Intervista a Stefano Savini
settembre 2006
di Fabrizio Ciccarelli
Da qualche mese i
NoPop
hanno pubblicato un album, "Sestetto",
che non ha mancato di destare curiosità fra la critica e gli ascoltatori. L'intenzione
sembra proprio quella di costruire un vero mélange di stili diversi e talora
distanti, secondo un'intenzione progressiva di costruzione musicale, facilitata
dal forte interplay che caratterizza la band. Ascoltando gli otto brani del
cd qualcuno potrebbe essere tentato dal porsi la solita, banale, domanda:" è jazz?
" Bene, se è vero che il jazz è innanzitutto un modo di accostarsi alla musica in
modo personale e del tutto soggettivo dal lato estetico, allora l'originalità dei
NoPop
non può che giungere gradita, gradevolmente antiaccademica, libera e spontanea
nel concepire armonie connotate tanto da lirismo quanto da ironia o da proiezioni
folk, decisamente al di là di ogni noioso intellettualismo e di ogni pedissequa
imitazione.
Stefano Savini, chitarrista e coideatore del progetto, ci presenta, col
brio che lo distingue, l'avventura
NoPop.
F.C.: Come è nato "Sestetto"?
S.S.: Il progetto nasce da un' idea mia e di
Stefano Ricci: creare un gruppo che possa suonare le nostre musiche originali
(i brani sono tutti miei o suoi) per una sonorità che avrebbe dovuto essere per
quanto possibile il più reale all' idea della musica che avevamo ed abbiamo in testa.
Mi spiego: il suono acustico è una base fondamentale, la scelta dell'organico pure:
usiamo tutti strumenti della tradizione popolare della nostra zona, il clarinetto,
i sassofoni, il piano, la chitarra, poi chiaramente contrabbasso e batteria. La
musica che io che scrivo ed che ho scritto, come quella di Ricci, ha profonde
radici nei nostri percorsi musicali, è chiara la forte matrice della musica classica
del ‘900 negli arrangiamenti (che sono tutti di Ricci) ed in molti temi,
soprattutto nei brani più meditativi. Come in altri vi è l'influenza del jazz nelle
tematiche ed nello stile delle ritmiche, dei soli e della dinamica. Ma la novità
a mio modo di vedere è che la nostra musica, il progetto
NoPop,
è genuino, senza forzature. E' il nostro istinto e non potrebbe essere nient'altro,
coi suoi pregi ed i suoi difetti: un lavoro sincero… credo che di questi tempi sia
la gente che gli artisti abbiano molta difficoltà ad essere se stessi, oppure temono
la loro realtà oppure non la possiedono… e la cercano in quella degli altri. I miei
colleghi, veri artefici del suono e dell'estetica
NoPop,
sono tutti musicisti diplomati al Conservatorio nei propri reciproci strumenti e
possiedono anche più diplomi …ma le medaglie non fanno musica, ma sono i musicisti.
Noi siamo stati fortunati ad avere in
Gian Maria
Matteucci un clarinettista da suono bellissimo, pulito, unico, proveniente
dalla scuola classica ma con padronanza del linguaggio jazzistico e non solo, con
la cultura e la consapevolezza di conoscere ed intuire le nostre idee e le immagini
che volevamo la nostra musica desse. Massimo Zaniboni. il più "jazzista"
di tutti, è un giovane leone dello strumento, con l'intuito di "uscire sempre
in piedi" da qualsiasi situazione musicale gli venga proposta. Guido
Facchini: difficile definirlo, è un artista geniale cinque… o non so quanti
diplomi di conservatorio, pianista a 360 gradi, ascoltare per credere, direttore
d'orchestra (vedi San Remo 99/2001/
2002 ecc.) arrangiatore/sperimentatore preparatissimo…sono
fortunato ad averlo con noi. Ci siamo capiti subito,questo in musica,vita e sogni
è metà dell'opera. Mauro Gazzoni è un batterista, un musicista vero,
suona il piano, questo aiuta la sua idea del tempo, del ritmo da dare o da intuire
per creare la giusta danza al brano, è inoltre molto versatile ed attento nei momenti
decisivi ma con un istinto a volte irrefrenabile. Stefano Ricci, il
mio socio, è anche il contrabbassista del gruppo Quintorigo (già qui non
mi dilungo…altrimenti). E' l'arrangiatore di tutti i brani, un musicista di grande
esperienza nel live ed in studio, con studi di composizione alle spalle. Ha saputo
dare concretamente il carattere e la sonorità "NoPop".
Io sono Stefano Savini, diplomato in chitarra e musica jazz, compositore
della metà dei brani del CD e sostenitore dell' integrità del nostro progetto: proporre
una musica che abbia all'interno tutte le influenze dei nostri reciproci studi ed
amori, ma con una chiara e spontanea dignità della realtà del nostro stile e della
nostra idea di musica.
F.C.: Un viaggio nelle atmosfere europee ma anche
sudamericane, senza tralasciare l'impronta chiaramente jazzistica data all'album,
perché questa scelta?
S.S.: La scelta credo e crediamo di non averla
fatta ma di esserci incappati dentro, mi spiego: un gruppo italiano, europeo, mediterraneo
come noi siamo, non poteva prescindere dalle tradizioni culturali e musicali delle
sue zone, anche senza ricercarle. Se il lavoro come nel nostro caso è una ricerca
di se stessi e della propria identità musicale, direi che conviene essere sincero
quando voi dare te stesso o la tua anima per comunicare con chi ti ascolta. Il jazz
nella nostra musica è un linguaggio utilizzato principalmente per dare sfogo ai
singoli strumenti che tramite l'improvvisazione possono commentare e trasportare
il brano in situazioni (soprattutto dal vivo) molto coinvolgenti e vive, supportate
dalle ritmiche e dai colori tipici della musica afro-americana. Comunque un utilizzo
europeo dell'estetica jazzistica come da Lei giustamente osservato.
F.C.: Ascoltando mi vengono in mente Philip
Glass e certe emozioni world di cui tanto si suona, ma spesso in modo poco convincente
e "di cassetta". I riferimenti possibili sono tanti, ma la personalità con cui sono
ideati ed eseguiti i brani non li rendono strettamente necessari. Le architetture
sonore sono molto individuali, le timbriche intense, nella ricerca della massima
espressività di ogni strumento. Vuole dire la sua in questo senso?
S.S.: E' chiaro che tutti i musicisti compositori di grande spessore,
come ritengo Glass, possono in qualche modo essere affiancabili alla nostra
estetica musicale perché li abbiamo ascoltati e studiati al pari di Bach,
Mozart, Monk, M.Davis, Coltrane. L' inquadramento nella
cosiddetta "world music" può anche starci, ma nell'epoca della contaminazione, della
multietnicità culturale chi non può prescindere da tutto ciò? In ogni caso il nostro
"World" è più piccolo, periferico, intimo, provinciale, e per questo credo sicuramente
più internazionale e comunicativo di altri tentativi. Noi esportiamo noi stessi
e la nostra natura musicale, questa è la nostra scelta, come in passato hanno fatto
molti altri, come
Ornette
Coleman,
Charles
Mingus o Carla Bley,.
F.C.: L'impressione, ascoltando, è quella di
in album molto meditato, le tracks danno la sensazione di essere il punto d'arrivo
di un percorso iniziato da un jazz "evoluto" e forse giunto ad una maturità che
dal jazz può trascendere, alla ricerca di una sintassi musicale che comprenda molti
linguaggi.
S.S.: L'impressione che ha avuto è quella giusta, l'album è meditato per
quanto riguarda la scelta dell'arrangiamento complessivo dei timbri, dell'organico,
del ritmo che deve seguire la batteria o lo strumento cui affidare il tema. E' altrettanto
forte l' istintività nel seguire l'immagine che il motivo del brano declama. Io
definisco la mia musica ed anche quella di Ricci una sorta di affresco sonoro delle
nostre idee… chiaramente attraverso le sonorità degli strumenti di questo organico;
noi, comunque, abbiamo anche altri progetti ove utilizzare strumenti diversi ma
con il quasi medesimo linguaggio riusciamo ad affrescare il quadro sonoro secondo
l'intenzione che abbiamo in mente: ad esempio utilizzando l'elettricità strumentale,…ho
coniato questo temine in questo momento, me ne scuso. Per concludere il nostro è
un percorso che comprende molti linguaggi ma per sintetizzarne uno al meglio: cioè
il nostro NoPop…sarà
una gara dura ma come ho già detto è l'unica cosa che mi sembra giusta ed artisticamente
valida da fare!
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Data pubblicazione: 05/12/2006
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