Scrivere la recensione dell'ultimo album di
Andrew Hill,
a pochi giorni dalla sua scomparsa, mi porta quasi istintivamente a soffermarmi
per prima cosa proprio sul titolo "Time Lines"
e sulla copertina dell'album, ad osservare quella linea bianca, che segna orizzontalmente
altre linee verticali di minor spessore, come a voler rappresentare il destino di
questo musicista segnato dalla malattia, esplosa nel 2004.
Eppure lui ha continuato a dedicarsi alla musica, imperterrito, fino allo scorso
29 marzo, data in cui ha suonato alla
Trinity Church di New York, un concerto commovente visibile per intero su
web. Si esibisce accompagnato da due dei quattro musicisti che hanno suonato
in "Time Lines", John Hebert al contrabbasso ed Eric
McPherson alla batteria. Se ne è andato il
20 aprile
Andrew Hill
che nel 1964 regalò ai cultori del jazz un capolavoro,
"Point of Departure", vera pietra miliare che non può mancare negli scaffali
di ogni vero amante del jazz.
Ci ha lasciato a 76 anni dopo aver sempre lavorato sulla sua musica in
maniera coerente, non tradendo mai le sue attitudini e i suoi gusti. La sua scrittura
e le sue esecuzioni non sono mai risultate scontate e prevedibili, ma nemmeno ostiche,
ha sorpreso sempre, fino all'ultimo, fino a questo "Time
Lines", un album che ha raccolto consensi assoluti, un album permeato,
soprattutto in apertura e in chiusura, da un po' di tristezza con lo stesso brano,
che apre e chiude l'album, eseguito prima con il gruppo e poi in completa solitudine,
con Hill
al pianoforte. "Malachi" questo il titolo, dedicato
al suo grande amico
Malachi Favors,
anche lui scomparso, mai dimenticato contrabbassista degli Art Ensemble of Chicago,
e anche uno dei suoi primi collaboratori.
La musica di "Time Lines" ripropone il suo personalissimo linguaggio
musicale, sempre in perenne evoluzione, una sintesi del jazz del passato, quello
di Monk, Parker, Davis e una costante ricerca, senza mai dimenticare
il ruolo imprescindibile e irrinunciabile del flusso ritmico di matrice africana
sicuramente insite nel background musicale, di un musicista di origine caraibica.
Dicevo del brano di apertura, giocato in una atmosfera triste, con il
clarinetto di Greg Tardy quanto mai lirico e la tromba di Charles Tolliver,
malinconica e misurata come il pianoforte del leader che non si perde mai in inutili
virtuosismi. Bada al sodo
Andrew Hill,
come nel brano seguente, quello che da il titolo all'album, anche se in maniera
diversa, a volte detta il ritmo, dialoga fitto con fiati e percussioni. La sezione
ritmica introduce "Ry Round 1", un brano dal
ritmo continuo e incessante su cui si propongono, dopo la parte di esposizione del
tema, i fraseggi improvvisati di ogni componente del gruppo. Segue "For
Emilio" dedicato al defunto pittore Emilio Cruz, ed esordisce
il tandem contrabbasso/clarinetto, che lascia poi che il brano si sviluppi con l'ausilio
degli altri in un'atmosfera in qualche passaggio anche swingante. Il ritmo si placa
con "Whitsuntide", quasi musica da camera, prima
che la tromba di Tolliver si lanci in un canto intenso e sofferto. Il ritmo
torna ad essere componente principale e fonte di fluidità musicale nei due brani
successivi, "Smooth" e "Ry
Round 2", brani dalla struttura articolata in cui i fiati sembrano rincorrersi
dando vita ad una cascata di note e microvariazioni. Il tutto prelude all'intimismo
della versione per solo piano di "Malachi",
panismo puro, in qualche passaggio sussurrato e comunque introspettivo dalle linee
melodiche sottili e delicate.
Un album imperdibile caratterizzato da una essenzialità musicale che ha
sempre contraddistinto la musica di
Andrew Hill.
Un album da ascoltare e riascoltare per scoprirne ogni minimo dettaglio, per poter
comprendere la filosofia musicale di un musicista che ha dedicato tutta la sua vita
alla musica. I musicisti che lo affiancano interpretano a perfezione il suo linguaggio
musicale aggiungendo colore e spessore ad otto composizioni nuove di zecca, un esempio
di jazz contemporaneo che di certo sarà punto di riferimento e fonte di studio per
le nuove leve del jazz.
Giuseppe Mavilla per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 08/07/2007
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