Forlì Open Music 11, 12, 13 ottobre 2019 ex Chiesa San Giacomo – Piazza Guido da Montefeltro – Forlì di Aldo Gianolio foto by Ziga Koritnik e Pietro Bandini
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Il F.O.M., "Forlì Open music", come a dire spazio alla musica
"aperta" e allo stesso tempo apertura alla musica "tutta", intendendo sia la musica
d'oggi che quella di ieri ma, di fatto, traducendosi (e distinguendosi) in uno dei
pochi festival italiani dedicati alla musica con connotati di radicalità, presenta
pervicacemente compositori e interpreti in genere tenuti lontani dai programmi concertistici
italiani. Per di più quest'anno la rassegna pensata e organizzata da Area Sismica,
giunta alla quarta edizione e svoltasi nella ex Chiesa di San Giacomo (ottima acustica,
sia per un efficace pannellaggio assorbente, sia per l'eccellente lavoro dei tecnici
in fase di amplificazione e riproduzione del suono), ha incorporato il nono Festival
di Musica Contemporanea Italiana.
Il fitto programma di due giorni, 12 e 13 ottobre (tre considerando
quello di apertura di venerdì 11, dedicato alla presentazione del bellissimo libro
di fotografie di Ziga Koritnic "Cloud Arrangers" con parallela mostra
delle più rappresentative immagini lungo le pareti della navata della chiesa), ha
presentato soprattutto musica "dotta", chiamata anche "colta", o da qualche parte
"forte" (distinzione con la musica "leggera" o "d'intrattenimento" che sino al XIX
secolo sarebbe stata giudicata totalmente insensata e ci sarebbe da chiedersi il
perché di tale mutamento), con opere di Giacinto Scelsi ("Quartetto n.4"), Fausto
Romitelli ("Natura morta con fiamme") e Mauro Lanza ("The 1987 Max Headroom Broadcast
Incident") eseguite dal Quartetto Maurice; di Mario Bertoncini ("Tune") e
Lorenzo Pagliei ("Polaris") eseguite dal trio Zaum Percussion; di Marco Stroppa
(alcune "Miniature Estrose") eseguite da Erik Bertsch al pianoforte; di Sylvano
Bussotti ("Il Nudo", "Attacca subito" e "Lachrimae") eseguite da Monica Benvenuti
al canto e Francesco Giomi alla elettronica; di Stefano Scodanibbio ("Terre
Lontane") eseguite da Fabrizio Ottaviucci al pianoforte (precedute dalla
presentazione di Mario Gamba del libro dello stesso Scodanibbio "Non abbastanza
per me. Scritti e taccuini").
Questo per quello che riguarda la contemporanea.
La classica invece con opere di Jean-Philippe Rameau, Charles-Valentin Alkan e Franz
Liszt interpretate da Jacopo Fulimeni al pianoforte; Wolfgang Amadeus Mozart
e Nikolay Rimsky-Korsakov dal Piano & Wind Quintet.
Per la musica improvvisata radicale ci sono state due esclusive:
il 12 con il chitarrista Joe Morris, in solo (al cui concerto non abbiamo
assistito), e il 13 con il Large Unit del norvegese Paal Nilssen-Love,
uno dei gruppi di free jazz europei più attivo (assieme al Fire! di Mats Gustafsson's),
con alle spalle centinaia di concerti all'anno, ma che in Italia ha avuto spazio
solo grazie ad Area Sismica.
Il Large Unit è composto, oltre che dal leader alla batteria, da altri quattordici
elementi, perlopiù belgi e scandinavi: Andreas Wildhagen, che lo raddoppia
alla batteria, Thomas Johansson alla tromba, Mats Äleklint al trombone,
Kristoffer Alberts al sax alto e tenore, Signe Emmeluth al sax alto
e flauto, Hanne De Backer al clarinetto basso, Per Åke Holmlander
alla tuba, Kalle Moberg alla fisarmonica, Ketil Gutvik alla chitarra
elettrica, Tommi Keranen alle elettroniche, Jon Rune Strøm e Christian
Meaas Svendsen ai contrabbassi e bassi elettrici, Celio Decarvalho alle
percussioni e Christian Brynildsen Obermayer al cosiddetto "sound design".
La forza, l'energia e la potenza del suono e dell'espressione
si sono riscontrati in ogni momento della lunga performance essendosi percepiti
netti in ogni situazione dinamica, sia nei fortissimo che nei pianissimo.
Il pezzo unico che ha unito vari episodi senza soluzione di continuità è cominciato
con le due batterie che insieme hanno aggredito con veemenza prepotente e frenetica,
per dare spazio subito dopo a una lunga serie di duetti o trii composti da sempre
differenti strumenti, più pacati ma ugualmente innervati di fuoco interno. L'intero
ensemble ha poi fatto scoppiare il tumultuoso trambusto con suoni di materia incandescente,
sulla falsariga degli insiemi dell'Ascension coltraniano, alternati a spazi
riservati ai solisti supportati da riff e qualche movimento d'insieme precostituito,
dando l'impressione che diverse inedite combinazioni e idee fossero scaturite sul
momento, grazie alla felice interazione fra i musicisti. L'eruzione di lava vulcanica
è andata via via esaurendosi nel finale, con un progressivo spegnersi dei suoni
che sono andati a finire in un flebile magistrale pianissimo. Come bis è
stato proposto lo straripante "Shellela", tema accattivante dell'etiope Gétatchèw
Mèkurya, recuperando la ritmicità delle caotiche feste danzanti di paese.