Jazzitalia - Tom Perchard: Lee Morgan. La vita, la musica e il suo tempo
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Tom Perchard
Lee Morgan. La vita, la musica e il suo tempo

Odoya, 2009

Ucciso a colpi di pistola mentre si esibiva in un club per mano della ex compagna, da poco scaricata. Lee Morgan incontrò il proprio destino alla simbolica età di trentatré anni. Ultimo atto di una tragedia più volte sfiorata. La sua vita potrebbe avere il sapore del déjà vu per quelli che hanno familiarità con le vicende di Charlie Parker, Art Pepper o Chet Baker, tra i maggiori artisti maudit del secolo. Anche se Morgan è stato più un artigiano del jazz maledetto dalla vita che un genio maledetto nell'arte.



L
'esistenza di Morgan, tutta giocata tra le ombre dei bassifondi, nel mondo della droga e dei ghetti di North Philadelphia e New York, nel sottobosco di un ambiente jazz duro, difficile, dove discografici, proprietari di club, agenti e colleghi musicisti sono spesso lesti nel fregare il prossimo.

Il trentenne critico Tom Perchard ha scovato un soggetto da romanzo a tinte fosche, una sorta di giallo hard boiled alla Dashiell Hammett con regolamenti di conti, sparatorie, risse e violenza urbana, spacciatori, personaggi di dubbia fama… Questa è la biografia di un giovane, scritta da un giovane, chiosa Perchard parlando del proprio lavoro. Ma l'autore resiste a questa facile strada e decide di scavare a fondo nel personaggio Morgan e nella sua musica. Quando la vita del trombettista si complica e tocca il fondo, invece di sguazzare nella cronaca nera mette in campo la sociologia urbana e la difficile storia dei neri nell'America degli anni Cinquanta e Sessanta. Perchard è come l'avvocato difensore che arringa la corte chiedendo clemenza per la vita difficile del suo patrocinato. Enfant prodige scovato da Gillespie entra subito nel giro grosso: incide con la Blue Note a suo nome e gira il mondo con i Messengers di Art Blakey. Ascesa rapidissima e caduta altrettanto repentina, fino alla definitiva scomparsa dalla scena. Lo danno per morto prima del tempo, ma lui ritorna e prima di scomparire - questa volta per davvero - suona con una nuova stupefacente maturità. Perchard giustamente fugge dai luoghi comuni su Morgan: il trombettista ha inciso un vero hit da classifica con The sidewinder, un funky groove che poi è stato clonato da tutti quanti volevano far soldi; ma altri hanno incassato i suoi guadagni e lui invece ha tirato dritto alternando brani ritmici a composizioni più audaci avvicinandosi al black power e alle sue cause.
Ha suonato una canzone dedicata all'attivista di colore Angela Davis, allora in carcere e in concerti per la raccolta fondi a favore delle pantere nere sotto processo. E' stato insegnante ai ragazzi di Harlem con il Jazzmobile project e ha partecipato nel 1970 all'interruzione per protesta di uno show sulla rete televisiva NBC voluta dalla JPM, il jazz and people's movement fondato da Rahsaan Roland Kirk.

Lee Morgan era insieme un pessimo soggetto, un compositore di hits e ancora un musicista serio, interessato all'insegnamento ai giovani e al futuro del jazz. Da una vita inquieta non poteva che nascere una biografia inquieta; e proprio con un finale aperto Perchard sceglie di chiudere il lavoro: In piedi a Madison Street quel pomeriggio, mi chiesi come avrebbe reagito il trombettista sapendo che alcune persone se ne stavano intorno al suo vecchio palazzo, curiosando, facendo domande su di lui. Avrebbe voluto incontrarci, e sapere cosa stavamo cercando? Struttura e azione, penso che gli avrei risposto. Com'era questo edificio, per poter far crescere una persona come te. O anche cosa della tua natura ti ha permesso di scendere le scale, superare la fabbrica, girare l'angolo su Allegheny Avenue e andare lì fuori, nel mondo (p.311).

Franco Bergoglio per Jazzitalia
 







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Data pubblicazione: 29/08/2009

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