Troviamo brevi racconti di vita, immagini, sensazioni, nelle dieci tracce
che compongono "Sumar", primo lavoro
solista di Stefano Savini, chitarrista di spiccata eccentricità musicale,
in cui diverse convivono formazioni ed esperienze musicali diverse, originando sovente
una particolare espressione stilistica che caratterizza le sue composizioni.
Nell'album, da lui interamente composto ed eseguito,
facile è percepire un senso di allontanamento rispetto l'idea del cosiddetto
genere musicale, inteso come mera limitazione espressiva.
Numerose a questo proposito le intenzioni, ora jazzistiche, ora classiche,
sino ad arrivare ad influenze tipicamente contemporanee, non solo riferite ad un
punto di vista prettamente compositivo, ma caratterizzato della stessa scelta nell'utilizzo
di strumenti elettronici quali sintetizzatori o drum loops. Secondo la scelta
l'artista indirizza il proprio viaggio creativo in spazi profondamente autonomi
ed individuali, libero di raccontarsi e raccontare.
Palese esempio di quanto accennato è la breve titletrack "Sumar",
nell'intenzione di rappresentare un netto punto di frattura rispetto alle sobrie
e ben calibrate armonie presenti nel cd.
Qui la linea melodica di Savini si introduce distorta,irregolare,
traendo ispirazione da una sorta di impetuoso moto interiore, rigettando note come
dissonanti escursioni.
Indicativa in tal senso è "L'ora", brano
che si intrattiene inizialmente tra sonorità caute, scure, di un disegno non privo
di nitidezza, ma forse è questa stessa che inquieta. E sopra perpetui giri di accordi,
lentamente si schiude una lirica leggera, nostalgica, via via sempre più energica,
sino a creare una scissione sempre più marcata all'interno della traccia stessa,
segnata da una continua ascesa a cui l'autore preferisce non dare una fine, bensì
una scia.
Il complessivo disegno armonico,infine, può apparire frammentario, eterogeneo,
nel momento in cui si percepisce ogni brano come chiuso in sé dalla propria univocità,
dal proprio perché; o a causa d'un dinamismo instabile, espresso talvolta in ostinata
macchinosità, talvolta in momenti di fisica semplicità, dove al piano o chitarra,
non seguono altri.
Diversamente apparirebbe, se accettassimo di sentire il tutto come simbolica
rappresentazione di umane emozioni, nel loro alternarsi, contraddittorie, nella
propria voluttuosa natura.
Fabrizio Ciccarelli e Daniel Bologna per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 05/09/2009
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