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Alyn Shipton
Nuova storia del jazz
Einaudi 2011 Pagine 1149 – euro 50, 00
La copertina lo presenta bellamente: è Eric Dolphy che troneggia, sax alla
mano e ispirato, doloroso. E' una foto del 1964
scattata a Bologna, si legge nella didascalia che la correda all'interno del libro,
con anche altre belle foto. Foto che sono una manciata (nella giusta misura, però)
rispetto al consistente corpus del libro scritto da Alyn Shipton, critico musicale
del Times e conduttore di programmi radiofonici per la BBC. Uno che la materia la
conosce a dovere e che si cimenta in un'opera pur sempre titanica: scrivere una
storia del jazz. Che, al di là di ciò che alcuni puristi ritengono, è sempre un
lavoro meritorio, perché divulga una musica che, dati alla mano – almeno in Italia
– annaspa un pochino in termini di pubblico. Da tenere in conto che è la seconda
edizione, ma la prima che approda in Italia ed è tradotta da Daniele Cianfriglia,
Chiara Veltri e Vincenzo Martorella, che ha meritoriamente arricchito il già corpulento
scritto con un saggio sul jazz in Italia (intrigante il titolo: "Il saltarello del
cannibale. Temi, paradossi, lampi di genio e storia all'incontrario di un secolo
di jazz italiano") e con un sempre utile glossario. La scionta di Martorella è tanto
puntuale quanto necessaria, in virtù del fatto che Shipton non dà alcun cenno al
jazz nostrano, per mancanza di spazio e di effettiva conoscenza, almeno vogliamo
credere. La struttura del libro è manualistica, ma non lo è il linguaggio, la narrativa
sempre opportunamente discorsiva e mai grigia, o criptica per i meno avvezzi alla
prosodia e alla terminologia della musica afroamericana (che in alcuni casi, la
conoscenza è data per scontata). Dalle Alpi alle Piramidi c'è tutta la storia del
jazz e dei suoi protagonisti: dalle piantagioni al jazz postmoderno, con spazi anche
per i segmenti europei, asiatici e latini.
Shipton contestualizza a dovere il piano storico con quello musicale, senza calcare
la mano e badando bene a dare un senso dinamico alle vicende che si affastellano.
Così come tratta, sempre senza discettare in pompa magna, sul recording ban
dell'AFM (la federazione americana dei musicisti) del 1 agosto 1942 e ritagliando
un prezioso cammeo sul piano meccanico, così come sulla registrazione sonora. Sembra
non tralasciare nulla, anche se le omissioni in un'opera di tal fatta sono inevitabili.
Ad esempio coacerva il canto jazz in un solo capitolo che laconicamente denomina
"il canto jazz dopo il 1950", incassettando in una trentina di pagine una forbice
temporale piuttosto ampia, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Mel Tormé,
Helen Merrill, Carmen Mcrae, Betty Carter,
Nina Simone
(solo per citare qualche nome), il vocalese, la libera improvvisazione e per giungere
ai giorni nostri. Lo stesso trattamento dedica al pianoforte, la cui evoluzione
parte dalla seconda guerra mondiale per approdare a
Martial Solal
e Joanne Brackeen. Ma, probabilmente, questa sintesi è uno scotto che si
deve pagare per raggiungere quella necessaria compatezza d'idee che il libro rivela.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 09/07/2012
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