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Intervista a Stefano Scarfone
aprile 2012
di Gianmichele Taormina


photo by Angelo Trani

Chitarrista tra i più carismatici della "nuova" scena internazionale, Stefano Scarfone si muove all'interno di un'originale fusione che amalgama stili, idiomi ed espressioni tra le più disparate: dal jazz classico al blues, dal flamenco ai suoni antichi del mediterraneo, dalla musica percussiva nordafricana alle inconsuete ed affascinanti sonorità balcaniche. Lo abbiamo incontrato in occasione dell'uscita di "Precipitevolissimevolmente" sua ultima incisione da studio.



Parliamo subito del tuo nuovo progetto discografico - il terzo a tuo nome – intitolato "Precipitevolissimevolmente". Titolo che non sfugge ad un pensiero programmatico sull'urgenza del tuo "fare musica"…

"Precipitevolissimevolmente" richiama la premura, l'urgenza, di correre veloce per superare l'ostacolo dell'immobilità che avvolge "la musica" non veicolata dal sistema mediatico… che si contrappone ad un panorama nel quale emergono visibili solo i soliti stereotipi musicali. In cui spesso si dimentica ogni estetismo e ogni approfondimento, si trascura di dare spazio a quello che ci ha reso famosi in tutto il mondo per secoli: quell'amore per le cose belle, il talento di grandi artisti, scrittori, poeti, maestri D'Opera, scienziati…in una parola dell'italianità.

Quali sono le differenze di Contenuti presenti in "Precipitevolissimevolmente" rispetto al tuo precedente "Estrella"?
La differenza sostanziale è il suono d'insieme, l'alchimia nata dal nuovo incontro con dei grandi interpreti italiani ed internazionali. "Estrella" è un disco che ha funzionato molto, un lavoro che ancora oggi ascolto con piacere… ma dovevo precipitevolissimevolmente far emergere qualcosa di nuovo e diverso. La scelta del "gruppo" di lavoro per questo album è stata accuratissima e in funzione del sound complessivo, una selezione maturata in stretta sintonia con la casa di produzione NAU records. Nel nuovo disco sono presenti musicisti di etnie diverse e di altissimo livello quali: Israel Varela (Batteria - Messico) Luca Pirozzi e Caterina Palazzi (fretless e contrabbasso - Italia), Gabriele Gagliarini (percussioni - italoperuviano) alla sezione ritmica, l'anglosassone Quentin Collins (tromba) e, da Cuba, il mio compagno d'avventure Juan Carlos Albelo Zamora (armonica cromatica e violino), insieme al quale ho suonato tanti anni fa nei dischi e nei tour di Gabriella Ferri e Franco Califano. In "Precipitevolissimevolmente" ogni brano è stato concepito in maniera "cantabile", costruito sullo sviluppo melodico dei temi che compongono le songs e dell'espressività dinamica di ogni passaggio. Si è trattato di riscrivere la struttura di un lavoro dalla forte matrice jazzistica attraverso le diverse e molteplici influenze che fanno parte del mio background.

La varietà del tuo mondo espressivo è forse un ulteriore marchio della tua identità di musicista. Quali sono le influenze o i punti di riferimento che stanno alla base della tua arte chitarristica?
Mi sono sempre considerato un musicista "atipico". Ho fatto gli studi classici, ed ho sempre scritto musica, sin dalla tenera età. La composizione musicale è sempre stata al primo posto anche quando ero giovanissimo con un forte predominio della mia componente istintiva. Non sono uno studioso metodico, ho sempre acquisito conoscenza con lo strumento fra le mani nel modo più libero e diretto possibile. Senza mai tralasciare l'ascolto approfondito di tantissima musica. Credo di aver sviluppato un modo personalissimo di "muovere" le mani sulla chitarra… non faccio tecnica ed esercizi e non leggo musica (aiaiaiai) da anni, non ne ho necessità. Non lavoro in un'orchestra e non devo leggere partiture a prima vista. Compongo la mia musica con dedizione, sacrifici e tantissimo entusiasmo. Avendo fatto molta gavetta ho assimilato molteplici influenze, nella mia carriera sono passato dall'intrattenimento nelle feste vips sugli yachtes di Porto Cervo e Malindi, alla musica napoletana dei salotti e delle ville di Capri ai tour con gli artisti pop, dai Festivalbar e trasmissioni tv, alle colonne sonore per il cinema e la tv, passando per la produzione artistica con Sony, Bmg, Warner e Universal. Ho avuto a che fare con musicisti d'ogni genere, dai più grandi virtuosi ai musicisti da osteria, e a tutti ho "rubato" e preso in prestito qualcosa, anche la più piccola, come un particolare modo di sorridere o la capacità di catalizzare l'attenzione. Adoro la musica acustica, gli archi, la batteria suonata delicatamente con le spazzole, la voce di una tromba, il battito percussivo sulla cassa di una chitarra…tutte le mie energie didattiche sono concertate sulla ricerca dell'espressività. Sono solito ripetere un nota all'infinito finché non suona come voglio… cambio tecnica e diteggiatura in funzione del suono che è l'unica cosa su cui sono veramente concentrato quando studio.

Cosa ti accomuna o quali sono gli elementi cardine che ti legano alla mediterraneità del tuo comporre? Mi viene in mente la tua bellissima composizione di apertura "Jo" che apre il disco…
Quella viene da sola. Deriva forse dalla mia origine calabrese, non so… so che è il mondo nel quale sono a mio agio, sono io, senza pensieri o calcoli. È la musica di Stefano. Una pianta di pomodori nell'orto, l'odore del basilico, una giornata di pesca su un gozzo, un tramonto viola sulla costa, il sale, un banco del pesce sul lungomare, la fumata di un vulcano, l'acqua fredda di una doccia sulla pelle infuocata dal sole, le cicale che urlano, il sudore, una fisarmonica che suona nelle sere d'estate, i gabbiani, il fischiare del vento, l'azzurro del cielo e il battito ipnotico delle onde, il mare… non sono banalità romantiche ma ciò che mi dà tanta pace interiore, e che riempie davvero quest'ultimo lavoro.

Altre composizioni come "Baltaki" o "Carnevale" sottolineano invece una radice folkloristica e popolare di altri territori o sbaglio?
Esatto, e sicuramente i "puristi" potranno storcere il naso. La musica popolare, come del resto il jazz, è in continua evoluzione. Popolare o folkloristica non vuol dire "tradizionale". Io cerco di dare una mia personale sensazione: in Baltaki ho cercato di fondere la mediterraneità del Syrtos e del Pidiktos tipici della saltellante danza Greca, che ha come caratteristica principale l'aumentare del ritmo (sirtaki, syrtos, nelle parti più lente, pidiktos, negli elementi più rapidi), con elementi melodici riconducibili sia al tango Argentino che alla musica balcanica (sud orientale, Mar Nero). Carnevale, che ha un tema melodico molto italiano, è invece una ricerca sulla musica sudamericana, tra bossa nova, samba e batucada, uno stile percussivo brasiliano influenzato dalla cultura africana…

"Chaco" oppure "Palmi" raccontano, di contro, una identità melodica che ha a che fare con la nostalgia e la bellezza dei luoghi… Queste tue composizioni sono frutto di tuoi viaggi, di tue letture?
Si… e ci metterei dentro anche il brano Stromboli, frutto di sensazioni ed emozioni legate ad alcuni miei viaggi. Palmi invece, è un discorso a parte. È il paese natale di mio padre, dove ho una casa sul mare. Palmi, con tutte le sue contraddizioni, è un posto "magico", e la dedica in questo caso è veramente fatta con tutto il cuore.

Spesso sei in tour anche fuori dal nostro Paese. Con le dovute differenze, quali sono le difficoltà che ravvisi nella realtà musicale qui in Italia rispetto ad altri Paesi?
Le differenze sono enormi. L'Italia è storicamente terra d'arte, in tutte le sue più belle manifestazioni. Il patrimonio culturale italiano è la miniera di talento più grande del mondo, anche se sembra che abbiamo schiacciato con violenza il piede sul freno! Sembra che ci sia una volontà precisa di allontanare le persone da tutto ciò che è "estetico" nel senso più filosofico del termine, dalla conoscenza e dall'approfondimento. Di questo ne pagano un prezzo alto sia gli artisti ma sopratutto il popolo, non vorrei risultare retorico, ma purtroppo il rammarico è grande. Non ci sono molte strutture che danno spazio e che divulgano il talento "italiano" se non delle realtà corporative che abbracciano tuttavia solo determinati settori legati spesso a strumentalizzazioni anche politiche. Il risultato è un piatto di contorno senza l'arrosto. Dall'altro canto il fermento artistico è enorme, ci sono tantissimi progetti musicali interessanti che rimangono relegati però a realtà locali. Questo è il problema istituzionale, ma io ho tanta fiducia nella gente, vedo tutti i giorni quanto è importante per tutti la musica e l'arte. Mi piace riportare sempre l'esempio del Messico. Anni fa sono stato lì in tour e sono rimasto folgorato dall'incredibile passione con cui quel popolo si accosta alla musica, senza pregiudizi, senza deviazioni legate all'apparenza. Una Università (Guadalajara, a cui ho dedicato un brano nell'album) di un paese che non è propriamente un potenza economica mondiale ma che si occupa di organizzare festival, divulgare cultura, avvicinare la gente all'arte facendo una grandissima opera di sensibilizzazione, con una infinità di manifestazioni legate alla letteratura, alle produzioni musicali, ai concerti etc. Forse a noi manca proprio quello: la voglia di investire su noi stessi, la volontà di crescere, oltre a quella necessaria umiltà che solo i grandi possiedono. C'è comunque tantissima Italia non supportata, che si sforza e si sacrifica investendo anche del suo per migliorare questa situazione e magari negli anni, crisi permettendo, ci saranno nuovi spiragli di luce.

Qual è la collaborazione artistica che ti ha più soddisfatto sia in termini musicali che umani?
Per quanto riguarda l'album sicuramente quella con Juan Carlos Albelo Zamora. È un musicista incredibile ed anche un grande amico ormai decennale. Ha colto subito il senso degli interventi che doveva fare ed ha suonato magnificamente. È un polistrumentista cubano che suona il pianoforte, le percussioni, il violino, il mandolino, l'armonica cromatica... il tutto ad altissimi livelli! Hehe mi ricordo anni fa mentre eravamo in tour e lui una sera in albergo mi disse: "sai Stefano ho comprato un'armonica cromatica, mi piace tanto, adesso provo a studiarla un po'. Due soli mesi dopo si presentò sul palco con l'armonica riuscendo a sfoderare assoli pazzeschi… Sembra un favola ma è successo veramente. Per quanto riguarda la mia carriera in generale, ho poi un bellissimo ricordo dei tour, ormai di diversi anni fa, con Franco Califano. Un altro personaggio particolarissimo, che dietro quella rude immagine nasconde una umanità profondissima. Quando presi l'ingaggio, la "gig" come dicono gli inglesi, non lo conoscevo se non per i suoi monologhi trash da "maestro di vita romana". In realtà è stato autore di molti capolavori della musica italiana tra cui brilla la collaborazione con Bruno Martino ne "E la Chiamano Estate", brano del 1965. Conservo ancora il 45 giri della collezione di famiglia e, se non sbaglio, nel lato b c'e' "La ragazza di Ipanema" che credo sia stato ai tempi un po' il traino di questo singolo; o la rivisitazione del brano francese scritto da Michel Fugain "Una Belle Historie", con il testo in italiano di Franco "Un Estate Fa'" che credo fu interpretata ai tempi anche da Mina.

Quali altri progetti hai prossimamente in cantiere?
Ci sono parecchie cose in cantiere: altre uscite discografiche e collaborazioni importanti, ma non nell'immediato futuro. Adesso c'è la parte bella da godersi: suonare questo disco davanti al pubblico. Con la NAU stiamo programmando una serie di appuntamenti pre-estivi di presentazione dell'album, oltre a quello già fatto presso il teatro Palazzo Santa Chiara a Roma con un grande successo di pubblico. Inoltre in autunno inizierà il primo tour teatrale di questo progetto.

Raccontaci di questa bella iniziativa di beneficenza ideata dalla tua etichetta discografica, la Nau Records, legata al tuo cd e alla costruzione di un ospedale pediatrico in Argentina…
Sono orgoglioso e molto fiero che la mia musica possa contribuire concretamente ad un progetto così nobile, la cui finalità è quella di assistere i bambini disagiati di un'area poverissima quale il Chaco argentino. Il programma Nau for Chaco nasce su iniziativa di Gianni Barone (n.d.r. titolare della Nau) grazie a contatti che lo stesso ha con l'Argentina, ed è gestito dalla O.N.G. La Highera, magistralmente guidata dal suo fondatore: il pediatra argentino Gustavo Farruggia. La Nau devolverà una parte di tutti gli incassi derivanti dalla mia attività professionale e concertistica (Cd, concerti, clinic, mp3). Per l'occasione ho scritto Chaco, dedicato ai bambini di quella regione e simbolicamente al dolore di tutti i bambini che quotidianamente soffrono.







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Data pubblicazione: 30/04/2012

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