David Haney (H Duo - HBH Trio)
Q Sessions
Slam Records (2017)
CD 1:
1. ABACADA
2. Usina Sprint
3. Twelve Bars/Improv
4. Tiempo de Swing
5. Night Sounding
6. Song For Julia
7. Farewell Flight
CD 2:
8. Guiba
9. Coming Sur
10. Dajo Half Step
11. Chronos of Lycea
12. Tocayo
13. Vermejo
14. Resonance
15. Reflections on a Groove
16. Incision
David Haney - pianoforte
Jorge Hernaez - contrabbasso
David Bagda - chitarra (CD 2)
Evidentemente, in Argentina non si vive di solo tango: se un musicista aperto
e spregiudicato come David Haney incide proprio a Buenos Aires e a Mendoza, dal
vivo, un doppio cd, servendosi del contributo di due personalità locali competenti
e prive di inibizioni, come il bassista Jorge Hernaez (presente in tutti e due gli
album) e il chitarrista David Bajda (protagonista solo nel secondo).
Il terreno
scelto è quello della composizione istantanea, senza nulla di programmato in precedenza,
salvo in un caso, quando viene ripreso un brano di Herbie Nichols "12 Bars".
Nel primo disco il dialogo fra Haney e Hernaez si concretizza in un flusso sonoro
dove succede un po' di tutto. Dalle aperture tardo romantiche del pianoforte si
passa alla ricerca di un ritmo che da sotterraneo e implicito si fa via via esplicito.
Ci si rifugia, sovente, poi, in frasi insistite e ripetute, che prefigurano paesaggi
oscuri e inquietanti, da cui si esce cambiando radicalmente scena con passaggi spinosi,
contorti e veloci. In qualche siparietto si arriva addirittura a swingare con gusto
e intelligenza, non tradendo per questo lo specifico dell'avanguardia. Gli strumenti
vengono utilizzati in modo canonico o meno abituale, con frequenti divagazioni dall'ortodossia,
grazie a colpi di mano ben assestati sulla cassa armonica dei rispettivi ferri del
mestiere. Il discorso comune, ad ogni modo, fila, anche perché l'intesa fra i due
co-titolari dell'incisione è palpabile e certificata da una collaborazione di lunga
data.
Nel secondo incontro in trio, invece, tutto diventa faticoso e irrisolto. I tre
procedono a sprazzi elaborando mozziconi di frase che si attorcigliano l'una all'altra,
non facendo intravedere uno spiraglio, l'idea di un traguardo da raggiungere insieme.
Pure in questa situazione tutti esprimono una serie di clichè tipici della musica
contemporanea, dal rumorismo del contrabbasso tormentato dall'archetto, ai colpi
di gomito sulla tastiera, al ricorso alle corde del pianoforte pizzicate con una
certa circospezione. La chitarra, invece, va avanti in modo più " in the tradition",
timbricamente almeno, ma contribuisce lo stesso a creare questa ragnatela inestricabile
di suoni, da cui il terzetto non sa, spesso, liberarsi con soluzioni ardite e conseguenti.
Non mancano alcune intuizioni felici, ad esempio in Dajo Half step dove le
rispettive piste convogliano in un brandello di tema provvisto di una sua fisionomia
ritmica interessante. Troppo spesso, però, si rincorre un piccolo spunto, che viene
dilatato, amplificato oltre misura, fino a trovare un altro appiglio su cui lavorare
sino all'esaurimento totale del medesimo stimolo. I momenti migliori del concerto
registrato, in fin dei conti, si verificano nelle parentesi solitarie, dove ognuno
espone una versione autonoma della musica piuttosto lontana, in verità, da quella
proposta dai partners. Questo è, sicuramente, un particolare su cui non si può sorvolare.
Le "Q sessions", ad ogni buon conto, testimoniano l'opera coraggiosa e disinvolta
di un musicista e giornalista, Haney è infatti il direttore di " Cadence" magazine
jazzistico canadese, sempre proteso a cercare nuove occasioni di confronto, rischiando,
però, di impantanarsi in improvvisazioni sfilacciate e claustrofobiche, quando non
scatta la famosa scintilla della creatività condivisa fra i membri del gruppo assemblato
all'uopo.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 20/08/2017
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