all'Anfiteatro Fausto ha convinto, nei limiti di quanto annunciato: una performance
caratterizzata da echi "davisiani" e, grazie anche all'innesto di un dj-set,
da originali sonorità contemporanee.
Equilibrato
l'incastro fra i dispositivi elettronici dell'androgina dj Val Gentry ai
piatti ed i più coloriti e sfaccettati spettri acustici dei due Roney, il
leader Wallace alla tromba ed il fratello minore Antoine ai
sax. Anzi, per la verità l'elemento elettronico tenderebbe via via ad attenuarsi
e scemare se non fosse per la presenza del piano elettrico – a fianco di quello
acustico – di Adam Holzman, che recupera un nostalgico sound rock progressive
anni '70. È con questo clima che il trombettista
di Philadelphia esegue una carrellata di brani tratti dal suo ultimo disco,
Prototype. A dare la scossa
all'"elettricità" del gruppo è
Shadow Dance con loops della consollista e scansioni ritmiche
– Ugonna Okegwo al contrabbasso ed Eric Allen alla batteria
– cui si sovrappone la sezione tromba-tenorsax, da cui si diparte il solo del
leader ad insistere su un piccolo giro di note, in progressione ora ascendente
ora discendente, poi l'energico sax tenore dell'altro Roney.
Tavolozza più degradante verso tonalità di grigio per
Prototype, brano eponimo
del cd, lento e languido in ambientazione metropolitana, note tenute dalla tromba
ad innalzare la tensione, con un fraseggio che si fa più spedito su annotazioni
che si tingono sempre più di pop jazz e di un coinvolgente groove. Il più
giovane Roney si mette in luce anche al soprano, meno travolgente del tenore, ma
certo anche più duttile. Elettrico e modale, a sprazzi malinconico, è proprio per
questa via che il gruppo smuove suggestioni sonore ormai collaudate al jazz contemporaneo.
Ben
si abbina il solo di piano, abbarbicato al contrappunto plastico ed ampio del contrabbasso
di Okegwo, ed il contesto sonoro si fa quasi romantico (e la serata più fresca),
dondolando sulla tromba ancora una volta tersa e risonante.
Rievocazioni marcatamente milesiane in
Then and Now, di cui lo
stesso trombettista è autore, volutamente insistente su piccole frasi, più volte
ripetute, costruite per modi, con energica verve; anche il sassofonista carica
il proprio strumento di una valanga di note, e sotto lo strato superiore, le cadenze
del piano, scalpitante il ritmo di Okegwo, alimentato dal ride di
Allen, poi nettissimi gli acuti della tromba. Ed anche nel brano finale –
forse Three views of the blues
– il gruppo si affida ai dubs provenienti dalla consolle con vari
effetti, cui risponde leggero il Rhodes, poi accordi obbligati del piano, ed il
ritmo rallenta, spaccato in mezzo dal contrabbasso, mentre emergono voci campionate
dai dischi ed i fratelli Roney lanciano unisoni in ottava: dinamico il tenore,
più riservata questa volta la tromba, un intervento rilassante. A seguire, il turno
all'impronta di Antoine Roney, più penetrante, splendido e trascinante, quindi
l'esposizione conclusiva del tema.
Le
sonorità c'erano tutte, il clima elettrico, soprattutto c'era la timbrica strumentale
milesiana; resterebbe allora solo da capire, magari andando a spulciare nella discografia
del nostro, quanto di "emulazione" ci fosse e quanto invece sia frutto di un personale
approccio allo strumento, pur con l'inevitabile fantasma che, dopo anni di "contatto
labiale" – è proprio il caso di dirlo – aleggia attorno a quella tromba.
Per la "Zona della Favola", invece, accompagnato dall'Orchestra
diretta da
Roberto Spadoni, featuring John De Leo – ex lead-voice
dei Quintorigo –, il gruppo Belcanto del batterista Ettore Fioravanti
ha eseguito nella seconda parte della serata tre favole, prima, l'operina sinfonica
Pierino
e il lupo composta da Sergej Prokof'ev nel 1936 e qui rivisitata attraverso
la sensibilità jazzistica del batterista compositore che ne ha trascritto gli arrangiamenti.
Per chi conosca l'opera del russo – e non sono pochi –
i temi melodici che nell'originale individuano i vari personaggi erano riconoscibilissimi
ed il sapore della storia è stato rinfrescato dalla rilettura jazz, ma ancor di
più dalle splendide esecuzioni improvvisative dei vari solisti chiamati in causa,
ciascuno con un proprio ruolo preciso, proprio come del resto aveva voluto l'autore:
l'anatra assume la voce del sax soprano di Tino Tracanna, il gatto veste
i cavernosi registri del clarinetto basso di Achille Succi, il nonno il vocione
grave del contrabbasso di Giovanni Maier, il lupo le note subdole del trombone
di Beppe Caruso, l'uccellino i trilli delicati degli acuti in grappoli del
piano di Stefano De Bonis, mentre Pierino è caratterizzato dall'ensemble
orchestrale. La semplice storia vede Pierino nei pressi dello stagno dove stanno
litigando un'anatra ed un uccellino: nascosto, un gatto cerca di saltare sul volatile,
che avvertito da Pierino si salva. Il nonno, attirato dagli schiamazzi, rimprovera
tuttavia Pierino per essere uscito dal cancello,
rischiando
di imbattersi nel lupo, e lo riporta in casa. Sbuca infatti dal bosco un lupo che
Pierino decide di neutralizzare: con l'aiuto dell'amico alato che fa da esca, il
lupo viene catturato e consegnato ai cacciatori (i cui spari sono "interpretati"
dai colpi di Fioravanti) per venire rinchiuso allo zoo. Divertentissima la marcia
trionfale del giovane eroe alla testa del corteo dei vari protagonisti, ovviamente
con partecipazione di tutto l'organico orchestrale. Da non dimenticare l'adattamento
figurativo di Massimo Ottoni che con un semplice gioco di sabbia su un vetro
proiettato a schermo, ha dato corpo stilizzato alle figure della deliziosa fiaba.
Fin qui la serata è proceduta in modo scorrevole; mentre
l'esecuzione delle altre due fiabe musicali –
La tartaruga, l'elefante e la balena,
ed Il corvo saggio –
per quanto altrettanto brillanti ed amabili, giungeva in coda ad un programma concertistico
già ben nutrito, risultando allora piuttosto impegnative in considerazione dell'attenzione
richiesta al pubblico per seguire la narrazione dei fatti esposti. Vi si è comunque
distinta, oltre alla già citata maestria dei solisti in causa, la voce di De
Leo: troppo enfatica forse nel tracciato narrativo prokof'eviano, essa incanta
maggiormente quando durante l'ultima favola si lascia andare ad un po' di sano vocalese
dal retrogusto jazzistico, che le sue doti canore gli consentono.