L'America in bianco e nero di Lynne
Arriale La pianista con Jay Anderson e Steve Davis ha
trasformato in salotto il Fabula Club
Fabula Club, Salerno - 29 ottobre 2003 di Olga
Chieffi photo by Francesco Truono
Lynne Arriale, Jay Anderson, Steve Davis
La sezione canonicamente jazzistica del
Fabula Club di Antonio Mogavero, Over jazz e contaminazioni, ha avuto l'onore, quest'anno di essere stata battezzata da una delle maggiori pianiste del momento,
Lynne Arriale, la quale si è presentata al pubblico salernitano con la sua formazione d'elezione, in trio, con
Jay Anderson al contrabbasso e
Steve Davis
alla batteria, proponendo un percorso musicale di grande maturità, che ci ha rivelato un'artista capace di muoversi su coordinate aperte, ma insieme basate su di una solida esperienza e una profonda conoscenza storica.
Lynne Arriale ha eseguito buona parte dei brani inclusi nel suo ultimo lavoro e suo primo disco per la
Mòtema Music,
Arise, un'esplicita, ma contenuta arringa all'America di oggi, divisa tra luce ed ombre, un jazz che, certo, non strizza l'occhio a certa avanguardia, non è rivoluzionario, ma è circoscritto in confini decisamente tradizionali. Abbiamo ascoltato la splendida ballade
Esperanza, la corposa lezione bop di
Upswing, unitamente ad
American Woman, con il suo incipit drammatico, quasi sinistro, e
The Fallen, composizioni, in particolare queste due ultime ispirate da tutti gli eroi che hanno fatto grande questo "giovane" continente,
che peccano di
retorica, ma riescono a trarre ugualmente beneficio dal vasto repertorio di cui
è perfettamente padrona la Arriale, che spazia da Jobim a McCartney, da Monk a
Bacharach, da Silver a Walton, attraverso cui riesce bene a riattintare i suoi
classici soli.
Scaletta, questa proposta, indubbiamente piacevole, che ha previsto sinuose melodie e sviluppi che hanno accontentato un po' tutti i desideri dell'affezionato uditorio presente, tra cui numerosi musicisti della scena nostrana, che si è trovato di fronte ad un particolare tocco strumentale di estrazione classica, ad aeree escursioni armoniche, senza utilizzo di particolari effetti, né violenza espressiva. La Arriale ha emozionato attraverso piccole sottolineature, scelte espressive, tocco magistrale, fraseggio fluente, per mezzo del quale ha sfoderato la piena consapevolezza di sé, insieme con una perfetta padronanza dei propri mezzi, fino a rappresentare una specie di summa del pianismo moderno, classico e jazzistico.
Che la musica della Arriale sia sostenuta dal pensiero più che dall'istinto lo si è inteso sin dalla sua entrata, dal suo sedersi sulla panchetta del pianoforte, con una compostezza senza pari, confermato nelle eccellenti ballads, in cui ha ricamato una fine ornamentazione assieme al contrabbasso di
Jay Anderson, dal fraseggio puro e giocato nota dopo nota, quasi creando un microcosmo caro all'interpretazione barocca, e la felicissima batteria di
Steve Davis, regalandoci una straordinaria qualità di esecuzione, esaltata dalla freschezza sempre mantenuta vivissima, dalle soluzioni espressive, dalla perfetta combinazione di lucida razionalità e di poetico abbandono, in un miracolo di interazione dei tre musicisti, in un simpatetico,
ferace interplay, fondato sul piano cantante, dalle lunghe, flessibili linee melodiche. Un trio, questo, il cui procedimento creativo si basa su di una scelta estetica di improvvisazione collettiva, piuttosto che sul solito schema di un assolo dopo l'altro: un gioco sostenuto particolarmente dalla batteria di Davis, protagonista assolutamente alla pari, il quale con estrema parsimonia di gesti e figure è stato in grado di produrre una notevole varietà di colori e di situazioni, in particolare negli scambi di fours con il pianoforte, sempre, però, rigorosamente funzionali all'insieme.
In chiusura di concerto, hanno predominato soluzioni nate e "allevate" in ambito squisitamente jazzistico, sulle quali sono state tolte finalmente le briglie alla fantasia. Su queste tracce, la Arriale ha trovato il modo di scivolare con la sua raffinata eleganza, in un fluxus di idee in continua evoluzione nel loro sviluppo. E se la leader, lirica di gran razza, coniugante l'espressività con la bellezza della forma, con un senso ritmico palesato in modo sempre naturale, che sa catturare l'ascoltatore in modo delicato, è stata maiuscola, dal canto loro, Anderson e, in particolare, Davis, hanno saputo perfettamente assecondare la pianista, suggerendo e completando le sue architetture, ricche di luci, di segni, in una iridescente e caleidoscopica creatività, formante un mosaico affermazione di spontaneità, feeling, semplicità, in tempi in cui il linguaggio jazzistico diventa sempre più complesso e lo sviluppo di una diversa articolazione strumentale, l'affrontare strade nuove, deve anche poter significare non dover, ad ogni costo, cancellare i legami con un luminoso passato.
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Data pubblicazione: 09/11/2003
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