DOMENICA 25/05/25 ORE 18 (2/6 ore 18 in caso di maltempo) Lo spettacolo "Il Mare scomparso e il Drago" è il secondo appuntamento del Festival "Musica Altra" 2025 giunto alla sua terza edizione che si fa contenitore di proposte originali ed incentrate sull'improvvisazione. Il Festival è organizzato dall'Associazione musicale "Consorzio Concorde" di Crema con sede in Via Cappuccini 30, sotto la direzione artistica di Sabrina Sparti e col Patrocinio del Comune di Crema e il sostegno di BCC Caravaggio e Cremasco, BCC Cremasca e Mantovana, Banca Popolare el Territorio. Quest'anno il Festival prende spunto da un progetto intitolato M.I.M. Memoria, Immagine, Musica, che, attingendo dal patrimonio letterario popolare locale, si prefigge lo scopo di creare performances dove la leggenda viene rivisitata e proposta in una forma sperimentale e contemporanea che coinvolge diverse arti. Lo spettacolo "Il Mare scomparso e il drago" è una performance pluridisciplinare con accompagnamento musicale estemporaneo arricchito da una parte visuale e dalla partecipazione di un coro narrante, una danzatrice e tre attori. I testi sono di Sabrina Sparti e le musiche improvvisate del gruppo "Nuances" (Luca Pedeferri alla tastiera, Fausto Tagliabue alla tromba e flicorno, Mauro Gnecchi alla percussioni, Gabriele Orsi alla chitarra e live effects, Sabrina Sparti alla voce) alle voci narranti Nicholas Taffettari, Andrea Ghidini, Massimo Greco, Sabrina Sparti e il coro femminile Calliope, la coreogra ed esecutrice della danza è Maruska Marulyn Ronchi. La regia è di Massimo Greco di Emisferodestroteatro di Cassina de Pecchi. Lo spettacolo "Il Mare scomparso e il Drago" si ispira alla leggenda del Lago Gerundo e del Drago Tarantasio che abitava le sue acque. L'introduzione allo spettacolo sarà a cura di una delle figure più conosciute del panorama giornalistico nazionale, il pluripremiato giornalista Salvatore Giannella. INGRESSO LIBERO prenotazioni al 347 487 8945 info@consorzioconcore.it
Il giorno in cui il biscione-drago del lago Gerundo perse la vita ma conquistò l’immortalità di Salvatore Giannella Quella mattina Tarantasio si svegliò sul depresso. Lui, un biscione pacifico che viveva tra le paludi vaste e inospitali dell’antico lago Gerundo, s’era scoperto solo. Sì, proprio abbandonato da tutti gli altri biscioni (che quei seminatori di zizzania dei cronisti locali avevano definito “mostruoso drago” capace addirittura di inghiottire i bambini e dotato di un alito mefitico in grado di uccidere chiunque!). Erano andati via i suoi genitori (che lo avevano battezzato con quel nome strano prendendo spunto dalla frazione di Taranta di Cassano d’Adda). S’erano volatilizzati altri parenti o amici, loro avevano preferito puntare sulle acque meno acquitrinose dell’Adda, altri che avevano puntato sul Serio facendosi portare dalla corrente chissà dove, altri ancora (suoi parenti) aveva preferito puntare sul Molgora e sui piccoli borghi su palafitte nati sulle rive di quel torrente, altri ancora sui boschi tra la Bergamasca, il Lodigiano, il Cremasco e l’Est Milanese: insomma, per la prima volta Tarantasio aveva paura. Come fare per sopravvivere alle battute di caccia organizzate quasi ogni giorno dai nobili lombardi? Ormai lui aveva imparato a distinguere con occhio sicuro gli incursori venatori provenienti a cavallo o quelli che utilizzavano, per solcare le acque del lago, le piroghe monossili, imbarcazioni ricavate dallo scavo di un unico grande tronco d’albero (piroghe così belle che qualcuno lè aveva candidate a entrare meritatamente in un futuribile Museo civico di Crema). Poi per la prima volta s’era accorto, in quella giornata particolare, di avere dolori reumatici ai fianchi, effetto forse dell’aumento del freddo degli ultimi giorni che aveva reso l’acqua quasi ghiacciata: si trovò a pensare del singolare paradosso che il Gerundo, retaggio del ben più vasto Mare Padano che copriva tutta l’attuale pianura Padana, da una parte rappresentava fonte della vita e della salute e dall’altra l’origine di malattie e morte. Morire: per la prima volta a Tarantasio questa prospettiva non faceva paura. Che cosa valeva continuare a vivere da solo, lontano da parenti e amici, e tormentato dai dolori alle costole e con la stampa contro? Lentamente nella sua mente fertile s’avanzò un piano: un progetto a lungo termine, ma decisamente fruttifero. Diventare immortale, morire in modo tale da rimanere vivo nell’immaginazione di adulti e piccini dei prossimi millenni. Fu così che, quel pomeriggio del 31 dicembre del 1299, quando vide arrivare in quel di Calvenzano il gruppo dei cacciatori milanesi guidati dal capostipite della famiglia Visconti, Uberto, non scappò e non si mimetizzò tra foglie e fondo paludoso, quel nascondiglio che gli aveva assicurato fino ad allora la sopravvivenza. S’avanzò, senza aggressività, in direzione dei lancieri di Uberto. Giunto a pochi metri dal di lui cavallo, diede al cacciatore il suo ventre, quasi immolandosi. Il colpo della lancia di lui non gli provocò un dolore maggiore dei reumatismi che lo tormentavano. Quella sera, a palazzo Visconti, nel centro di Milano, il biscione divenne una delle voci del menù di Capodanno dei nobili locali. E Uberto cominciò a raccontare ai presenti la strana sensazione avuta dall’incontro con il cosiddetto drago del Gerundo. Un’emozione così intensa, spiegò agli allibiti conviviali, “che aveva deciso di usare proprio Tarantasio, quel Biscione ingiustamente denigrato, quale simbolo della sua casata e di Milano tutta. Lo ritroveremo nello stemma della squadra di calcio dell’Inter e anche sul logo della Fininvest e dell’Alfa Romeo. Ma anche negli stemmi di 70 Comuni tra i quali Brignano, Misano, Castel Rozzone e Pagazzano. C’è chi dice abbia addirittura ispirato, per via dei gas metano che emanava il territorio da lui battuto. anche il cane a sei zampe dell’Eni. Sì, l’ultimo biscione-drago, ricoperto di scaglie e corna, aveva visto giusto. Con il suo sacrificio, avvolto dalla favola mescolata con la storia, a partire dal primo giorno dell’anno 1300 e ben prima dell’innamoramento dei criptozoologi per Nessie, il mostro scozzese di Loch Ness, aveva cominciato il suo programmato, eterno viaggio nell’immortalità.
Le leggende rappresentano specchi nel cui riflesso l'umanità cerca risposte a domande infinite che si ripropongono senza soluzione. I racconti mostrano le nostre inquietudini, le nostre paure, le nostre speranze, rappresentano la volontà di dare a tutti i costi una soluzione a ciò che non ce l'ha, una conclusione a ciò che è perpetuo. Le leggende hanno vite lunghissime come il persistere e il ripetersi delle inquietudini umane.
Nello spettaccolo una voce femminile, una donna, in qualità di depositaria del racconto, ossia colei che nei secoli ha avuto il compito di "passare" la memoria della collettività alle generazioni più giovani, si interroga su quesiti universali e chiede al drago di darle risposte, risposte che arrivano sotto forma di domande come l'immagine di uno specchio che si riflette in uno specchio, in un dialogo senza conclusioni, ma che porta a profonde riflessioni su ciò che è l'animo umano.
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