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Il jazz suonato ed il jazz raccontato

Wallace Roney Group
Ettore Fioravanti Belcanto, featuring "Pierino e il lupo"
26 giugno 2005, Anfiteatro Fausto, Terni
di
Antonio Terzo
foto di Alessia Scali

Un gran bel suono di tromba, non c'è che dire. Sarà perché si tratta di quella appartenuta a Miles, sarà che Wallace Roney, titolare del cimelio – per fortuna non consegnato al silenzio di una teca –, la tromba comunque sa davvero suonarla, sarà magari perché essa trasfonde in chi la imbocca un'emozione particolare che promana fino a chi l'ascolta, sta di fatto che il concerto della "Zona dell'immaginario" per Terniinjazz #5, domenica 26 giugno all'Anfiteatro Fausto ha convinto, nei limiti di quanto annunciato: una performance caratterizzata da echi "davisiani" e, grazie anche all'innesto di un dj-set, da originali sonorità contemporanee.

Equilibrato l'incastro fra i dispositivi elettronici dell'androgina dj Val Gentry ai piatti ed i più coloriti e sfaccettati spettri acustici dei due Roney, il leader Wallace alla tromba ed il fratello minore Antoine ai sax. Anzi, per la verità l'elemento elettronico tenderebbe via via ad attenuarsi e scemare se non fosse per la presenza del piano elettrico – a fianco di quello acustico – di Adam Holzman, che recupera un nostalgico sound rock progressive anni '70. È con questo clima che il trombettista di Philadelphia esegue una carrellata di brani tratti dal suo ultimo disco, Prototype. A dare la scossa all'"elettricità" del gruppo è Shadow Dance con loops della consollista e scansioni ritmiche – Ugonna Okegwo al contrabbasso ed Eric Allen alla batteria – cui si sovrappone la sezione tromba-tenorsax, da cui si diparte il solo del leader ad insistere su un piccolo giro di note, in progressione ora ascendente ora discendente, poi l'energico sax tenore dell'altro Roney.

Tavolozza più degradante verso tonalità di grigio per Prototype, brano eponimo del cd, lento e languido in ambientazione metropolitana, note tenute dalla tromba ad innalzare la tensione, con un fraseggio che si fa più spedito su annotazioni che si tingono sempre più di pop jazz e di un coinvolgente groove. Il più giovane Roney si mette in luce anche al soprano, meno travolgente del tenore, ma certo anche più duttile. Elettrico e modale, a sprazzi malinconico, è proprio per questa via che il gruppo smuove suggestioni sonore ormai collaudate al jazz contemporaneo. Ben si abbina il solo di piano, abbarbicato al contrappunto plastico ed ampio del contrabbasso di Okegwo, ed il contesto sonoro si fa quasi romantico (e la serata più fresca), dondolando sulla tromba ancora una volta tersa e risonante.

Rievocazioni marcatamente milesiane in Then and Now, di cui lo stesso trombettista è autore, volutamente insistente su piccole frasi, più volte ripetute, costruite per modi, con energica verve; anche il sassofonista carica il proprio strumento di una valanga di note, e sotto lo strato superiore, le cadenze del piano, scalpitante il ritmo di Okegwo, alimentato dal ride di Allen, poi nettissimi gli acuti della tromba. Ed anche nel brano finale – forse Three views of the blues – il gruppo si affida ai dubs provenienti dalla consolle con vari effetti, cui risponde leggero il Rhodes, poi accordi obbligati del piano, ed il ritmo rallenta, spaccato in mezzo dal contrabbasso, mentre emergono voci campionate dai dischi ed i fratelli Roney lanciano unisoni in ottava: dinamico il tenore, più riservata questa volta la tromba, un intervento rilassante. A seguire, il turno all'impronta di Antoine Roney, più penetrante, splendido e trascinante, quindi l'esposizione conclusiva del tema.

Le sonorità c'erano tutte, il clima elettrico, soprattutto c'era la timbrica strumentale milesiana; resterebbe allora solo da capire, magari andando a spulciare nella discografia del nostro, quanto di "emulazione" ci fosse e quanto invece sia frutto di un personale approccio allo strumento, pur con l'inevitabile fantasma che, dopo anni di "contatto labiale" – è proprio il caso di dirlo – aleggia attorno a quella tromba.

Per la "Zona della Favola", invece, accompagnato dall'Orchestra diretta da Roberto Spadoni, featuring John De Leo – ex lead-voice dei Quintorigo –, il gruppo Belcanto del batterista Ettore Fioravanti ha eseguito nella seconda parte della serata tre favole, prima, l'operina sinfonica Pierino e il lupo composta da Sergej Prokof'ev nel 1936 e qui rivisitata attraverso la sensibilità jazzistica del batterista compositore che ne ha trascritto gli arrangiamenti.

Per chi conosca l'opera del russo – e non sono pochi – i temi melodici che nell'originale individuano i vari personaggi erano riconoscibilissimi ed il sapore della storia è stato rinfrescato dalla rilettura jazz, ma ancor di più dalle splendide esecuzioni improvvisative dei vari solisti chiamati in causa, ciascuno con un proprio ruolo preciso, proprio come del resto aveva voluto l'autore: l'anatra assume la voce del sax soprano di Tino Tracanna, il gatto veste i cavernosi registri del clarinetto basso di Achille Succi, il nonno il vocione grave del contrabbasso di Giovanni Maier, il lupo le note subdole del trombone di Beppe Caruso, l'uccellino i trilli delicati degli acuti in grappoli del piano di Stefano De Bonis, mentre Pierino è caratterizzato dall'ensemble orchestrale. La semplice storia vede Pierino nei pressi dello stagno dove stanno litigando un'anatra ed un uccellino: nascosto, un gatto cerca di saltare sul volatile, che avvertito da Pierino si salva. Il nonno, attirato dagli schiamazzi, rimprovera tuttavia Pierino per essere uscito dal cancello, rischiando di imbattersi nel lupo, e lo riporta in casa. Sbuca infatti dal bosco un lupo che Pierino decide di neutralizzare: con l'aiuto dell'amico alato che fa da esca, il lupo viene catturato e consegnato ai cacciatori (i cui spari sono "interpretati" dai colpi di Fioravanti) per venire rinchiuso allo zoo. Divertentissima la marcia trionfale del giovane eroe alla testa del corteo dei vari protagonisti, ovviamente con partecipazione di tutto l'organico orchestrale. Da non dimenticare l'adattamento figurativo di Massimo Ottoni che con un semplice gioco di sabbia su un vetro proiettato a schermo, ha dato corpo stilizzato alle figure della deliziosa fiaba.

Fin qui la serata è proceduta in modo scorrevole; mentre l'esecuzione delle altre due fiabe musicali – La tartaruga, l'elefante e la balena, ed Il corvo saggio – per quanto altrettanto brillanti ed amabili, giungeva in coda ad un programma concertistico già ben nutrito, risultando allora piuttosto impegnative in considerazione dell'attenzione richiesta al pubblico per seguire la narrazione dei fatti esposti. Vi si è comunque distinta, oltre alla già citata maestria dei solisti in causa, la voce di De Leo: troppo enfatica forse nel tracciato narrativo prokof'eviano, essa incanta maggiormente quando durante l'ultima favola si lascia andare ad un po' di sano vocalese dal retrogusto jazzistico, che le sue doti canore gli consentono.







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Data pubblicazione: 23/07/2005

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