Blue Note - #63398
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Cassandra Wilson
Thunderbird
1. Go to Mexico (Ciancia, Elizondo, Modeliste, Neville, Nocentelli, Porter, Wilson)
2. Closer to You (Jakob Dylan)
3. Easy Rider (Traditional)
4. It Would Be So Easy (Ciancia, Elizondo, Piersante, Wilson)
5. Red River Valley (Traditional)
6. Poet (Ciancia, Wilson)
7. I Want to Be Loved (Dixon)
8. Lost (Burnett)
9. Strike a Match (Burnett, Coen)
10. Tarot (Ciancia, Keltner, Wilson)
Cassandra Wilson - vocals, guitar T-bone Burnett, Keb' Mo' - guitar, vocals Colin Linden - guitar, mandolin Marc Ribot - guitar Keith Ciancia - piano, keyboards Miguel Elizondo - bass, guitar, keyboards Reginald Veal - bass William Maxwell - electric bass Carla Azar, Jim Keltner - drums Jay A. Bellerose - drums, percussion Gregoire Maret - harmonica
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Saranno i "trattamenti" sulla voce, che, in quanto naturalmente meravigliosa,
può risultarne soltanto distorta e snaturata, sarà l'ambientazione elettronica designata
da T-bone Burnett, con uso talvolta ridondante delle tastiere, sarà
la ritmica "quadrata" che, nonostante la presenza di insigni percussionisti –
Carla Azar, Jim Keltner, Jay A. Bellerose –, in alcuni momenti
sa proprio di loop campionati, ma, insomma, chi si aspettava di trovare in
questo Thunderbird la
Cassandra
Wilson ammaliatrice di "Round the voo-doo down" o quella delle linee
ancora più jazz di intramontabili standards come "Blue In Green", "Body And
Soul", "Skylark", "Witchita Lineman" o di motivi meno jazzistici ma anche più universali
quali "Waters of March" e "Strange fruit", certamente sarà rimasto deluso. Beninteso:
nulla da eccepire riguardo l'interprete, sempre al meglio delle sue innegabili capacità,
in grado di toccare le corde più intime dell'animo dotato di una qualche sensibilità;
e infatti non è lei a lasciare perplessi. Ma il suo canto resta coibentato, amalgamato
al miscuglio elettro-hiphop che s'è voluto trasfondere al disco, miscelato, impastato
fino a perdere alcuni dei suoi connotati più caratteristici, in particolare le sfumature
sui registri più profondi.
Questa la prima sensazione nell'ascoltare il brano d'apertura
Go to Mexico. Ma l'impressione
non cambia passando a Closer to
you, valorizzata dalla prestazione della cantante di Jackson, Mississippi,
e dalla riflessione solitaria del contrabbasso di Reginald Veal, che,
però, non riescono a riequilibrare le "ordinarie sorti e regressive" del presente
cd, trovandosi infatti accostati ad insipidi delay di accordi pianistici
e tappeti di tastiere che intersecano i propri phaser. E pur mancando il
compagno di registrazione e di palco degli ultimi anni, quel Brandon Ross che fino
alla scorsa edizione di Umbria Jazz così bene riusciva a sublimare le indiscutibili
doti canore della Wilson, la compagine di strumentisti chiamata a scortarla in questa
incisione ben si adatta, comunque, ad affrontare questo nuovo concept elettronico.
Le intenzioni più sinceramente blues del progetto discografico, invece,
emergono in tutto il loro sanguigno vigore in
Easy rider, che si salva
per l'intensità dell'esecuzione vocale e per l'atmosfera prima rarefatta e poi acre
creata dalle chitarre, a gridare la loro sofferenza in modalità slide. Bene
ancora il contrabbasso, che stacca con il suo tono grave sui ritmi sequenziali,
introducendo It would be so easy,
ma non riesce a riscattare l'inconsistenza di tutto il resto, specie davanti all'intervento
di un effetto tastiera non meglio identificato, il cui suono nulla ha a che vedere
con il jazz – e, si badi bene, neppure con la fusion, che pure dalle più
illuminate menti critiche è stata alla fine accolta come "modernistica" forma di
contaminazione di questa musica –, ricordando, semmai, sintetizzatori di "wonderiana"
memoria, adeguati in ambito disco-pop, ma assolutamente stucchevoli nel presente
contesto. Dove è la chitarra slide certamente emerge quella veracità a cui
la vocalist ci aveva abituato, ma bisogna giungere al quinto brano, il
traditional Red River Valley,
mirabilmente interpretato dalla singer afro-americana con accorata profondità
vocale – per un tratto perfino a cappella – per poterne apprezzare la forza espressiva,
la forma blues, il pianto della chitarra di Colin Linden, gli infrasuoni
della migliore Wilson: semplicemente emozionante (non a caso Downbeat ha tributato
a questa rilettura 3 stelle e mezzo su 5).
Ma è l'eccezione, perché passando a pezzi come
Poet – dove l'elettro-pop
di un molle basso funky torna ad annacquare le buone intenzioni blues – o
Strike a match – in cui
di nuovo filtri sul microfono fanno scempio del timbro vocale della nostra beniamina
–, ancora sfugge la direzione di questo lavoro discografico. Dopo
I want to be loved, con
trascinanti intrecci delle chitarre di Keb' Mo' e Colin Linden,
spicca una delicatissima Lost,
ancora per il binomio voce-chitarra, questa volta quella incantevole di Marc
Ribot, sorprendente in questa veste se si pensa alle sue più recenti
performances jazz-rockettare e trasversali. E, a conferma che la Wilson – o
chi per lei – non sia riuscita a decidere che orientamento dare a questo suo album,
il congedo è affidato a Tarot,
le cui sonorità acustiche sembrano messe là a bella posta per cercare di lasciare
almeno l'illusione della
Cassandra
Wilson vecchia maniera, se non fosse per alcuni interventi elettronici,
contro cui non c'è alcun pregiudizio, ma che purtroppo rendono tutto alquanto artefatto.
Fino al punto da far chiedere se sia reale l'armonica che si fa carico dell'assolo
conclusivo: povero armonicista, che dalle note di copertina risulta invece essere
Gregoire Maret, proprio lo stesso del celebrato "Glamoured".
Un sincretismo dettato dal coraggio e dalla voglia di cambiamento che
avrà portato a suggerire il nome di Burnett: produttore di Counting Crows,
Los Lobos, Elvis Costello, Wallflowers, Marshall Crenshaw, Spinal Tap, BoDeans,
Gillian Welch, Roy Orbison, Bruce Cockburn, nonché autore delle colonne sonore di
"Quando l'amore brucia l'anima" ("Walk the line" di James Mangold), il recente film
sulla vita di Johnny Cash, e "Non bussare alla mia porta" ("Don't come knocking"
di Wim Wenders). Una figura musicale di tutto rispetto, dunque, il cui profilo mostra
però di non sapersi attagliare ai connotati artistici della vocalista. E se magari
di quel coraggio si può dare atto alla Wilson, il risultato lascia molto dubbiosi.
Antonio Terzo per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 30/06/2006
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