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(Impulse! 589 120-2)
 

John Coltrane
The Olatunji Concert

The Last Live Recording

1. Introduction - 0:31
2. Ogunde - 28:35
3. My Favorite Things - 34:36

Rashied Ali - Drums
Jimmy Garrison -
Bass
Alice Coltrane -
Piano
John Coltrane -
Sax (Soprano), Sax (Tenor)
Pharoah Sanders -
Sax (Tenor)
Jumma Santos -
Percussion

Recorded April 1967 in New York City



23 aprile 1967
, città di New York, Centro di Cultura Africana Olatunji. Data e luogo più che mai significativi per John Coltrane, all'epoca vera stella del firmamento jazz, nonché uno dei musicisti simbolo del  free, movimento al quale aveva già consegnato un «manifesto» con lo straordinario Ascension, e che dopo la  sua morte (avvenuta improvvisa il 17 luglio di quello stesso anno) comincerà a dissolversi. 

L'Olatunji Center - struttura fondata dal percussionista nigeriano Babatunde Olatunji - era sorto da poco meno di un mese, fortemente voluto dallo stesso Coltrane, il quale peraltro lo finanziò generosamente. Ed è proprio quel centro il luogo dove Trane e soci tennero l'ultimo concerto immortalato su nastro (pare sia stato lo stesso sassofonista a chiedere di registrare l'esibizione). 
Sul palco, il quintetto che da più di un anno lo accompagnava regolarmente (con lui, Alice Coltrane al piano, Pharoah Sanders al sax tenore, Jimmy Garrison al contrabbasso, e Rashied Alì alla batteria) per l'occasione affiancato da una coppia di percussionisti: Algie DeWitt (al batà, tamburo africano usato nei riti vudù) e, probabilmente, Jumma Santos.


Due sole le composizioni proposte. Anzitutto
Ogunde liberamente ispirata al tradizionale afrobrasiliano Ogunde varere -, già incisa in studio da Coltrane, in quartetto, poco più di un mese prima (è rintracciabile in Expression); poi, My Favorite Things, il valzer di Rodgers e Hammerstein II che gli aveva fruttato grande popolarità nel '60 e che da allora era diventato un suo classico live.

La musica è quella tipica dell'ultimo Coltrane. Brutale, aggressiva, totalmente libera. Di più: gli oscillanti arpeggi del piano di Alice Coltrane, l'incessante e possente drumming di Rashied Alì, il puntuale contrabbasso dell'inseparabile Jimmy Garrison (unico superstite del quartetto classico), e soprattutto la dialettica degli assolo di Sanders e Coltrane, le conferiscono uno straordinario carattere ipnotico.

Gli strumenti non si accompagnano: si sovrappongono, si stratificano, fino a creare un magma sonoro così avvolgente da trasportare gli stessi musicisti in un vero e proprio stato di trance. Ognuno agisce in assoluta libertà, allontanandosi dal tema guida (che nell'ottica free è semmai «un tema») ed assecondando unicamente l'ispirazione del momento. Ne sono uno splendido esempio i trentaquattro minuti di
My Favorite Things. Introdotta da un lungo, disteso assolo di contrabbasso, la composizione si sviluppa lungo la linea dell'improvvisazione: gli assolo di Coltrane (al sax soprano) e del suo discepolo Sanders (al tenore) sono stridenti, acuti, a tratti violenti, perfettamente sovrapposti al poderoso tappeto ritmico offerto da Rashied Alì e dai percussionisti. Un'esecuzione di un  vigore forse inaudito, ma dal fascino spiazzante. Del resto, il Coltrane del biennio '65-'66 a questo ci aveva abituati: performance spesso interminabili, ritmica sostenuta, ed un'eloquenza torrenziale  da parte dei  solisti, i quali sembravano preoccuparsi poco dei temi e della melodia.

Musica che sfugge ad ogni canone estetico, e probabilmente ad ogni classificazione di genere - basta definirla free jazz? - ma che si carica più che mai di spiritualità. Un dato, quest'ultimo, che emerge chiaramente dall'ascolto di questo disco dal vivo. Insomma, mi pare che
The Olatunji Concert fotografi al meglio (unica pecca la non eccellente qualità dell'incisione) il momento di transizione -  nel senso dinamico, che lascia presagire un'ulteriore evoluzione - attraversato da Coltrane negli ultimi anni della sua vita. Un periodo in cui il musicista aveva più volte espresso dubbi ed incertezze riguardo alle nuove direzioni intraprese dalla propria musica. Una musica diventata  dura e spigolosa, ostica ai più, ma nondimeno sublime. Con ogni probabilità, la più intrigante e viscerale proposta in vent'anni di carriera.
Aldo Scalini
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Data ultima modifica: 05/01/2008





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