Intervista ad
Antonella Mazza
1 aprile 2006 - Bari, Teatroteam
di Marco Losavio e Alceste Ayroldi
Contrabbassista, bassista, suona jazz, pop, rock, funk...partecipa a spettacoli
teatrali...una musicista eclettica, pronta ad assorbire gli insegnamenti dei Maestri,
tenace nell'apprendere e nell'essere sempre professionale, si prodiga nella sua
attività alla ricerca di un percorso e di una costante soddisfazione interiore.
Antonella Mazza
la incontriamo prima di una delle tappe del tour dello spettacolo di Bertolino
("Voti a perdere") nel silenzio di un teatro ancora vuoto...
J.I: Come è nata la tua
passione per basso e contrabbasso?
A.M.:
E' da 15 anni che cerco una risposta
ad effetto ad una domanda ricorrente…ma non l'ho ancora trovata! In realtà per caso.
Suonavo la chitarra in un gruppo di amici, un tributo ai Beatles. Tutti volevano
essere Lennon, così ho preso io il posto di McCartney. Dopo un po'
di anni un mio amico che suona il basso tuba mi ha detto:
"devi
studiare la musica seriamente, in Conservatorio". Ma non si poteva studiare
il basso elettrico, c'era il contrabbasso però…e ci siamo scoperti solo per caso…e
per non lasciarci mai! Una donna che lo suona è piuttosto raro, poi nella realtà
del sud dove sono nata e cresciuta, la Calabria, lo era ancora di più. Ma di questo
non avevo consapevolezza all'epoca, suonavo perché mi piaceva e basta.
J.I: Se tu dovessi definire
la tua tecnica ti potresti riferire a qualche bassista in particolare? A quale artista,
non necessariamente un musicista, ti ispiri?
A.M.: Non so definire la
mia tecnica. Cerco di attenermi alla tecnica generica, a quella da manuale. Personalizzo
tutto, plasmo tutto sulle mie mani e sul mio cervello! Lo semplifico a mia immagine
e somiglianza ma spesso il risultato risulta più complicato del normale…ma è mio,
mi viene naturale, è come il linguaggio, spesso mi prendono in giro perchè uso dei
termini "aulici", a volte fuori tempo e stile…ma sono fatta così. I miei miti…fonte
di ispirazione quotidiana…Jaco
Pastorius e
Marcus Miller
per quanto riguarda il basso elettrico. Ron Carter e
Ray Brown
per il contrabbasso, Duke Ellington il mio artista preferito! In questo periodo
ho ripreso a studiare…per l'ennesima volta…di solito al lunedì si inizia la dieta,
io inizio un metodo…Suono sempre ma studiare e suonare non sono sempre sinonimi.
Ai tempi del conservatorio studiavo anche per dieci ore al giorno. Quando inizi
a suonare in giro spesso purtroppo ci si trova a farlo in maniera meccanica, usi
clichè e "turnismi". Quando inizio ad annoiarmi di me stessa, a copiarmi
da sola capisco che mi sto ripetendo ed è il momento di cercare nuovi stimoli. Bisogna
studiare, sempre. Come bassista elettrico non ho una tecnica particolare, sono autodidatta.
Ho studiato e studio molto il contrabbasso, è uno strumento che non ti consente
di inventarti la tecnica, al limite di personalizzarla. Il contrabbasso richiede
molto studio: se non lo studi anche per soli due giorni, sei fregato, te la fa pagare!
Ho una cassettina che mi diede il mio maestro Ezio Pederzani, primo contrabbasso
della Scala. Un dono che faceva solo a pochi eletti perché contiene la sua tecnica.
C'è la sua voce che passo dopo passo mi accompagna per un‘ora nello studio. Parte
con un campanellino, poi lui che dice: "allora adesso iniziamo: dieci minuti
di trilli 1-3 poi dieci minuti di trilli 1-4, su tutte le corde, spostandosi di
mezza posizione". Quando si arriva in fondo…col fiatone e le dita gonfie…che
sensazione di benessere! Un lavoro estenuante ma, al contempo, entusiasmante; e
poi la voce del maestro come fosse ancora seduto in cattedra accanto alla finestra
a guardarmi, lo sento vicino, che respira o che fuma.
J.I: Dal punto di vista
didattico, quindi, chi ti ha lasciato un segno?
A.M.: Sono stata sempre molto
fortunata da questo punto di vista. Nel mio percorso di formazione ho incontrato
grandi maestri. Ho iniziato con Rino Zurzolo che mi diceva: "devi fare
mezz'ora di arco e mezz'ora di pizzicato". Zurzolo mi ha insegnato una
visione della musica a 360 gradi. Pederzani, sicuramente, il rigore dello
studio…anche se ero un po' la pecora nera della sua classe perchè studiavo la classica
ma facevo già jazz. Il primo giorno che mi sono trasferita nella sua classe da un
altro Conservatorio mi ha detto: "Sai che Toscanini non voleva donne in
orchestra? Suonami una scala e poi vediamo se puoi entrare in classe". Suonai
una scala di SOL vibrante di terrore! Ma sono diventata una sua allieva. E poi
Enzo Lo Greco, che mi ha insegnato il mestiere del bassista, mi ha insegnato
gli stili e come approcciarmi diversamente a questi. I suoi consigli sono stati
e sono tutt'ora preziosi. Riccardo Fioravanti, altro musicista che mi ha
insegnato tantissimo. Così come Attilio Zanchi con cui condivido un progetto
di tre contrabbassi.
J.I: Quindi sembra di
capire che non esista un percorso didattico univoco. Bisogna diffidare un po' di
un unico punto di riferimento come può essere una scuola…
A.M.: Diffidare della scuola
no. Soprattutto adesso che vi è una scelta di scuole molto varia e d'estrema professionalità.
Bisogna solo stare attenti a non rimanere ingabbiati. Il lavoro del musicista è
un'altra cosa e si impara solo sul campo.
La
bravura di un musicista, così come fanno i grandi, è di riuscire a farsi capire
e allo stesso tempo di capire. Il bassista deve riuscire a interpretare il ruolo
che sta ricoprendo ogni volta in mille situazioni diverse, scegliere le note e il
modo più giusto sia se sta accompagnando un attore (così come avete sentito nelle
prove) che un cantante o un altro strumento. Alcune volte anche a me viene voglia
di scappare, di uscire fuori dalla griglia. Ma non è così. Bisogna essere professionisti.
J.I: Se dovessi salire
sul palco adesso: la prima cosa che ti verrebbe in mente di suonare quale sarebbe?
A.M.: ...(ci pensa un po')
America di
Jaco Pastorius.
In questo periodo mi trovo spesso a suonarla, da sola a casa, quando mi siedo e
prendo in mano lo strumento, è il primo pezzo che mi viene in mente…forse Jaco mi
sta mandando un segno!
J.I: Attraversi, con
estrema facilità ed abilità, generi musicali e artistici in generale: dal pop al
jazz passando per il cabaret: c'è un genere che senti "tuo"?
A.M.: Il genere che io sento
è il jazz. Non solo come musica, il Jazz è uno stile di vita. La ricerca delle note
più belle me l'ha insegnata il jazz che sembra assoluta libertà pur essendo invece
un codice ben definito. Io suono sempre jazz, anche se suono i Red Hot, anche
in tour con Ron suonavo jazz!! Le canzoni non erano standard ma il mio modo
di pensarle lo era!
J.I: Hai dedicato una
sezione del tuo sito a Cucina e Musica, per quale ragione? Quali sono gli elementi
che congiungono queste due arti?
A.M.: Apro il frigo ed
invento. E devo dire che ciò avviene con un certo successo! Ma anche la creatività,
il coraggio di accostare i sapori. Le soluzioni troppo estreme…come nella musica,
non mi piacciono. Ad esempio, non accosto mai il dolce con il salato. Lo so che
si fa ma a me non piace! Fondamentalmente cucino solo quello che mi piace. L'abbinamento
con il jazz è sicuramente nell'improvvisazione. Ogni pezzo, seppur suonato 1.000.000
di volte, appare sempre diverso. Così è anche per la cucina. Ogni ricetta seppur
seguita alla lettera non verrà mai uguale 2 volte di seguito…è una strana legge,
il perchè non lo so ma è così.
J.I: Se potessi cosa
prepareresti ora? E con cosa lo abbineresti?
A.M.: Spaghetti al peperoncino
calabrese, profumati con l'origano, l'aglio e il prezzemolo tagliato finemente.
La musica? Mah, sai che …forse accenderei la radio…
J.I: Nell'ambito della
descrizione dell'Antonella Mazza Jazz Machine si dice: "i giovani amano ancora
il jazz in quanto linguaggio e allo stesso tempo mezzo espressivo libero da condizionamenti
temporali". E' proprio vero che i giovani amano il jazz? Ed è vero che sia un mezzo
espressivo libero da forme di condizionamento temporali?
A.M.: Questa più che un'affermazione
è un urlo di speranza. Il jazz è un grande mezzo espressivo. Purtroppo i giovani
non amano il jazz come potrebbero perché non hanno troppo modo di conoscerlo, di
toccarlo, di sentirlo. Ai musicisti direi che dobbiamo fare qualcosa per attirare
i giovani. Mi ricordo al Festival di Rimini, un qualche tempo fa, suonavo con
Lino Patruno.
Osservavo tra il pubblico, il "mio" pubblico e vedevo che l'età media era dai 60
anni in poi e mi sono chiesta: se continua così, tra dieci, quindici anni non avrò
più pubblico.
Chi
verrà a vedere il jazz quando questa gente non ci sarà più? Perché i giovani non
vengono? Da un po' di anni impazza la moda del chill out,del lounge,
St Germain ha recuperato i cataloghi di grandi del jazz, usato campioni e
riff di grandi artisti pulendoli dalla patina del tempo per restituirli alle orecchie
di un pubblico vasto. Fa sempre impressione sentirsi dire che
Cantaloupe Island è la
pubblicità di un orologio o un rap…ma cosa volete che vi dica…l'importante è che
se ne parli...
J.I: Le Fil Noir,
gruppo esclusivamente al femminile. Trovi sia meglio suonare con e tra donne che
con gli uomini? E' una scelta d'immagine?
A.M.: E' una scelta d'immagine
molto spesso, anche se con Le Fil Noir ho trovato delle compagne di ottimo
livello, suoniamo del jazz e l'immagine, in questo genere, non serve a molto. Certo
è difficile mettere d'accordo tante donne, i maschi fanno più gruppo, invece nelle
donne c'è maggiore gelosia ma noi oramai noi ci conosciamo da anni e siamo prima
amiche e poi colleghe! In ogni caso, potendo scegliere preferisco suonare coi maschi…guidano
la macchina sempre loro, mi danno una mano a scaricare l'amplificatore, sono gentili…
:-))
J.I: Sei stata aiutata,
in ambito musicale, dal fatto di essere donna?
A.M.: Si, sicuramente sì. Per
la curiosità che ho sempre sollevato. In alcuni casi la femminilità però è anche
un'arma, vieni sì molto più facilmente notata…però bisogna stare molto attenti,
a volte la luce dei riflettori brucia. La gente è più incuriosita dalla donna rispetto
ad un uomo. Ma è anche molto più critica. Il pubblico è il nostro sostenitore ma…quanta
fatica prima di conquistarlo! In ogni caso, uomo o donna, la musica è un mestiere
difficile e si vince sulla distanza! Di tutti quelli con cui ho iniziato… non siamo
rimasti in molti! Ci si perde per strada, è un mestiere duro e il tempo è il miglior
giudice, al di là degli aspetti tecnici o dell'immagine serve qualcos'altro, quel
certo non-so-che che faccia la differenza.
J.I: Quale libro stai
leggendo?
A.M.:
La Profezia di Celestino
di James Redfield. Un libro che mi ha affascinato. Il significato delle combinazioni
mi intriga. "Quando credi che sia una combinazione non è mai una combinazione".
L'ha detto Dylan Dog…
J.I:
Quali sono i tuoi progetti futuri?
A.M.: Sto suonando nel tour
estivo di Bertolino e collaborando con un giovane cantautore che si chiama
Seba, ne sentiremo sicuramente parlare. Scrivo per una rivista che si chiama
InSound una rubrica che si chiama Music & the City in cui racconto
un po' la vita del musicista in una città come Milano. Sono una fan sfegatata di
Sex & the city…E' una rubrica che mi ha consentito di aprirmi a nuovi orizzonti
creativi e devo dire grazie a Piero Chianura che ha visto in me, dietro le
paillettes e i calli sulle dita anche qualcos'altro! Il mio PINK TRAIN è
da poco partito, un quartetto che rilegge classici del jazz con rinnovata curiosità,
speriamo a breve di riuscire a fermare su vinile (…nostalgica…) questo nostro momento…E
poi ho in programma un viaggio…anzi due…vi racconterò del primo già a settembre…
J.I: Squilla il telefono
e ti chiede di collaborare…devi partire immediatamente lasciando questa tournèe…Per
chi lo faresti?
A.M.: Non lo so. La mia regola
etica mi impone che la serata e gli impegni presi sono sacri. Forse solo se mi chiamasse
Prince oppure
Mike Stern.
Sai che una volta mi ha anche telefonato! L'ho incontrato in aeroporto a Malpensa,
tornavo da Shangai col basso in spalla, lui era lì, con l'espressione un po' vagante,
gli avevano smarrito i bagagli, tutti i case con la strumentazione. Gli ho dato
una mano con l'impiegata scortese cercando di farle capire chi aveva davanti e mi
sono offerta di lasciare il mio numero come contatto italiano. Quella sera, mentre
ero in studio, squilla il cellulare: "Hi Antonella, I'm
Mike Stern".
Mi ha invitato al
Blue Note dove suonava la sera successiva. Al
Blue Note
l'indomani non volevano farmi entrare, non credevano dovessi andare da lui,
poi è arrivato a salvarmi dall'imbarazzo, bellissimo,…mi ha salutata come fossi
una sua grande amica, mi ha fatto entrare tra l'incredulità della gente…è stato
molto divertente!
All'uscita dal teatro, cominciano oramai ad arrivare i primi spettatori
di un probabile sold-out...Grazie per la bella conversazione e un grosso augurio
che questa grande curiosità sia sempre fautrice di nuovi stimoli e perduri nel tempo.
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Data pubblicazione: 07/08/2006
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