Aperitivo in
Concerto 2003/2004
7 Dicembre 2003
Il suono diverso
del jazz: "The Call"
di Paolo Treffiletti
Perry Robinson clarinetto
Henry Grimes
contrabbasso
Andrew Cyrille batteria
La
vicenda di Henry Grimes
non può che suscitare curiosità ed interesse per gli appassionati di jazz: musicista
di grande capacità ed intuito, Grimes ha suonato con molti dei migliori jazzisti
della scena newyorkese negli anni
'50
e '60,
affermandosi come uno dei migliori contrabbassisti per la sua capacità nel sintetizzare
sullo strumento le diverse facce del jazz di quegl'anni. Collaborazioni con Sonny
Rollins, Thelonious Monk, Benny Goodman,
Tony Scott,
Chet Baker, Art Farmer, per citare qualche nome, sottolineano lo straordinario talento
di Grimes come jazzista ortodosso, e quelle con Albert Ayler, Don Cherry, Pharoah
Sanders, Steve Lacy, Cecil Taylor, rappresentano al contrario, la migliore prova
dell'incredibile vivacità musicale e della modernità di pensiero e visione.
Finché si giunge al 1968, anno in
cui Grimes sparisce dalle scene, vende il suo contrabbasso, recide i legami con
amici e colleghi ed inizia a vivere ai margini della società, tanto che, già qualche
anno dopo, la notizia della sua morte circola tra i colleghi senza che mai nessuno
ne voglia prendere coscienza o ne ricerchi conferme ufficiali. Ma Grimes aveva solo
deciso di restare lontano da un mondo che non lo gratificava, da uno show-business
fatto talvolta di compromessi e momenti di sconforto: di certo non aveva abbandonato
la musica.
Già
perché a sentirlo oggi, a distanza di trent'anni, quasi non sembra vero che abbia
smesso di suonare per un così lungo tempo, vista la ancora ottima tecnica strumentale
e la concezione musicale, che resta sempre particolare ed interessante. Il suono
caldo e sporco richiama talvolta quello di due altri celebri strumentisti del calibro
di Charles Mingus e di Wilbur Ware, mentre l'incedere improvvisativo è più simile
a quello di un Ray Brown
o di un Oscar Pettiford. Ed è così che il pubblico ha potuto apprezzare al Teatro
Manzoni una musica mordente, vista la presenza di due partner notevoli come Perry
Robinson e Andrew Cyrille. Clarinettista di estrazione decisamente free,
il primo, batterista di alto spessore il secondo, hanno saputo conferire al concerto
maggiore sostanza.
Nonostante i brani presentanti fossero standard (tra i quali val la pena
menzionare " Dark Eyes"
e "These Foolish Things"),
la musica non è mai apparsa scontata; i tre hanno saputo fare buon uso delle dinamiche,
insistendo spesso sul pianissimo quasi a trasfigurare la vicenda umana di Grimes,
una voce che d'improvviso si fa flebile fino ad essere inascoltabile se non ci si
presta una particolare attenzione. Il senso del blues e della tradizione è emerso
preponderante negli ultimi tre brani lasciando spazio anche all'utilizzo di "effetti"
di sicura presa sul pubblico.
Ancora una volta la musica ha dimostrato che l'artista vero è colui che
ha il talento di esprimere se stesso, che possiede la capacità (innata) di mettersi
a nudo, di raccontarsi e di emozionare il pubblico, al di là di tutte le costrizioni
e le vicende che stanno attorno al mondo del jazz.
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Data pubblicazione: 08/12/2003
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