New Colours Festival Gelsenkirchen, 8-11 settembre 2022 di Vincenzo Fugaldi
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Prima edizione del festival organizzato da Susanne Pohlen
e Bernd Zimmermann, che nella città del Land della Renania Settentrionale-Vestfalia
risiedono e che, con determinazione ed entusiasmo, hanno dato vita a una nuova realtà
in un territorio sino ad alcuni decenni addietro caratterizzato dalla presenza di
numerose miniere di carbone e di impianti siderurgici. Oggi alcuni di questi spazi,
abbandonati per cessata attività, sono stati riconvertiti in inusuali e suggestivi
luoghi per attività culturali. Così, la miscela di spazi insoliti e gradevoli, la
cornice organizzativa trasudante passione, competenza, gioia di fare, le scelte
artistiche diverse, variegate, comunque mai meno che interessanti, hanno garantito
il successo di un festival premiato da un buon numero di spettatori.
L'inaugurazione, presso la ex miniera Stadt.Bau.Raum, ha visto sul palco la presenza
del quartetto Purple is the Color, guidato dal pianista austriaco Simon Raab, con
tre musicisti della Repubblica Ceca, Štepán Flagar al tenore e soprano,
Martin Kocián al contrabbasso e Michal Wierzgon alla batteria. Un
gruppo di trentenni che si è costituito nel 2016 e ha due dischi all'attivo per
etichette viennesi («Unmasked» del 2017 ed «Epic» del 2020), e mostra in concerto
un notevole affiatamento, eseguendo gradevolissime composizioni originali in buona
parte dovute alla penna del leader, complesse, ricche melodicamente e armonicamente,
che hanno offerto ampi spazi per tutti i componenti in un set apprezzatissimo.
In un luogo se possibile ancor più suggestivo, all'undicesimo piano della Nordsternturm,
una torre mineraria di 88 metri con sopra un'enorme statua raffigurante Ercole,
lo sloveno Kristijan Krajncan, violoncellista, batterista, compositore, ha
presentato i brani del suo recentissimo disco in solo «The Mountains Roared»,
dedicato al folclore della sua terra e alla mitologia. Krajncan ha mostrato le sue
doti strumentali, con un uso percussivo del violoncello, con effetti di eco, con
riferimenti e profumi minimalisti, etnici, classici, un pathos di fondo sempre presente,
mostrando nei brani più classicheggianti una tecnica adamantina, facendo anche a
tratti uso di una loop station e del violoncello preparato. Alla batteria
e alle piccole percussioni è stato essenziale, senza inutili virtuosismi, alla ricerca
di colori e sfumature.
Nella sede principale del festival, il cinquecentesco Schloss Horst, più antico
monumento cittadino, la prima parola è andata a Kid Be Kid, una giovane berlinese,
con un set di matrice neo soul e hip hop, nel quale ha evidenziato la versatilità
delle sue doti vocali e la padronanza del pianoforte e delle tastiere, interagendo
con il pubblico, mentre il secondo set era affidato al cantante e trombettista
Jeff Cascaro. Accompagnato da Billy Test al pianoforte, Stefan
Rey al contrabbasso e Hans Dekker alla batteria, Cascaro in Germania
è una star, come dimostrato dal gran numero di spettatori accorsi ad ascoltarlo.
Il suo concerto è stato coinvolgente, mostrando le sue grandi doti vocali e comunicative,
e la sua maestria come trombettista, ben spalleggiato da un efficace trio mainstream,
in un repertorio di canzoni di matrice soul jazz che ha affascinato l'intero uditorio.
Apprezzata anche la proposta fra ambient e minimalismo del pianista tedesco Kasar,
che ricordava a tratti Yann Tiersen. E ancora, nelle ore antimeridiane, l'ottima
prestazione del trio del pianista friulano Angelo Comisso, accompagnato da
Alessandro Turchet al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria. Comisso
è un pianista e compositore che ha realizzato diverse incisioni discografiche, alcune
a suo nome e altre con Markus Stockhausen,
Francesco Bearzatti,
la Zerorchestra. Il trio ha eseguito belle composizioni originali del leader, tra
le quali citerei almeno Whisper, e un brano di Astor Piazzolla.
In sostituzione della prevista Fischermanns
Orchestra, è arrivata la Brassholes Marching Band di Matthias Schriefl.
Il multistrumentista bavarese, accompagnato da un manipolo di fedelissimi, ha suonato
davanti al Museo d'arte di Buer, eseguendo brani di sua composizione, e alla Solawi
Lindenhof eseguendo dei classici del jazz tradizionale. In questo spazio, una caratteristica
fattoria, il pianista tedesco Roman Babik ha portato la sua band, normalmente
un quartetto, con l'aggiunta di altri tre fiati. Tutti insieme erano dunque:
Martin Giakonovski al contrabbasso, René Creemers alla batteria, Dimitrij
Markitantov alto e clarinetto, Ondrej Stveracek tenore, lo statunitense
Ryan Carniaux alla tromba, Ognen „Neni" Gjakonovski al trombone. Hanno
offerto un concerto strepitoso, una sorta di trascinante jazz balcanico venato di
soul, con una front line di fiati travolgente, sia negli insiemi sia negli assolo,
e una ritmica davvero centrata, in un set senza interruzioni all'insegna di un
groove contagioso, con momenti solistici di alto livello da parte di ciascuno.
Un altro spazio insolito ed estremamente gradevole, la scuola d'arte Kunststation
Rheinelbe, ha accolto il trio del contrabbassista Moritz Götzen, con Julia
Brussel al violino e Jonas Mersbach alla chitarra. Una proposta acustica, con la
chitarra elettrica appena amplificata, melodie delicate, buona interazione, tra
sfumature manouche, jazz tradizionale, atmosfere di matrice popolare e accennate
aperture verso approcci contemporanei.
Lo Schloss Horst ha ospitato anche il monumentale concerto in solo di Joachim
Kühn. Il gigante del jazz, che ne ha attraversato da protagonista di primo piano
alcune importanti fasi, ha offerto a Gelsenkirchen una prova da manuale, per la
perfezione assoluta del tocco, lo swing, le scelte di repertorio, da composizioni
originali a Ornette, a The End dei Doors, fino a una delicatissima Stardust
eseguita come bis a mo' di congedo. Un concerto memorabile, intenso e commovente,
che se fosse stato registrato sarebbe uno splendido disco dal vivo.
Finale presso l'auditorium della Heilig Kreuz Kirche, una ex chiesa in stile razionalista
dal notevole impatto architettonico. Grande musica dal trio Rymden (Bugge Wesseltoft-pianoforte,
Fender Rhodes e synth, Dan Berglund-contrabbasso e Magnus Öström alla
batteria ed elettronica). Attingendo al proprio ottimo repertorio, il trio ha ancora
una volta convinto per le suadenti sonorità, con l'alternarsi di Wesseltoft tra
i tasti dello Steinway, del Fender e i nostalgici suoni del synth, la forza del
contrabbasso di Berglund che ha fatto anche un parco uso del wah wah, la fantasia
dello stile percussivo di Öström. Uno splendido epilogo per un festival al quale
non resta che augurare lunga vita e successo.