È un bisogno espressivo dirompente quello che Sabir Mateen riversa
nei settantasei minuti e ventiquattro secondi di musica contenuti nella sua ultima
produzione discografica, Other Placet Other Spaces,
pubblicata dalla Nu Bop Records di Achille Silipo. Nove tracce di intenso
fluire sonoro che invadono l'ascoltatore sul quale svetta onnipresente la figura
del leader, autore tra l'altro di tutti i brani, che impegna i suoi musicisti in
un'azione di continuo e costante supporto alle escursioni dei suoi vari fiati, sax
tenore e contralto, flauto e clarinetti.
Una registrazione realizzata in America, negli
studi Patkwest di Brooklin, sul finire del luglio 2006,
per il musicista originario di Philadelphia, la cui biografia narra di un rapporto
con la musica sempre attivo, di un suo inizio da flautista dopo un breve periodo
dedicato alle percussioni. E poi, nei primi anni settanta, l'esperienza con il rythm
and blues che lo porta alla corte della Pan Afrikan Peoples Arkestra di Horace Tapscott.
Per poi ritrovarlo in tempi più recenti nella Little Huey Creative Music Orchestra
di William Parker,
ma non dimenticando i suoi incontri con musicisti come Cecil Taylor, Roy Campbell,
Matthew Shipp, Henry Grimes, solo per citarne alcuni, e non ultimo, Raphe Malik,
al quale è dedicato questo cd.
Siamo in pieno clima free con una forte componente afro in cui nulla è
concesso all'estetica musicale, non un ammiccamento, nessuna citazione ruffiana.
Sulla superficie argentata del dischetto magico sono impresse le enunciazioni sonore
di un musicista che ha un profondo rispetto della cultura afroamericana e del jazz
e che guarda al futuro di questo musica facendo tesoro di ciò che alcuni grandi
innovatori del passato hanno ben fissato e impresso nella storia di questa espressione
musicale. La selezione si apre all'insegna del ritmo con le percussioni dell'instancabile
Ravish Momin. Poi è il leader a tracciare le coordinate di un tema apparentemente
convenzionale che farebbe presagire ad un sviluppo tradizionale del brano. È soltanto
un'illusione perché da lì a poco si avrà già chiaro il climax dell'intera produzione.
In For the Unborn One esordisce un
serrato dialogo tra il violoncello di Jane Wang e il flauto di Mateen,
atmosfere da musica da camera alle quali si uniscono successivamente anche gli altri.
Con You Reap What you Sew si apre la saga di
Mateen, il suono del suo sax è viscerale, sofferto, contrappuntato da pianoforte
e batteria, il ritmo, incalzante, frenetico e quando arriva la traccia n.5,
Shades of Khusenaton, l'ambient è marcatamente
free. L'intro di The Beginning Stars After The End is Over
sembra dare un attimo di tregua con l'espressivo pianoforte dell'impegnato Raymond
A. King che poi dialoga magnificamente con la batteria di Momin ma nelle
ultime tre tracce riemerge con forza e intensità tutta l'energia del leader.
Questa in sintesi l'essenza di un cd per il quale non si può certo gridare
al capolavoro. Malgrado ciò posso assicurarvi che si viaggia su una espressività
libera e incondizionata certamente interessante, la stessa che ha sempre caratterizzato
la produzione discografica di Sabir Mateen. Se ritenete di essere predisposti
a cotanta libertà artistica accomodatevi e immergetevi nel verbo musicale di un
autentico e rigoroso artista.
Giuseppe Mavilla per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 12/10/2008
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