Intervista a Roberto Ciotti
"Equilibrio Precario": il Blues tra Europa e Africa
15 marzo 2013
di Roberto Biasco
Abbiamo incontrato
Roberto
Ciotti nella sua casa romana in Trastevere, in una stanza ben insonorizzata,
circondati da un vecchio pianoforte verticale e, naturalmente, da una ventina di
chitarre gelosamente custodite: un vero e proprio laboratorio artigianale della
musica.
Colloquiale, amichevole, informale, Ciotti è l' "antidivo" per antonomasia, che
parla sempre in termini modesti e concreti del proprio lavoro, da sempre concepito
con amore e cura del dettaglio.
L'occasione dell'incontro è la pubblicazione del nuovissimo album "Equilibrio
Precario" in uscita per l'etichetta Aliante Dischi.
Partirei dalla bella versione di "Hey Joe" inserita nel
nuovo disco, e quindi da Jimi Hendrix che mi sembra tu abbia avuto la fortuna di
vedere dal vivo nel fatidico Maggio 1968 al Teatro Brancaccio di Roma, e quindi
dalle radici della tua musica.
"Hey Joe" è una delle prime canzoni che mi hanno colpito da ragazzo, ai tempi
del liceo, ascoltandola alla radio; io ed il mio amico Gianni Marcucci (futuro
produttore discografico dell'etichetta Albatross) cominciammo ad appassionarci a
questa musica, il rock-blues, che non si era mai sentita prima. Poi tutto è successo
molto velocemente: io a quindici anni già suonavo la chitarra professionalmente,
che ho imparato subito da autodidatta nel giro di un anno, e sono andato a vivere
fuori casa giovanissimo, guadagnandomi da vivere accompagnando una cantante di colore.
In un certo senso hai iniziato
da una ricerca sul blues a partire dalle sue radici, quasi da "studioso" e cultore
della materia, per poi avere un'evoluzione che ti ha portato verso altri suoni.
Ho avuto in effetti tantissime esperienze diverse, a partire dal jazz rock negli
anni Settanta con
Maurizio
Giammarco, per proseguire poi con il classico trio rock-blues, che ho
amato molto, collaborando insieme a Ginger Baker nei primi anni ottanta. In effetti
devo ammettere di aver sempre avuto sin dall'inizio una certa facilità istintiva,
soprattutto nell'improvvisazione, affinata poi dallo studio e dalle tante e diverse
esperienze accumulate nel corso degli anni, e che mi hanno senz'altro arricchito.
Poi, a partire dalla fine degli anni Ottanta la svolta fondamentale c'è stata con
le colonne sonore dei film di Salvatores ("Marrakesh Express" e "Turnè")
nelle quali ho sperimentato nuove sonorità, inserendo le tastiere ed aprendomi a
nuovi orizzonti, focalizzandomi maggiormente sulla composizione di brani originali,
mettendoci qualcosa di "mio". Sono riuscito così a superare certi steccati e a raggiungere
un pubblico molto più vasto, ed arrivando man mano ad incidere ben quindici album
da solista.
Veniamo dunque al nuovo cd: come si inserisce questo nuovo
"Equilibrio Precario" nell'evoluzione della tua evoluzione artistica e discografica,
in cui ti sei aperto verso una dimensione più "cantatutorale", come dimostra la
presenza di ben tre brani cantati in italiano.
Già nel disco precedente c'era una canzone in italiano ("Stanotte Roma" in
"Troubles and Dreams" del 2010)
che ha funzionato molto bene. Mi era stato chiesto più volte di cantare in italiano,
e all'inizio mi ero sempre rifiutato. Poi, suonando all'estero, ho capito che cantare
nella propria lingua ti dà un'identità, una connotazione anche geografica importante,
e quindi ho cambiato un pò atteggiamento nei confronti della nostra lingua. Avendo
suonato a Dakar in Senegal lo scorso anno, mi sto addirittura preparando a comporre
e cantare anche in francese! Inoltre in questo nuovo disco ho voluto inserire sonorità
più moderne, utilizzando con molta parsimonia tutte quelle nuove tecnologie che
potessero dare più freschezza e modernità al "sound" complessivo. Il disco in effetti
credo che abbia ha un suono molto più moderno e accattivante.
Mi pare ci sia un'attenzione più particolare ad un suono
di insieme, omogeneo morbido ed avvolgente, quasi semiacustico.
Sì, ho inserito l'organo Hammond, e il mixaggio è stato fatto in un magnifico studio
di registrazione – il Forward di Grottaferrata - utilizzando tecnologie all'avanguardia.
E' un disco forse più intimista rispetto agli altri, che ha avuto comunque una storia
lunga e travagliata, e di fatto era già pronto quasi un anno fa. Questa apparente
"semplicità" e fluidità di ascolto non deve trarre in inganno; dietro ogni brano
ed ogni arrangiamento c'è tutto un enorme lavoro di ricerca, cesello e rifinitura,
che magari l'ascoltatore non immagina neppure. A volte per trovare il riff o l'arrangiamento
giusto ci vogliono due mesi! Questo fa la differenza tra il cercare di essere originali
ed evitare le situazioni scontate o ripetitive.
Sei unanimemente considerato un grande chitarrista, in
questo album la chitarra è ovviamente molto presente, ma la tua voce sembra aver
acquisito negli anni maggior espressività e consapevolezza.
Forse sarà anche l'età, per cui la voce diventa magari più profonda e più morbida.
In effetti all'inizio della mia carriera la voce era un qualcosa in più, ero essenzialmente
un chitarrista che cantava anche. Ora dedico molta più attenzione alla voce, soprattutto
nel rapporto tra voce e chitarra acustica, sulla quale amo comporre. A questo si
aggiunge l'influenza delle magnifiche esperienze degli ultimi anni nel rapporto
con la musica in varie parti del mondo: in particolare in brasile nel
2008, e poi con la musica africana che amo molto
ed ascolto in continuazione.
Lo scorso anno hai avuto la possibilità di suonare a Dakar
con una serie di musicisti africani, cosa puoi raccontarci di quella esperienza,
potrà avere degli sviluppi futuri?
Debbo dire che si è trattato di una esperienza meravigliosa. Purtroppo più vado
in giro all'estero più, tornando in Italia, mi sento depresso. Ultimamente ho girato
molti paesi del mondo, non solo in Brasile o in Africa, ma anche in Europa, dove
c'è una cultura musicale diffusa ed importante. In nord Europa per esempio, a Bratislava,
ma anche a Mosca, ho avuto un'accoglienza splendida, con manifesti in tutta la città
concerti sold out nei teatri. In questi paesi la musica non è un semplice momento
di svago o intrattenimento, ma è tutt'uno con la vita quotidiana della gente. Il
musicista all'estero è un artista amato e rispettato, mentre da noi non è minimamente
preso in considerazione. Da noi quanta gente davvero "ascolta" la musica? Quanta
gente compra i dischi per ascoltarli davvero? Pochissimi! Questa è la verità, ed
è un fatto tristissimo! La crisi di questi ultimi anni non ha fatto che peggiorare
la situazione per chi di musica ci vive. Ecco il perché del titolo "Equilibrio
Precario". Il taglio dei fondi ai comuni ha drasticamente ridotto, quasi azzerato,
le date dei concerti. Anche la situazione dei locali non è delle migliori, parecchi
qui a Roma stanno chiudendo oppure, sempre per motivi economici, sono stati costretti
ad abbassare il profilo artistico. Tutto questo mi sta portando sempre di più a
proiettarmi all'estero.
Come è nata l'avventura in Senegal?
L'anno scorso ad aprile, mentre ero in macchina, inaspettatamente, mi chiama l'Ambasciata
Italiana a Dakar. All'inizio ho pensato che avessero sbagliato numero! Invece era
proprio l'ambasciatore - che ho scoperto poi essere un mio accanito fan - che mi
cercava per invitarmi al St. Louis Jazz Festival di Dakar a rappresentare l'Italia.
Lì si è aperto per me un nuovo mondo: un entusiasmo incredibile, riprese in diretta
sulla TV nazionale, nuovi concerti, sono poi tornato a novembre per un secondo tour,
ho conosciuto e suonato con tutti i principali musicisti locali come Vieux
MacFaye, Yoro Ndiaye, Souleymane Faye. Un'esperienza davvero eccezionale.
Ora mi stanno chiedendo di tornare per iniziare un vero e proprio progetto di collaborazione
con questi musicisti, che potrebbe coinvolgere anche il grande Ismael Lò.
Una storia che – mutatis mutandis - fa venire in mente
quella di Ry Cooder in Mali con Alì Farka Tourè.
No, direi esattamente il contrario. Mentre Ry Cooder andò in Mali per ritrovare
e registrare sul campo le radici africane del blues, in questo caso sono state le
realtà locali a cercare me per costruire un ponte ideale tra la loro cultura musicale
l'occidente. Tutto questo attraverso la mia musica, un blues che unisce più culture,
quella africana, quella "occidentale" e, se vogliamo, quella mediterranea. In realtà
mi sento già proiettato verso il nuovo materiale che registrerò con i musicisti
africani, allargando il mio quartetto blues, inserendo percussioni e strumenti locali,
come marimba, djembè, kora, balafon, con l'aggiunta delle voci e dei i coristi senegalesi.
In realtà avevo già cominciato ad utilizzare le percussioni afro-cubane già qualche
anno fa in "Behind the Door", ma si tratta questa volta di qualcosa di veramente
nuovo e di assolutamente inedito. Sarò di nuovo in Senegal, probabilmente in Aprile,
e non vedo l'ora di tornare laggiù per sviluppare questo progetto.
Roberto Ciotti
"Equilibrio Precario"
"In equilibrio precario è come mi sento oggi,
sembra che tutto vada per il verso sbagliato, qualcuno ci tiene in pugno
e il progresso porta il regresso dei rapporti umani e culturale oltre
che economico. Non sono solo le certezze quotidiane che mancano ma quelle
di fondo le convinzioni, chi ha spento la luce? Io non smetto di credere
al potere della fantasia e della musica".
Questo è il mio quindicesimo disco da solista, contiene stilemi e suoni
nuovi che non avevo mai sperimentato prima, tastiere e loop moderni
usati con molta discrezione. "Equilibrio precario" contiene
12 canzoni con melodie mature e sempre più personali; ho anche proposto
dei brani in italiano, lingua difficilmente associata al blues. La mia
musica è definita "blues mediterraneo", un po' per l'armonia un po'
per il mio carattere tipicamente romano che mantengo anche quando vado
all'estero, dove tutto è diverso, dove l'inglese è la lingua ufficiale
ma dove è sempre importante avere un collocamento geografico.
Posso dire che è stata la crisi italiana a portarmi a scrivere "Equilibrio
Precario". Mi annullavano i concerti uno dopo l'altro e quindi ho
dirottato le mie energie sul mercato estero. Le canzoni "Bad english"
e "Moscow girl", per esempio, sono nate a Mosca nel 2011, durante
una mia esibizione all'auditorium. Parlavo in inglese coi russi e questo
mi risultava comico, quindi ho cominciato a scherzarci su e la notte,
in hotel, ho scritto il pezzo "Bad english".
A fine maggio 2012, in Senegal ho rappresentato l'Italia all'evento
internazionale Saint Louis Jazz Festival. A Dakar ho suonato con i migliori
artisti senegalesi, tra gli altri: Vieux mac Faye, Yoro Ndiaye, Souleymane
Faye, con i quali ho tessuto ottime basi per una collaborazione futura.
In questo cd ci sono due tributi: uno al mio primo maestro Jimi Hendrix
di cui "Hey Joe" è la prima canzone rock blues che ho ascoltato
e mi ha subito folgorato (nel ‘68 l'ho visto dal vivo e ho cambiato
definitivamente la mia rotta professionale), l'altro a Van Morrison
il "nero bianco" Irlandese, di cui propongo "Moon Dance", in
una versione più blues.
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Data pubblicazione: 28/04/2013
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