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Giorgio Gaslini
Sacred Concert - Jazz Te Deum

1. SACRED CONCERT
22'' 49''
(Giorgio Gaslini)

2. JAZZ TE DEUM
50' 37''
Part 1 (Gabriele Verdinelli) 14'54''
Part 2 (Bruno Tommaso) 16'01''

Part 3 (Giorgio Gaslini) 19'42''

Libretto by Pietro Sassu
Text by P.P. Pasolini, Melchiorre Murenu, Peppino Mereu, Girolamo Savonarola

Musical Director: Giorgio Gaslini

Orchestra Jazz della Sardegna
Aldo Nicolicchia, Agostino Frassetto - flute; Giampiero Carta, Dante Casu - alto saxophone, bass clarinet; Massimo Carboni - tenor saxophone; Dorino Ruzzettu - tenor saxophone, clarinet; Paolo Carta Mantiglia - baritone saxophone; Raffaele Polcino, Luca Uras, Pietro Pilo, Antonio Meloni - trumpet; Gavino Mele, Roberto Chele - french horn; Salvatore Moraccini, Emiliano Desole - trombone; Maurizio Ligas - bass trombone; Roberto Tola - guitar; Mariano Tedde - piano; Alessandro Zolo - bass; Luca Piana - drums; Marco Gatta - percussions.
Assistant Musical Director: Andrea Ivaldi

Coro Polifonico Santa Cecilia
(Chorus Director: Gabriele Verdinelli)
Voice: Andreana Demontis; Maria Pia De Vito; Elena Ledda; Noemi Tedde; Paolo Pecchioli
Trumpet Soloist: PAOLO FRESU

Recorded Live on June 26, 27 2000 at Chiesa di Santa Maria in Betlem - Sassari - Italy
by Roberto Erre - Blue Studio
Mastered at Disctronics, Tribiano - Milano
Engineer: Aldo Borrelli
Production made in association with Associazione Polifonica S.Cecilia - Sassari, Associazione Blue Note Orchestra - Sassari and with the support of Ministero per i Beni Culturali, Comune di Sassari, Regione Autonoma della Sardegna.
Executive Producer: Flavio Bonandrini
Cover Art: Maria Bonandrini
Photographies: Pino Ninfa

Prima opoi doveva accadere che Giorgio Gaslini, questo entusiasta esploratore della musica, una sorta di Leonard Bernstein italiano, che ha attraversato, tumultuosamente e con infinita curiosità, tutte le regioni dei suoni, approdasse anche al mondo del sacro, quasi come riepilogo di una lunga professione di arte, un collegare fra loro le molte vicissitudini umane e artistiche, per chiuderle nel cavo di una conchiglia rituale, capace, ad un tratto, di assorbire, per poi tramandarli in emozioni, i gesti, le parole, le esperienze di un intero percorso.

photo by Pino NinfaLa Musica sacra, lo sappiamo tutti, risale alla preistoria. In pratica la musica è stata subito sacra, nel senso che l'uomo ha scoperto con immediatezza la sacralità del suono, il suo congiungersi con il mistero. Forse è solo verso il 3500, nell'età neolitica, con l'invenzione della scrittura e con la lavorazione del rame, che l'uomo si rende conto di quanto il suono possa essere vicino al mistero divino e nascono le leggende relative al suono addirittura creatore: la frase della Bibbia "Dapprima fu la parola", la parola come sillaba risonante, non è un prodotto della cultura avanzata.

Gli Uitoto dell'Arnazzonia dicono "All'inizio la parola diede origine al Padre" e, avverte Marius Schneider, che il concetto di "parola" rende solo parzialmente il senso originario "perché qui si tratta di qualcosa che geneticamente precede qualsiasi parola determinata e ogni concetto logicamente fondato. Qui si tratta di qualcosa di primario e di sovraconcettuale e, almeno per il pensiero logico, di indefinibile e inconcepibile".

Così per gli Egizi, è il "grido" o la "risata" del dio Thot l'elemento primario e la tradizione vedica racconta di un essere impalpabile che dalla "quiete del non essere" risuona, diventa materia, crea il mondo e dice ancora "Al principio era il nulla, poiché il mondo era avvolto nella morte, nella fame, essendo la morte fame. Desiderando un corpo, la morte creò il mana(volontà). Camminò lodando: poiché cantai le lodi mi compenetrò la letizia e nacquero le acque". Anche qui, insomma, da una sillaba che risuona in modo mistico come una lode soffiata dalla morte, nasce il cosmo. E, guarda caso, il cantar lodi si traduce con "ark" e il cantare in letizia "ka" e non è difficile scoprire subito un riferimento preciso all'arca. E questa sublimazione del suono la troviamo anche risalendo nel tempo, in età apostolica, per quanto riguarda la liturgia cristiana, in alcuni passi nelle lettere di San Paolo dalle quali emergono la lettura didattico-esortiva dei testi, secondo la tradizione orientale basata sulla cantillazione, ovvero la lettura in pubblico e la stessa cantillazione applicata ai versi con un sistema che possiamo definire salmodia: ancora il suono, dunque, questa volta per avvicinarci a Dio. Appare anche, sempre nelle lettere di San Paolo una consanguineità con l'antica tradizione sinagogale dalla quale poi la nostra liturgia si è andata staccando creando, con l'andare del tempo, un proprio linguaggio in continua evoluzione.

Evoluzione che ci ha portato a quei monumenti della musica che recano i nomi dei compositori dal Settecento ai giorni nostri e che ha coinvolto anche un "mostro sacro" del jazz, linguaggio blasfemo per eccellenza, musica del diavolo addirittura, come Duke Ellington.

Ed eccoci a Gaslini che si cimenta, alla testa dell'ottima Orchestra jazz della Sardegna, con il convincente coro di S. Cecilia di Sassari, diretto da Gabriele Verdinelli e con le voci di Maria Pia De Vito, di Andreana Demontis, di Elena Ledda e di Paolo Pecchioli, anche come autore delle parole, in pagine dalle quali affiora in trasparenza il senso laico dell'autore. Un sacro, insomma, che tende ad un discorso generale, che contempla la presenza di Dio, ne esalta la sovraumanità, pur senza staccarsi dal contingente, quasi ad affermare, non so se volontariamente o no, l'appartenenza dell'uomo al divino, l'essere un tutt'uno, avvolti entrambi in un mistero assoluto.

photo by Pino NinfaLa musica è tesa, asciutta, non ha momenti retorici, non grida, se mai esulta, ma con parole sommesse, parole che sono suono, da qui la premessa che ho voluto fare, parole che sono qualcosa di più e di altro, che trascendono il loro significato letterale, che diventano cantillazione, sia pure in modo molto moderno, legato ad una poesia che punta diritto al contenuto senza cedere mai in tensione emotiva.

Gaslini usa ogni tipo di materiale senza timori, sceglie i suoni, le voci, le situazioni pescando non soltanto dalla sua lunga sperimentazione ma anche da tradizioni diverse che esplicita a modo suo, ricreando il tutto in un contesto assolutamente originale, rifondando anche il senso della sacralità, pur rimanendo legato (la sua cultura umanistica affiora, ovviamente, di continuo) a certi stilemi per dire classici nei quali inserisce la sua "parola" quasi volesse mostrare, dietro ogni costruzione musicale, il suo amore per le culture precedenti dalle quali si discosta con un linguaggio molto moderno, consono ai tempi, alla tragicità degli eventi che il mondo sta attraversando, eventi che pongono l'uomo davanti a situazioni non soltanto drammatiche ma, addirittura, inedite, capaci di creare sbigottimento, ansia, frustrazioni, di dare un senso concreto al bisogno del divino, ansie e frustrazioni che lui recepisce filtrandole con una serena fiducia nell'uomo.

Dicevo all'inizio che mi è parsa questa "pagina sacra" di Gaslini una sorta di riepilogo, un riandare nel tempo alla ricerca, non soltanto di quel trascendente che tutti e tutto coinvolge, ma di se stesso, dei propri sogni, delle proprie conquiste e la musica ci riporta, a volte, ad altri lavori, i songs, certe pagine concertistiche, alcuni momenti dei melodrammi dell'autore, non come citazioni, piuttosto come ripensamenti, un riprendere il filo della vita annodandolo al mistero di quell'essere-non essere, al quale queste pagine sono dedicate.

Con il "
Sacred Concert" (il riferimento ad Ellington potrebbe nascere spontaneo ma ben diversa è la natura delle composizioni) il disco propone anche un "Jazz Te Deum" realizzato a tre voci, una prima parte scritta da Gabriele Verdinelli, una seconda da Bruno Tommaso ed una terza, infine, da Gaslini. Qui l'accostamento alle matrici afroamericane è più esplicito: l'uso di certi fiati, delle voci, certe contrazioni del discorso armonico, il modo lineare di svolgere la melodia rompendola, a tratti, con interventi di ottoni o di ance, tutto ricorda più da vicino il mondo del jazz ma la cosa più straordinaria è che l'intreccio compositivo dei tre autori si coagula, si uniforrna, diventa linguaggio. Verdinelli e Tommaso sono autori con lunghe esperienze alle spalle e sono animati da un personale modo di concepire la musica, un modo decisamente originale, sia per quanto riguarda l'uso delle belle sonorità che Paolo Fresu cava dalla sua tromba arricchendo con un suono fresco e colmo di tensione la già ricca partitura del primo, sia per l'impatto colto jazzistico, la libertà espressiva, la densità dei suoni del secondo. In più ognuno di loro ha lavorato separatamente, perseguendo un proprio criterio. Eppure all'ascolto, misteriosamente, si avverte una straordinaria coerenza. E' vero che la direzione di Gaslini lega i
discorsi, li assimila ma, evidentemente la spinta emotiva, il senso intimo di ciò che i tre i andavano componendo, anche per via della suggestione dei testi di Girolamo Savonarola, di Pier Paolo Pasolini e di Melchiorre e Peppino Mereu, scelti da Pietro Sassu, si iscriveva in un discorso più ampio, in una sorta di lingua sublimata che ha dato al lavoro una splendida coesione.

Ed anche in questo Gaslini somatizza le atmosfere, le tensioni emotive, le sonorità e le fa proprie con un linguaggio che, pur provenendo da un mondo a lui caro, quello del jazz, sceglie la diversità, accoglie il colore, il calore e lo muta in "parola", quella stessa "parola" che ci riporta alla creazione primogenia che sboccia dalla musica come l'albero della vita. E il fatto che l'ultima composizione, il "Jazz Te Deurn", sia firmata da tre diverse personalità, dissimili fra loro, indipendenti, eppure legate da una stessa forza ispiratrice, porterebbe ad altre considerazioni tratte da quelle filosofie arcaiche che guardano alla parola e alla musica come ad una inscindibile duità, capace di diventare ponte tra terra e cielo, fra l'uomo e il divino.
Vittorio Franchini

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Data pubblicazione: 15/03/2003





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