Poche battute del primo brano e la mente corre ad una incisione del
1978 di Sarah Vaughan con Joe Pass
alla chitarra, Ray
Brown al contrabbasso, Oscar Peterson al piano, e Louie Bellson
alla batteria. In modo particolare ad un "My old flame"
giocato meravigliosamente fra chitarra e voce. L' espressività del duo Locatelli-Pili
affonda proprio lì le sue radici. In quelle sei corde usate come piccola orchestra,
in funzione ritmica, melodica ed armonica allo stesso tempo, secondo la concezione
dello stesso Pass (anche Beethoven pensava la stessa cosa della chitarra, ma non
le dedicò mai un solo rigo) e in quel virtuosismo vocale dispiegato senza risparmio,
ma sempre al servizio di un emozione, di una storia da raccontare.
Nel canto di Patrizia Pili, a dire il vero, si ritrova tutta la
grande tradizione del canto jazz, oltre all'influenza della Vaughan. In alcuni
pezzi (High priority, scritto dal duo, o "
My favourite thinghs") echeggia addirittura
Bobby McFerrin; altrove pare di avvertire che la cantante di Sondrio abbia ben presenti
le sperimentazioni "accademiche " di Katy Berberian. Ma studiare i maestri
ed a loro rifarsi non è un reato. E' anzi apprezzabile che in tempi di contaminazioni
e commistioni di linguaggi Locatelli e la Pili propongano un lavoro
tutto e solamente ispirato alla tradizione jazzistica più consolidata. Bruciano
vecchie fiamme nel caldo braciere di questo disco; quasi tutti i pezzi sono infatti
standards fra i più noti. Ma la passione con cui i due affrontano il loro percorso,
il bel suono della chitarra di Locatelli (costruita da lui stesso), la formula
onesta del "Live in studio", l' emozione che pezzi come "Indian
Summer" riescono a trasmettere mettono al riparo questo loro lavoro da
ogni banalità critica. C' è da sperare di poter ascoltare Tore e Patrizia
dal vivo. L' atmosfera di un buon club sarebbe la loro dimensione ideale.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 08/07/2007
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