Intervista a Roberto Ciotti
Black Time 2002 -
Benevento, 16 ottobre 2002
di Domenico Coduto
foto di Giorgio Zotti
Roberto Ciotti è considerato uno dei più grandi
chitarristi blues del Vecchio Continente. A giugno ha pubblicato il suo nuovo
album Behind the door, che arriva a tre anni di distanza da
Walking
(20.000 copie vendute). Il nuovo disco è una sapiente miscela di blues, funky
e sapori latini, condita da splendide ballad.
La carriera di Roberto è lunga ed intensa.
Comincia a suonare la chitarra a 12 anni scoprendo subito il suo amore per il
rock-blues. Dopo un'esperienza con i romani Blue Morning, nel
1972
esce
il suo primo album. Da allora in 30 anni di carriera Roberto Ciotti ha
pubblicato 11 dischi a suo nome ed ha collaborato con molti artisti, italiani e
stranieri. Negli anni '70
ha lavorato come session-man al fianco di
Francesco
De Gregori ed Edoardo Bennato. Ha prestato la sua musica anche al cinema
lavorando, fra l'altro, per le colonne sonore di due film di Gabriele Salvatores
(Marrakesh Express, e Turnè). Queste poche righe non bastano a
dire chi è Roberto Ciotti, e non spiegano perché è considerato uno dei più
grandi chitarristi blues d'Italia. Ma lo rivelano con chiarezza i suoi dischi,
il suo sound, la sua chitarra, calda, graffiante, comunicativa. Lo confermano i
suoi concerti coinvolgenti, la sua tenacia, la sua umanità. Ascoltare Roberto in
concerto (pur non essendo la prima volta), è un'esperienza sempre nuova: il suo
sound è emozionante, caldo; ogni volta una scoperta. Il concerto è stato
semplicemente grandioso, diretto, senza orpelli, dritto al cuore del problema:
il blues. Le qualità di Roberto Ciotti vanno oltre la chitarra, oltre il blues.
La sua è musica che riscalda il cuore e che fa volare in alto i pensieri. Il
suo blues si rotola tra il funky, gioca dolcemente tra i suoni latini per
addolcirsi magnificamente in una splendida ballata.
La band che, lo accompagna ormai da tre anni,
vive in simbiosi con la sua musica. Precisa ed essenziale la batteria di Walter Detond, compatto il basso di
Elio Buselli che sostiene con forza il groove; al
piano e all'organo Andrea Pagani, co-arrangiatore dei brani dell'ultimo album,
rifinisce, e arricchisce con eleganza il lavoro della band.
Il concerto di Benevento si avvale anche delle percussioni del frizzante
Flavinho Vargas. Su
tutto si "eleva" la chitarra e la voce di Roberto Ciotti, che conosce e ci fa
conoscere tutti i colori del blues, e tutte le sfumature che il sapore latino,
sapientemente miscelato alla "musica nera", può regalarci.
Ho incontrato Roberto Ciotti a Benevento, città
dove ha tenuto un concerto, al Teatro De Simone.
DOMENICO CODUTO:
Il tuo ultimo lavoro,
Behind the door, arriva tre anni dopo Walking, uscito nel 1999. Quando sono nate le canzoni di questo album? Sono tutti brani nuovi o li
tenevi nel cassetto aspettando il momento giusto?
ROBERTO CIOTTI: Di solito appena pubblico un album inizio a scrivere
subito i pezzi per quello successivo. Infatti, adesso, sto già scrivendo dei
brani nuovi. Le canzoni dell'ultimo disco sono venute fuori influenzate da
alcune cose un po' latine perché nel periodo in cui le ho scritte ho cominciato
a suonare con dei musicisti sudamericani. Ero molto preso da quella musica,
ancora prima che uscisse l'album di Santana. Così ho iniziato a scrivere delle
canzoni nuove, ed è nato metà disco con questa ispirazione più solare, e l'altra
metà composta da canzoni più lente, delle ballad.
DOMENICO CODUTO:
Volendo fare un confronto, mi
sembra che Walking sia un lavoro più intimistico, più proiettato verso
l'interno, mentre il nuovo album è più un dialogare, un confrontarsi; lo sento
più libero, immediato.
ROBERTO CIOTTI:
Si è vero, questo disco è più
"estroverso"; semplicemente perché sono momenti che una persona vive.
L'influenza latina è venuta dal suonare, e stare insieme con questa gente
sudamericana, la cui solarità, mi ha colpito molto, e sono venute fuori delle
canzoni così estroverse, solari. Caratterialmente io sono più chiuso, ma
fortunatamente, ho potuto collaborare con tanti musicisti diversi, con i quali
riesco ad aprirmi di più e comunicare meglio: ed è una cosa positiva!
DOMENICO CODUTO:
Devo dire che queste
influenze latin e funky sono evidenti già da Walking, anche se in maniera
più velata. Nel nuovo disco esplodono più prepotentemente. Voglia di
sperimentazione? Il contagio del latin sound dilagante o semplicemente voglia di
giocare?
ROBERTO CIOTTI:
Si, ho sempre avuto queste
influenze, però questa volta sono uscite fuori in modo diverso, più
prepotentemente; ho usato un po' più di fiati, una corista brasiliana, delle
percussioni, insomma mi sono un divertito un po' di più...
DOMENICO CODUTO:
Behind the door è
stato registrato nel tuo Home studio. Da sicuramente dei vantaggi il poter
lavorare in uno studio tutto proprio…
ROBERTO CIOTTI:
Si, ho fatto tutto a casa, nel
mio studio, con degli amplificatori valvolari. In economia, ma con un risultato
che mi sembra soddisfacente. E' stato curato tutto nei minimi dettagli, anche
negli arrangiamenti (che ho realizzato insieme ad Andrea Pagani). Forse
Changes era un album più immediato, con la spontaneità del live, ma tutto
sommato anche Behind the door, durante i concerti si libera, esplode.
Sai, mi piacerebbe fare anche un
album live, prima o poi…
DOMENICO CODUTO:
Nel sound e
nell'arrangiamento dei tuoi brani che peso ha la band, la personalità dei
musicisti che scegli? Come si svolge il tuo lavoro
in fase di pre-produzione?
ROBERTO CIOTTI:
Tutto parte dalla testa mia;
scelgo i musicisti giusti che servono per realizzare quell'idea che ho in mente.
Ultimamente ho trovato questa formula e mi piace: la batteria va molto dritta,
essenziale, il basso sostiene il groove, un tappeto di pianoforte, e poi tutti i
colori che stanno sopra. Mi piace questa formula, perché ci puoi suonare, ci
puoi costruire molto. Mentre in quartetto, quando suoni con un batterista troppo
agile, veloce, che vuole strafare, la musica prende tutti altri territori.
DOMENICO CODUTO:
La tua musica conquista anche
i giovani, infatti questa sera in platea ce n'erano molti. Miles Davis diceva
che un buon modo per mantenersi giovani è quello di avere una pessima memoria o
una mentalità aperta. Tu che ne pensi?
ROBERTO CIOTTI:
Io la penso allo steso modo,
identico. Mi piace molto avere un pubblico vario. Se riesco a fare queste
ritmiche fresche e riesco a comunicare bene con musicisti che hanno anche 20
anni meno di me, chiaramente i "benefici" si riflettono anche sul pubblico.
DOMENICO CODUTO:
Nei tuoi album hai sempre cantato in Inglese; del resto
la lingua inglese è una necessità per il blues! Metrica e di espressione.
Tuttavia nel tuo ultimo disco c'è un brano in Italiano. Perché?
ROBERTO CIOTTI:
Guarda, la lingua inglese
presenta grandi problemi di comunicabilità in Italia. Io ho voluto provare a
fare un pezzo, era tanto che volevo farlo. Anche per vedere la gente, le radio
come avrebbero reagito. Il risultato è stato discreto, anzi, mi ha stimolato.
Credo che ne farò altri.
DOMENICO CODUTO:
Di solito i musicisti, in
Italia, fanno il percorso inverso. Pubblicano il pezzo in italiano e poi fanno una versione inglese per il mercato estero…
ROBERTO CIOTTI:
Io non ho mai scritto niente in
Italiano in 30 anni di carriera. Anche se me l'hanno sempre chiesto., fin dal
primo disco che ho fatto. La mia musica non si presta facilmente alla lingua
italiana; ma niente è impossibile. Adesso ho fatto questo primo esperimento, per
provare. Non mi dispiacerebbe farne altri, perché, comunque, aprirebbe
tantissimo la comunicazione con la gente. Purtroppo l'inglese è un handicap in
Italia. All'estero no, anzi. Io ho lavorato molto all'estero, e non ci sono mai
stati problemi, anzi, se canti in italiano sembra una cosa esotica, invece con
l'inglese comunichi direttamente.
DOMENICO CODUTO:
I tuoi ultimi tre album sono stati pubblicati da "Il
Manifesto", e con Walking hai venduto circa 20.000 copie. Ma oltre a
questi numeri (che pure sono importanti in un contesto "underground" come il
tuo), sei riuscito a conquistare uno spazio tutto tuo, che ti ha dato e ti sta
dando grandi soddisfazioni. Cosa significa per te lavorare con "Il Manifesto",
da sicuramente maggiori garanzie "artistiche", di indipendenza. Però credo abbia
anche qualche lato negativo. Penso alla distribuzione, alla promozione ecc.
ROBERTO CIOTTI:
Oggi la situazione è più
difficile rispetto a 3 anni fa quando è uscito
Walking. Lavorare con il
Manifesto da sicuramente grossi vantaggi di libertà creativa, però
commercialmente non da grandi risultati. Oggi come oggi, con tutta la pubblicità
che c'è in giro, con la competizione assoluta su qualsiasi cosa, il Manifesto è
una goccia nell'oceano. È veramente dura. Però, almeno, in questo modo hai la
libertà di fare quello che vuoi!
DOMENICO CODUTO:
Sei riuscito a costruire,
attraverso gli anni, un suono ben riconoscibile, caratterizzato dalla tua
chitarra blues, pulita. Come ti consideri come chitarrista? Hai ancora da
imparare?
ROBERTO CIOTTI:
Penso che c'è sempre da
imparare: ma nella musica, non nel chitarrista. La chitarra è solo uno strumento
per esprimere le emozioni che stanno nelle canzoni, negli arrangiamenti, nelle
intuizioni. Come espressione vado molto sull'istintivo, sull'espressione blues
immediata, espressiva più che tecnica. Ogni tanto esce fuori la frase più
tecnica, ma in generale mi lascio andare molto alla musicalità. In realtà non mi
sento neanche un vero chitarrista: uso la chitarra come mezzo espressivo, come
la voce, come la composizione. Forse la chitarra è "più avanti" rispetto al
resto perché sono tanti anni che la suono.
DOMENICO CODUTO:
Nei primi anni della tua
carriera lavoravi con la Cramps vero?
ROBERTO CIOTTI:
Sì ho fatto i miei primi dischi
con la Cramps
DOMENICO CODUTO:
Hai suonato anche al concerto
all'Arena Civica a Milano il 14 giugno 1979 (il concerto per Demetrio Stratos).
Cosa ricordi di quella esperienza?
ROBERTO CIOTTI:
Ricordo che ero molto giovane e
cercavo di fare il blues nero, perché mi piaceva tanto, e cercavo di imitare la
voce dei bluesman neri, e non riuscivo neanche a tirare fuori la mia vera voce.
Era una fase molto giovanile della mia carriera, anche se la chitarra andava
molto forte. Sai, era un periodo in cui c'era l'esigenza di conoscere che tipo
di musica fosse il blues. Il pubblico non ne sapeva nulla. Infatti, io, che sono
sempre stato autore, feci anche un disco di cover per Mr Fantasy, proprio
per rispondere a questa esigenza di conoscere. C'era una grossa curiosità verso
questa musica che arrivò da noi dopo il 1968. Insomma era un periodo diverso in
cui c'era molta esigenza di capire alcune cose che non arrivavano dai mass
media, in nessun modo.
DOMENICO CODUTO:
Conoscevi Demetrio Stratos?
ROBERTO CIOTTI:
Si, è stato lui a farmi fare il
contratto con la Cramps, nel '75 credo
DOMENICO CODUTO:
La Cramps, gli anni 70, la
musica: era tutto un po' legato al mondo delle contestazioni, i festival rock, i
giovani e la politica; la musica rock aveva forse un approccio più immediato.
Perché tu hai scelto proprio il blues?
ROBERTO CIOTTI:
Per il blues era la stessa cosa.
All'inizio la mia musica era più rock, poi dopo sono passato al blues. Anche io
sono nato con il rock.
DOMENICO CODUTO: Trovi che oggi ci sia più pressione nel music
business rispetto a 30 anni fa?
ROBERTO CIOTTI:
È cambiato tutto, completamente,
oggi è tutto consumo; anche le cose migliori, se diventano un prodotto di
consumo vanno bene, altrimenti, se non ci sono dietro i soldi, non vanno da
nessuna parte. Purtroppo il mondo oggi va così.
DOMENICO CODUTO:
Le uniche cover che suoni ai
tuoi concerti, e che hai inciso negli ultimi anni, sono due grandissimi brani di
Hendrix. Chi è Jimy Hendrix?
ROBERTO CIOTTI:
Beh, è un musicista che, quando
avevo 14 anni, mi ha colpito perché aveva un sound molto aggressivo. Il suo vero
talento l'ho capito solo dopo. L'ho visto a Roma al teatro Brancaccio e mi ha
colpito molto. Da lì ho cominciato a suonare e non ho più smesso. E quindi è
rimasto dentro di me, nel mio cuore.
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COMMENTI | Inserito il 30/3/2011 alle 16.32.49 da "piolo.one" Commento: Grazie a te ho imparato ad apprezzare un genere a me sconosciuto fino ad ora: penso che comprerò tutti i tuoi album. Inoltro ora ho intenzione di imparare a suonare la chitarra e, anche se non sarò mai a questi livelli, trarrò ispirazione dalla tua musica. Grazie infinite per l'arte che produci, Paolo | |
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Data pubblicazione: 10/11/2002
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