Intervista a Stefano Leonardi
ottobre 2008
di Fabrizio Ciccarelli
Alla ricerca di un sound equilibrato e pulito, il giovane flautista amalgama
dimensioni elettriche tipiche del jazz rock con sonorità bop,
troppo spesso, da qualche tempo, ritenute inadeguate al percorrere nuove strade
musicali.
L'album è caratterizzato da uno stile pulito
e robusto, variamente intersecato da solide armonie e dal walking di una
ritmica dalle inflessioni guizzanti di spiccata matrice europea. I soli risultano
immuni da leziosità e mossi da costanti sussulti emotivi, tanto fluidi e coerenti
quanto distinti da un non virtuosismo che conferisce al suono un'architettura
impressionistica improvvisativa ben strutturata ed agile, stimolante e facilmente
accessibile all'ascolto, accattivante per le vivaci linee melodiche sorrette da
una front line convincente, nella quale spicca l'interplay
con il chitarrista Matteo Tirella.
Una prima prova, quella di Stefano Leonardi, di buon impatto
emotivo, ben eseguita e, soprattutto, coinvolgente sia nelle composizioni originali
che in quelle oggetto di attenta rivisitazione: di queste ultime, su tutte "Basin
Street Este" di Herbie Mann (musicista senz'altro caro al Nostro),
dilatata dall'intervento di interessante levatura stilistica del flautista, attento
alle variazioni armoniche quanto alle declinazioni timbriche di decisa sfumatura
espressiva.
Più volte si ha la sensazione di udire un continuo flusso d'idee, fraseggi
nitidi negli ampi spazi solistici, anche in quelli dall'impronta più marcatamente
black ("Afro Blue", di Mongo
Santamaria), ove s'impone una certa spazialità pluridimensionale, rimata
con le spire roche e corpose nella consistenza della calda voce del suo flauto.
Stefano Leonardi si presenta come strumentista eclettico, dotato
di una particolare verve musicale e di un estro esecutivo decisamente
personale, cui va riconosciuta una dote non comune: quella di saper dare forza espressiva
alle sfumature modali del jazz nell'àmbito di una fantasia cangiante ed avvolgente.
Ne parliamo con lui.
Il tuo album d'esordio si presenta in modo composito
e stilisticamente eclettico, potremmo trarre indicazioni circa le tue scelte dal
momento che esegui due brani di Herbie Mann, uno di Mongo Santamaria, uno di Luxion,
uno di Ferreira, artisti molto diversi tra loro ma con un tratto in comune, l'originalità
della ricerca sonora?
Sì, ho lavorato sulla ricerca sonora, mi piace la formazione con la chitarra...Ci
sono riferimenti precisi a brani del passato, scelte legate all'affinità tra flauto
e musica latina, ma ho sperato che lo stile di arrangiamento e l'inserimento
di composizioni mie originali creassero un filo di congiunzione. Volevo creare situazioni
sonore nuove, passando dall'Ambient al Funk o alla Bossa Nova.
Mi sembrava doveroso rendere omaggio a Herbie Mann, per me ha lasciato
il segno nel flauto jazz.
Le tue tre composizioni paiono in parte considerare
attentamente la tradizione flautistica nel jazz, allo stesso tempo si nota una caratterizzazione
armonica piuttosto originale. Cosa ne pensi?
Sì è giusto, sono brani dalla struttura armonica molto semplice, scarna se vuoi..Il
pezzo "E-Ray" è nato sul riff, quasi ossessivo, del contrabbasso…
mi piaceva l'idea di creare un pezzo ipnotico, che richiami le sonorità della fascia
mediterranea e orientali (situazioni sonore arabe su progressioni armoniche spagnole,
E Phrygian mode). Anche il primo brano ha una struttura semplicissima (Gm7
e C7). È un funk, ma con una ritmica più "jungle" (si può dire?)
e intrigante.. "The Jackal" ha una struttura già più definita e tradizionale,
AABA.
Un tuo ricordo dei percorsi musicali anni '70 – '80
? Quanto pensi ti abbiano lasciato?
Io sono un musicista abbastanza giovane, ma i percorsi musicali anni '70 (dal
rock al jazz) penso abbiano lasciato una bella scia, da cui molti musicisti hanno
preso spunto. Dalle produzioni di quegli anni uscivano dischi che suonano attualissimi
anche adesso. Negli anni '80 l'interesse dei musicisti si è rivolto a un lavoro
di ricerca sonora e dei valori delle culture, mentre i decenni precedenti erano
più sulla spontaneità, sull'immediatezza di ogni spunto nuovo e ricerca innovativa.
Parliamo delle scelte circa il tuo timbro?
Io suono il flauto in DO, quello contralto in SOL e anche l'ottavino. All'inizio,
avendo avuto un'impostazione "classica" dello strumento avevo anche un preciso riferimento
riguardo a suono, emissione e vibrato. Suonando jazz questo passa un po' in secondo
piano (es. ascolta un blues suonato da James Galway e uno suonato
da Sam Most...). Io ho un timbro cristallino e pulito, ma mi piacerebbe
arrivare ad un sound più tagliente e grezzo; mi piace sentire un flauto che suona
"aggressivo". Dipende dal pezzo poi... l'importante è avere una buona padronanza
della timbrica dello strumento che si ottiene con lo studio approfondito di esercizi
di derivazione classica. Il top è cercare un timbro proprio, una voce che ti identifichi...
Quali musicisti consideri di riferimento per il tuo
sound?
All'inizio Dave Valentin, un grande. Riguardo al sound adoro
Jeremy Steig (copre una gamma di colori incredibile). Penso che la voce
del flauto di Most sia inarrivabile... Come carica espressiva e sonorità
Yusef Lateef. Tra gli altri ascolto tutto di
Massimo
Urbani e ultimamente il sassofonista David S. Ware.
Invia un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 4.070 volte
Data pubblicazione: 09/11/2008
|
|