Daniel J. Levitin
Il mondo in sei canzoni
Codice edizioni, 2009
Un libro dove non si parla di jazz, di rock o di classica in particolare. Il lavoro
di Daniel Levitin ha la pretesa (riuscita) di indagare tutta la musica prodotta
dall'uomo. Mentre nel precedente lavoro, Fatti di musica (Codice edizioni, 2008), Levitin trattava i meccanismi che portano
una canzone a installarsi come un programma –o un virus- nella nostra testa, qui
il discorso si fa ancora più ambizioso e va a sviscerare quelli che -fin dall'alba
dell'umanità- costituiscono gli archetipi del comportamento umano in relazione all'attività
musicale. Per far questo introduce una innovativa "teoria delle sei canzoni". Amicizia,
gioia, conforto, conoscenza, religione, amore: sei tipologie di brani che hanno
plasmato nel corso dei millenni la natura dell'uomo.
Daniel Levitin, psicologo cognitivo e un neuroscienziato che oggi insegna presso
la McGill University di Montreal, possiede un solido background alternativo come
chitarrista rock, compositore e arrangiatore. Per questo libro si è confrontato
con gli studi di settore e, insieme, fedele ai propri trascorsi, con calibri del
pop come Sting, Joni Mitchell, David Byrne e Paul Simon.
Levitin pesca gli esempi per dimostrare le sue teorie, a volte complesse, tra i
brani pop/rock più celebri dagli anni Sessanta ad oggi; gli stessi che hanno condito
(e condizionato) la sua esistenza, come la nostra, stabilendo con il lettore una
forte base comune di esperienze.
Nel suo lavoro fa cortocircuitare analisi cerebrali, storia recente, indagini antropologiche,
note sociologiche e altri saperi multidisciplinari per dimostrare che siamo individui
cantanti ancor prima che parlanti.
Discorsi che raggiungono l'essenza intima dell'uomo, i suoi processi mentali profondi,
la chimica del corpo; che affondano nel DNA dell'individuo, nella sua evoluzione,
tirando in ballo i tempi lunghissimi della storia millenaria.
Gli esperimenti, condotti ascoltando un pezzo musicale gradito all'orecchio, dimostrano
in quale modo si attivino le stesse aree neuronali e si scatenino i medesimi processi
chimici generati dalle esperienze di piacere intenso, come si provano per un cibo
appetitoso o per il sesso. Al centro ci sono la dopamina, l'ossitocina. Questione
di sostanze, più che di "sentimenti". Oppure ancora di un tutto più consistente
della somma delle parti. E l'autore conclude dimostrando l'importanza sociale della
musica per la comunità umana, su basi profondamente diverse rispetto a quelle abituali
negli studi di storia della musica o di sociologia.
Ritengo che siano stati proprio il canto e il movimento sincrono e coordinato
a creare i più forti legami tra i primi umani, o proto-umani, e che grazie a ciò
i nostri antenati siano poi giunti alla formazione di comunità più numerose, fino
alle società come le conosciamo oggi.
Molti sono i passaggi in cui l'indagine di Levitin tocca aspetti vitali della musica
nera come la pratica nella canzone religiosa del canto asincrono responsoriale,
che copre generi che vanno dal gospel al jazz, a tutta la black music (call and
response), per arrivare al pop contemporaneo.
Oppure in quest'altro esercizio di uso comune: i musicisti jazz citano la musica
altrui continuamente, un trucco che hanno preso in prestito dai grandi compositori,
inclusi Haydn e Mozart, che incorporano parti di altre composizioni nelle proprie.
Lettura da meditazione.
Franco Bergoglio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 06/01/2011
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