Geoff Dyer
Natura morta con custodia di sax
Einaudi 2013
" Sappiamo tutte le storie ed i fatti, le circostanze narrate e rinarrate diecimila
volte. …Le vite dei jazzisti sono come le vite dei santi: agiografia. Puoi trovare
errori, buchi, imprecisioni: difficile imbattersi una vera sorpresa o nel brivido
di un imprevisto sconcertante." Scriveva cosi, giustamente, Vittorio Giacopini
in una delle prime pagine del suo bel romanzo del 2009 " Il ladro di suoni". In
effetti tutto, e già da tempo, pare essere stato scritto sulla leggenda del jazz.
Eppure la leggenda è ancora viva: palpita ancora. Ed un libro scritto nel 1991 e
pubblicato in Italia vent'anni fa appare ancora oggi tanto attuale e coinvolgente
da meritare una riedizione. Il lavoro di Geoff Dyer non vuole assolutamente aggiungere
nuovi elementi alle turbolente biografie di Lester Young, Thelonius Monk, Bud Powell,
Ben Webster, Art Pepper, Charles Mingus e Chet Baker (a cucire le storie
sono alcuni sketches dedicati al Duca ed al suo baritono-autista Henry Carney-
colti in un viaggio imaginario nella grande notte americana). Lo scrittore inglese,
più semplicemente, si immerge in quelle vite oscure per rielaborarle, rileggerle.
E ‘una reinterpretazione la sua, una rielaborazione di temi biografici e poetici
che per i cultori del jazz sono diventati quasi degli standard. " Per tutto il
libro – scrive l'autore -mi sono proposto di presentare i musicisti non com'erano
ma come me li immagino e, ovviamente, fra le due versioni può esserci un abisso:
più che descrivere i musicisti in azione, ho cercato di proiettare a ritroso di
trent'anni - fino al momento in cui la loro musica fu concepita - la mia esperienza
di ascoltatore contemporaneo».
La rilettura, a distanza di due decenni, è sicuramente una bella esperienza. La
prosa di Dyer è magnifica, ricca come un grande assolo. Le metafore e le similitudini
che affollano quasi ogni singola pagina non sono mai gratuite e fuori luogo. Il
jazz, in fin dei conti è una musica che suggerisce continuamente nuovi scenari,
rimanda sempre a qualcos'altro, si confronta continuamente con l'ambiente circostante.
Ha bisogno, per essere raccontato letterariamente di una scrittura immaginifica
e destabilizzante. Quella di Dyer lo è. In ogni caso Natura morta non è solo
un opera narrativa. E' ricca anche di giudizi critici illuminanti, come quello sull'arte
di Chet Baker "Il dolore, non c'entrava. Era soltanto il suo modo di suonare. Il
suo talento promise sempre più di quanto non avesse potuto mantenere……anche se non
avesse mai visto una siringa in vita sua."
Da leggere con entusiasmo è anche la nuova sezione del libro, non presente nell'edizione
del 1993, un saggio sul legame indissolubile e imprescindibile fra innovazione e
tradizione.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 02/11/2013
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