dei nostri ascolti
e della nostra storia musicale e non, credo che in qualche modo una sensibilità
'"mediterranea" (uso malvolentieri questo termine ormai abusato) filtri e si vada
ad incontrare con geografie musicali assolutamente diverse.
Una cosa è certa: il vostro sound non ha una matrice mainstream.
E' difficile trovare organizzatori di eventi che apprezzano la vostra musica e la
propongano nelle loro rassegne?
G.S. Premesso che la parola "improvvisazione" fa sempre
un po' paura (perché poi?), non credo che la nostra Musica sia "difficile" da proporre,
penso piuttosto che possa incontrare i gusti di un pubblico vario.
A.L.V. Credo che non sia così difficile, a patto di
riuscire a scardinare il pregiudizio secondo cui la musica che non è mainstream
è necessariamente ostica; credo che la nostra musica possa essere interessante per
un pubblico molto diversificato, dagli appassionati di jazz a quelli di rock o di
world music.
A tal proposito, per chi come voi ha deciso di intraprendere
una strada musicale differente, l'Italia è un paese che musicalmente vi sta stretto?
G.S. Indubbiamente un momento difficile non solo per
la musica, ma per l'arte e la cultura in genere. Proporre qualcosa di nuovo è sempre
più rischioso, ma continuiamo ad investire in un territorio in cui crediamo.
A.L.V. Credo che in Italia, rispetto ad altri paesi
europei e non, ci sia meno attenzione e supporto nei confronti delle musiche creative;
detto questo, la presenza sempre più pressante e soffocante del "mercato" e delle
tecniche di marketing e' un dato generalizzato, una tendenza a livello mondiale
la cui influenza sulla musica non si può non avvertire.
Se doveste scrivere due righe di presentazione della vostra
musica, come la spieghereste ad un "profano"?
G.S. Come un viaggio in un'altra dimensione dove il
musicista (e l'ascoltatore) accede a regioni della mente inaccessibili alla mente
razionale. C'è un brano di Piazzolla il cui titolo è "Chiudi i tuoi occhi
e ascolta"…
A.L.V. Per quanto io non ami etichettare la musica,
si potrebbe definire come un dialogo tra il jazz, la musica contemporanea, il rock
e le tradizioni musicali del nord dell' India e del bacino del Mediterraneo.
Al di là del quartetto, singolarmente siete impegnati in
altri progetti? Quali?
G.S. Personalmente, nell'ambito della Musica classica,
sono impegnata con l'orchestra della Magna Grecia, con un progetto di Musica antica
del bacino del Mediterraneo (La Cantiga de la Serena), con un progetto di improvvisazione
in duo con Roberto Gagliardi (Déja vù), in un ensemble di musiche da film
e non solo (Salento Cinema Ensemble) e infine mi occupo di Musica contemporanea.
A.L.V. Nutro una enorme curiosità per ogni linguaggio
musicale, affronto la musica come un viaggio di esplorazione, e per questo sono
impegnato in contesti musicali apparentemente molto lontani tra loro: dal quartetto
l'escargot, che propone una musica originale e totalmente acustica con flauti, violini
e organetti, alla world music di Raiz, dei Radicanto e di Enza
Pagliara, alla musica antica con l'ensemble Calixtinus, fino ai contesti
più prettamente legati all'improvvisazione come Tran(ce)formation, un trio con
Stefano Mangia e Giorgio Distante del quale è appena uscito un cd,
il trio Mondegreen con Pierpaolo Martino e Giacomo Mongelli
o gli ensemble di Vito M. Laforgia.
Secondo voi, il pubblico italiano è proprio standardizzato
come dicono, tanto che, in generale, sono sempre i soliti noti che suonano in giro?
G.S. Un po' è così, girano spesso gli stessi nomi,
ma non credo sia il pubblico ad essere standardizzato, quanto probabilmente gli
organizzatori di eventi che preferiscono puntare su terreni già battuti. Credo invece
che il pubblico sia desideroso di ascoltare qualcosa di nuovo.
A.L.V. Credo che, se è vero che in giro suonano sempre
i soliti noti, questo accada piuttosto per una sorta di pigrizia, di scarsa disposizione
alla ricerca da parte di chi programma la musica, che spesso preferisce affidarsi
a ciò "che va" (il mercato di cui parlavo prima), piuttosto che impegnarsi in una
programmazione più creativa ed originale; per esperienza personale posso dire che
invece esiste un pubblico curioso e desideroso di nuovi suoni e nuove musiche.
Giorgia, a parte gli strumenti tradizionali europei (flauto
e glockenspiel) associ strumenti mutuati da altre etnie. Come è nata la tua passione
per questi ultimi?
G.S. La passione è nata dal desiderio di esplorare
nuovi timbri e dall'incontro con musicisti straordinari come
Nicola Stilo,
Gabriele Mirabassi, Lorenzo Squillari, che mi hanno trasmesso il gene
della curiosità e ricerca continua.
Adolfo, alle tue chitarre associ l'elettronica. Ritieni
che questa possa costituire un valore aggiunto nell'improvvisazione marchiata XXI
secolo?
A.L.V.Credo che non sia un valore aggiunto in sé, come
tutti mezzi espressivi dipende dall'uso che se ne fa; inoltre nutro un grande interesse
e rispetto verso la dimensione più puramente acustica del fare musica; nel nostro
caso però mi è sembrato che l'elettronica potesse aggiungere qualcosa di straniante,
che potesse giovare a quell'aspetto trascendente della nostra musica di cui parlavo
prima.
Avete scelto un solo standard, che avete destrutturato
a dovere: Over The Rainbow. Perché proprio questo?
G.S. Perché il testo parla di ciò che c'è oltre l'arcobaleno,
e ci è piaciuta l'idea di tradurre in suoni le nostre immagini.
A.L.V. Non ho affrontato "Over The Rainbow"
come uno standard del songbook jazzistico, ma piuttosto come la canzone che Judy
Garland cantava nel mago di Oz; la differenza è sostanziale, perché se da un
lato uno standard è una struttura armonico-melodica da plasmare e ripensare attraverso
l'improvvisazione jazzistica, in questo caso per me il contesto per il quale il
brano è nato, e la sua stessa "esecuzione originale" (un concetto che difficilmente
potremmo applicare allo standard) sono stati riferimenti fondamentali.
Penso che ogni lavoro abbia uno "spirito guida". Per il
vostro chi ha assolto questo compito?
G.S. Tutto è iniziato con un disco di Zakir Hussain,
"Making Music", poi da lì ogni incontro è stato fondamentale al nostro percorso,
come la collaborazioni con Stefano Battaglia,
Paolo Damiani,
Eugenio Colombo.
A.L.V. Non saprei individuarne uno in particolare,
semmai una folta schiera di guide, di angeli custodi, siano essi musicisti, artisti
in genere o –soprattutto- persone che ci sono accanto ed arricchiscono la nostra
vita.
Quali sono i vostri prossimi impegni in quartetto?
G.S. Saremo impegnati nei concerti di presentazione,
showcase, partecipazioni radiofoniche sia in Puglia che in giro per l'Italia.