Riuychi Sakamoto
e Alva Noto
Palamartino Bari – 28 Ottobre 2005
di Alceste Ayroldi
Esasperato impressionismo toccato con un'intensa spettacolarità teatrale,
repechage di sentiti e veritieri atteggiamenti di un ventennio orsono, mai dimenticati.
Graffiti musicali e visivi improntati al minimalismo più estremo interpretato
con estrema soggettività.
Il binomio Sakamoto – Alva Noto riempie come un uovo la massiccia
struttura cementificata del PalaMartino di Bari ed apre l'interessante rassegna
di Time Zones, giunta al suo primo ventennio ed ottimamente capitanata dall'indistruttibile
Gianluigi Trevisi.
Insen
è il nome del progetto che i due artisti propongono: una crasi di forme e singulti
orientali con le fredde elucubrazioni partorite dalle macchine elettroniche algidamente
manovrate dal composer Noto. Un crossover di tempi, suoni e culture irradianti
un pallido sole, quasi crepuscolare.
Sakamoto improvvisa sulle elettrificate ed elettrificanti scariche in
regime ambient del manipolatore olandese.
Un lungo schermo rettangolare, dal tratto breve in altezza e capiente
in larghezza, proietta ideogrammi e simboli – soggettivamente interpretabili – fuoriuscenti
dalle note dello strumento vergato con mestizia dal pianista nipponico.
Alva
Noto programma le basi e le abrasioni uditive mentre Ryuichi improvvisa
secondo il suo sentimento. Forse appiattito, forse usurato. Sicuramente stereotipato
e poco appassionante.
A tratti sembra che il vincitore di un premio Oscar, compositore di immagini
musicali senza tempo, voglia riposarsi per lasciar spazio ai movimenti sonori ed
alle alchimie elettroniche del suo compagno di viaggio.
I brani sono di media-breve durata, così come lo è il concerto. Note e
movimenti che si ripetono con studiata lentezza esecutiva. Pochi i cambi ritmici
anche per uno scarso – sicuramente voluto – uso della loop station.
I pattern si ripetono senza sussulti, mielosi e con tracce orientali.
Tracce di messaggi subliminali. Tracce di musica e gran lavoro di sperimentazione(ma
quale?). Brani tecnologicamente avanzati (che si assommano a qualche cellulare inopportunamente
lasciato attivo), che si fondono con andamenti classicheggianti ma privi del necessario
impeto.
I percorsi musicali intrapresi da Sakamoto sono stati molteplici
e tutti di grande livello. In questo caso, però, non sembra che l'autore di splendide
colonne sonore, di grandi passaggi della musica contemporanea, sia convinto di quanto
abbia fatto, di quanto abbia costruito.
La sua ricerca si schianta contro il muro del deja-vu. Il suono del Yamaha
grancoda è eccellente, ma lui lo sfrutta ben poco anche quando gioca con le corde
del piano oppure alza i gomiti per aumentare la forza ritmica. Ma le armonie si
dissolvono, nota dopo nota.
Il dialogo tra due differenti culture storiche e musicali si disperde
per mancanza di un'adeguata passione letteraria e di volontà espressiva di Sakamoto.
E dopo circa 50 minuti il concerto sarebbe finito nell'abbraccio tra i
due artisti. Poi tre bis – chiamati a gran voce – tra cui, in chiosa finale, la
meravigliosa Forbidden Colours,
eseguita magistralmente e che riesce ad evocare ancor più i fantasmi che hanno aleggiato
fino a quel momento.
Le luci si accendono, definitivamente quasi in attesa di sentire e vedere
un Sakamoto più motivato, senza dover rimpiangere lo spettacolare concerto
tenutosi circa 15 anni fa, sempre a Bari, all'Auditorium Nino Rota.